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“BLUE” di Matteo Natalucci e Luca Santini

“L’arte dovrebbe confortare il disturbato e disturbare il comodo” Banksy.

La presenza di animali morti, di carcasse, di buoi scuoiati si rintraccia in molti capolavori dell’arte, da Carracci a Rembrandt, Goya, Soutine, Chagall, Bacon, dove la carne e il rosso del sangue si ergono a simboli o spettri. Lo street art Banksy, uno degli artisti più noti dell’arte contemporanea, abbracciando la causa animalista, nel 2003 ha riempito un camion di animali di pelouche che simulavano di essere destinati al macello, con gemiti e lamenti, per le strade di New York. L’emblematica provocazione è una denuncia che indica quanto il nostro tempo porta con sé un’altra sensibilità verso gli animali. Blue, il cui nome attinge dall’inglese stato di tristezza, feeling blue, e alla cottura francese molto al sangue, non nasce per fanatismo vegano, si rivolge tanto ai vegani convinti quanto agli onnivori felici. Certo, la prima lettura è una commozione immediata, per nessuno escluso. La diatriba che ne segue è l’essere animalisti e mangiare animali. Spesso la virulenza di questi scontri diventa poco appassionante e riporta ognuno alle proprie convinzioni. I nostri antenati sono stati cacciatori e consumatori di bacche e vegetali, quindi onnivori come racconta il nostro apparato digerente ma è vero che il tema delle scelte alimentari non è mai stato così forte prima d’ora e il tema si fa necessario, se vogliamo parlare di ambiente e futuro. L’attenzione verso gli animali da allevamento e le emissioni che producono, inquinando l’ambiente, sono i temi. Dovremmo averli tutti a cuore non accettando   di consumare carni di animali stressati in allevamenti lager perché, al di là di ogni posizione, il benessere degli animali è anche il nostro benessere. Partendo da qui possiamo capire e apprezzare il lavoro di Luca Santini e Matteo Natalucci, che se ho ben capito non sono vegetariani. Per un anno e mezzo, di nascosto e senza permesso, si sono introdotti in alcuni capannoni anonimi dell’Emilia -Romagna, raccogliendo l’aspetto più crudele, malsano e inquinante del nostro mangiare un eccesso di carne, uova e latticini. Calarci nelle immagini di Blue è accettare di prendere un pugno allo stomaco, senza opporre resistenza. Impossibile negare che sia necessario un meccanismo di “dissonanza cognitiva” per poter mangiare animali e nello stesso tempo prenderci cura del nostro cane e del nostro gatto. È questo meccanismo che ci impedisce di associare la gustosa cotoletta a quel che è: una fetta di mucca. La parola ingannevole diventa succulenta per il palato. Il punto di vista da cui guardiamo ci fa apparire il maiale in un modo piuttosto che in un altro, e quell’occhio, a cui non siamo abituati a prestare attenzione, ci pone degli interrogativi e ci turba. Lo stesso sentimento perturbante ci coglie quando osserviamo la folla di conigli e ci concentriamo sullo sfinimento arreso di quell’unico con il muso visibile e le zampe spelacchiate e penzolanti. La crudeltà riservata alle galline e agli occhi ingenui dei vitelli, separati velocemente dalle madri per evitare consumino il latte, ci parlano in modo altrettanto chiaro. Siamo ormai consapevoli che il sovraffollamento richiede l’uso massiccio di antibiotici per evitare la sciagura di zoonosi diffuse e che le emissioni degli allevamenti contribuiscono più dell’industria al cambiamento climatico. Blue, che ci mette di fronte ad una realtà rimossa e annebbiata dall’indifferenza, è diventato libro grazie a una campagna di crowdfunding. La speranza degli autori è che possa lasciare qualche piccolo germoglio per future riflessioni.

Nel 2020 Blue è diventato un libro fotografico arricchito da una postfazione dello scrittore Wu Ming 2 ed è presente in molte librerie sul territorio italiano.

Piera Cavalieri

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