L’agrosfera, intesa come l’incontro tra la natura e l’uomo con i suoi bisogni, apre a molteplici declinazioni, divagazioni ed esplorazioni del nostro territorio, attraverso la documentazione e la creatività dello sguardo.
Molti artisti del Novecento hanno affrontato temi legati all’universo agricolo, alla trasformazione del paesaggio, in un contesto storico caratterizzato dall’industrializzazione. Pensiamo ad alcuni esempi illustri come Dorothea Lange che ha fotografato le aree rurali, durante la Grande depressione, Renato Guttuso che ha rappresentato la vita contadina o gli artisti della Land Art che hanno modificato e celebrato gli spazi naturali. Al contempo i Futuristi hanno rifiutato il mondo rurale, a favore dell’industria e della città.
Sarà dunque altrettanto significativo indagare attraverso il linguaggio fotografico, con l’obiettivo di scovare esempi virtuosi o di progresso, sviluppo, innovazione.
Si potrebbe inciampare in facili cliché. Succede anche in alcuni servizi televisivi quando certe inquadrature ritagliano la vita edulcorata di persone che si allontanano dall’alienazione dei tempi moderni, si trasferiscono in campagna o in valli abbandonate, per vivere allevando vacche e capre, coltivando o anche raccogliendo erbe selvatiche.
L’auspicabile ripopolamento delle montagne e delle campagne, insieme alla fantasia di una vita più in armonia con la natura può facilmente far cadere nell’equivoco di una percezione idilliaca e poco autentica, che non restituisce le reali difficoltà. È necessario tentare di non idealizzare un passato incantato, in cui i frutti della terra erano più buoni e profumati, ma indagare nuove vie.
“Gabriella” è una pastora di capre, pecore, mucche. A raccontare la sua vita, in piccoli frammenti, è Gabriele Tartoni. Evitando l’abbaglio di quel “vivere in armonia con la natura” che lascia immaginare quanto sia piacevole godersene i tempi, secondo un’antica saggezza ritrovata, Tartoni illumina la realtà di una scelta. Addolcire la natura coltivando, quindi curando le terre che sembrano destinate all’abbandono, e allevando, è un bene per tutti. Se da un lato appare apprezzabile una vita, tradizionalmente, solo per uomini, è altrettanto importante mostrare gli aspetti di un mondo che non è così fatato e che va aiutato perchè possa sopravvivere. La meccanizzazione dell’agricoltura e gli allevamenti intensivi, di certo non quelli di Gabriella, hanno spostato la popolazione dalle campagne alla città. Solo una minoranza si occupa della produzione alimentare e la maggior parte delle persone è distante dalla terra, dai suoi processi e l’unica esperienza con gli animali è con quelli da compagnia. Diventa necessario dare forma a un immaginario in cui “zappare la terra” abbia un nuovo valore. La custodia degli animali richiede amore, ma anche fatica, molta fatica. Le giornate di Gabriella iniziano prima dell’alba e sono scandite da ritmi precisi, dalla pulizia delle stalle, con l’eliminazione del letame, alla mungitura, la somministrazione del foraggio e il pascolo. Gabriella alleva anche galline, colombi, maiali, un asino e un cavallo, non ha giorni liberi e ha collaboratori saltuari.
La natura può riservare brutte sorprese, del resto lasciata a sé stessa è anche crudele. A volte è impossibile tenere a bada i lupi che sono naturalmente predatori. Riescono a superare le barriere protettiva e a uccidere. È in quei momenti che tutta la dedizione e il lavoro di Gabriella svanisce di fronte ai pochi resti sanguinanti di un agnellino e i rimpianti per una vita più facile affiorano, ma, dice, “quelle capre e quelle pecore non sono solo nel campo a mangiare l’erba che cresce infestante sotto agli olivi, ma sono lì per te.
I loro occhi e le loro ganasce ruminanti ti parlano anche se non corre nessun suono…”
Piera Cavalieri
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