I giardini di Aegusa di Massimiliano Morini
Un esempio di recupero ambientale
Aegusa è l’antico nome di Favignana, isola delle Egadi, in Sicilia. Dal mare appare dominata da alte falesie scavate in modo ortogonale. L’azione dell’uomo, cavatori e tagliapietre, ha creato un paesaggio suggestivo. Per anni hanno estratto e lavorato la calcarenite, chiamata impropriamente “tufo”, fino a trasformare la crosta dell’isola stessa. La roccia veniva scavata e tagliata, escludendo la parte superficiale più dura, fino a formare delle gallerie che hanno preso l’aspetto di gigantesche sculture con ampie volte, sorrette da massicci portanti. Lo sfruttamento della pietra iniziò in tempi molto antichi ed esplose a partire dal ‘700 fino a metà del secolo scorso. Il tufo veniva esportato per essere utilizzato in campo edile e il suo commercio era una delle attività più floride ma nel dopoguerra l’estrazione cessò. Ne è rimasta la scenografia di gallerie e cunicoli, tra sfumature di bianco e grigio. L’attività̀ umana, in quel lungo tempo di costante lavorio, ha generato nelle cavità un nuovo strato di humus che in seguito ha permesso agli isolani di farne tesoro con un uso intelligente, impiantando orti e giardini al riparo dai venti carichi di salsedine. Il risultato, grazie al microclima di questi ripari, ha dato vita ai giardini ipogei dove crescono agrumi, mandorli, carrubi, limoni, melograni e lussureggianti orti botanici con molteplici specie. È un vero esempio di recupero ambientale. “i giardini ipogei costituiscono una specie di paesaggio parallelo, nascosto, un mondo di sotto complementare a quello comunemente accessibile di sopra” scrive Massimiliano Morini, l’autore di questa serie. Ogni dittico propone la suggestione della separazione tra i due mondi, attraverso la linea del suolo. Ancora una volta ci troviamo di fronte alle conseguenze dell’azione umana che utilizza una risorsa naturale, la roccia, ma il progetto di riutilizzo del luogo che ne è seguito propone una via virtuosa. In questo tempo di cambiamenti climatici, che ci disorientano, l’attenzione verso tecniche agricole di adattamento alle scarse risorse idriche per le siccità, all’eccesso di temperatura e a eventi estremi, si fa sempre più necessaria. Aumenta il bisogno di diffondere buone pratiche di agricoltura e gestione del territorio e la sapienza antica, che incontra le attuali conoscenze agronomiche, è la premessa per prepararci al clima che sta cambiando. Nascosto alla vista dei più distratti il mondo di sotto, il mondo delle piante, è uno straordinario ecosistema che contrasta con l’aspetto brullo del resto dell’isola. L’immaginaria linea di separazione che ci offre Morini si potrebbe leggere come la metafora del confine tra noi e la natura. Le piante sono parte più preziosa del nostro patrimonio naturale da cui noi dipendiamo, senza non potremmo vivere. Nella scellerata visione antropocentrica, l’uomo si è distaccato dall’ambiente naturale, vegetale in grande maggioranza. Nel sotto – sopra di Morini, il mondo di sotto è un mondo vivo, esempio di cura e di adattamento, capacità di cui dovremo disporre in un futuro sempre più prossimo.
Piera Cavalieri
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