Si sente spesso parlare di paesi in collina o territori ai margini delle città abbandonati. Sono luoghi addormentati.
Per risvegliarli è necessario tornare a coltivare la terra; ma servono finanze, infrastrutture e buona volontà. Il progetto Agrosfera ci permette di scovare posti virtuosi per costruire una grande mappatura fotografica. Ne sarà motivo di orgoglio per noi che ci sentiamo sempre un po’ speciali nel settore agroalimentare. Un ottimo esempio di recupero e valorizzazione di un territorio e dei suoi prodotti è “Bianchetta genovese” di Francesco Zoppi. La Bianchetta o, in dialetto, Gianchetta di Coronata è un piacevole vino bianco aromatico di antichissima origine. Da una tavola bronzea risalente al 117 a.C. se ne è scoperta l’esistenza. Ma anche Stendhal in Viaggio in Italia racconta del bianco di Coronata e il poeta Giorgio Caproni del gottino di Coronata profumato di zafferano e cedro. La zona di coltivazione è appunto Coronata, in Val Polcevera, una collina a ridosso del quartiere genovese di Cornigliano. Negli anni Cinquanta e Sessanta la cementificazione selvaggia e le acciaierie di Cornigliano trasformarono un borgo a vocazione agricola in un borgo industriale. Cessata la produzione di acciaio e sparite le ruspe, “gli spazi scampati all’industrializzazione per poi essere abbandonati e degradati, sono diventati, per alcuni, l’opportunità per provare a costruirsi le basi di un futuro lavorativo e di vita. In altre parole un possibile strumento di integrazione.
Oggi questi spazi vengono restituiti alla vista del quartiere, dopo mesi di lavoro, curati e produttivi.”, scrive Zoppi. Come è evidente le immagini mostrano una storia di riscoperta e di rinnovamento. Il campus coronata, nato nel 2016, e la Cooperativa Un’altra Storia hanno l’obiettivo di fornire accoglienza ai richiedenti asilo ma anche di mirare alla formazione e insegnare un mestiere che permetta la costruzione di un futuro nel nostro Paese, una finalità fondamentale. Giovani migranti hanno recuperato le piante del vitigno, ormai abbandonate da diversi anni, e le hanno rese di nuovo produttive. Anche se per alcuni di loro la religione impedisce di bere vino e la produzione vinicola era pressoché sconosciuta, prima dell’arrivo al Campus, tutti hanno compreso il valore di una così antica tradizione produttiva del paese che li ospita. Hanno imparato le fasi importanti della coltivazione, dal taglio delle foglie alla legatura dei rami, per una migliore esposizione dei grappoli ai raggi del sole, i trattamenti con verderame e zolfo per evitare muffe e parassiti per arrivare alla grande festa della vendemmia. Il merito va ai vecchi viticoltori che hanno messo a disposizione la loro competenza, insegnando la pratica necessaria per la cura dei vitigni e l’antica arte della vinificazione. Zoppi ci racconta, con efficacia e con un evidente quanto necessario coinvolgimento, un’aula a cielo aperto dove imparare, sviluppare attitudini spendibili nel mondo del lavoro, ed essere valorizzati.
A guardare le sue fotografie possiamo immaginare quanto sia stato fatto con fatica e dedizione per riportare a nuova vita un terreno che sembrava destinato all’incuria. E ancora una volta constatiamo che il passaggio di testimone fra generazioni è un’opportunità raccolta da chi viene da lontano e permette la continuazione delle nostre tradizioni agricole più preziose.
Piera Cavalieri
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