“Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità̀”
(Hermann Hesse)
L’umanizzare il mondo vegetale ricorre in molta letteratura, soprattutto in quella più antica. In Virgilio l’albero ha corpo e braccia, ricorda, si emoziona e si stupisce. In Ovidio, nelle Metamorfosi, al contrario, i capelli diventano foglie e fronde, le braccia rami, il corpo tronco, i piedi radici.
“Gli alberi mi piacciono tutti ma solo per alcuni percepisco qualcosa di così forte da non resistere al loro richiamo.” Luca Zampini descrive così l’attrazione che prova davanti alla loro maestosità. Nel tempo della pandemia il contatto con la natura, anche quella intorno a casa, ci ha portato sollievo e il bisogno di aria buona, quella purificata dagli alberi, si è fatto più vivido.
La metafora bellica ha accompagnato il grande trauma collettivo e quando una guerra finisce pare che nell’animo di chi l’ha combattuta, in prima linea, non finisca. Per guarire dovremo capire perché siamo arrivati qui, cosa non dovevamo fare. Il rapporto del WWF dice chiaramente che molte malattie emergenti non sono casuali, ma conseguenza del nostro impatto sugli ecosistemi naturali. “Pensavamo di rimanere sani in un mondo malato” afferma il Papa. La straordinarietà di ciò che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo dovrebbe farci ripartire dall’idea che noi siamo parte della Natura. Osservando “Hugs” di Luca Zampini si prova meraviglia e insieme il desiderio di protezione. Affascina sapere che gli alberi stabiliscono alleanze e competizioni per creare una comunità: il Bosco. Gli alberi disposti in filari ordinati da mano umana non hanno nulla a che fare con la naturalità di un ecosistema. La solennità di una sequoia, di un platano, di un leccio, di ogni albero di questa serie destinata ad arricchirsi ancora, evoca il nostro struggente bisogno di bellezza e di immaginazione. L’autore però si muove nella ricerca dell’albero solitario. “…nei boschi …non riesco a percepire l’individualità…” Eppure pare che gli alberi solitari non stiano bene perché hanno bisogno di cercarsi, quindi hanno una mancanza? Forse Zampini è su questo che lavora e sul gesto spontaneo dell’abbraccio. Metafora del tempo presente e degli abbracci desiderati e mancati. Seguendo la via dell’umanizzazione è proprio nella mancanza che riconosciamo qualcosa che appartiene all’uomo, il dolore, che richiede vicinanza e compassione, dunque “Hugs” che evoca anche la meraviglia delle acqueforti di Federica Galli e di Carolina Marisa Occari, la madre di Zampini.
“…Abbraccio fisicamente l’albero e, contemporaneamente, fisso l’attimo inquadrando la corteccia e le fronde in controluce. Questi scatti, sovrapposti, affioreranno nelle parti più chiare dell’immagine finale… Chi le guarda ha la possibilità di spaziare oltre i limiti di un’unica foto tecnicamente “perfetta” …” scrive l’autore.
Piera Cavalieri
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