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Gli inverni azzurri dell’Ontario.

Santo Stefano di Sessanio (AQ) – Luca Chiarelli, ottantadue anni e quattro figli, fu il primo, in paese, ad emigrare a bordo di un velivolo, nel 1953, un quadrimotore che faceva scalo a Londra e Reykjavik. Londra era una grande pianura illuminata. L’aereo atterrava a Montreal, dopo un’eternità di tempo, e c’erano parecchie ore di treno prima di Toronto, dove arrivò a notte fonda, fra le luci, accolto dalla truffa di un tassista. Nel 1953 Luca aveva ventiquattro anni. La diaria di un manovale, a  Toronto, era di un dollaro e dieci, e per salire al rango di muratore – diaria di due dollari e venticinque – passò i suoi mesi di apprendista con le mani perennemente nella calce. Senza poter scuotere la sigaretta, una lunga proboscide cinerea gli pendeva continuamente dalle labbra, finché non si staccava e piombava giù di colpo, frantumandoglisi sulle scarpe.

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Luca Chiarelli, ottantadue anni e quattro figli, fu il primo, in paese, ad emigrare a bordo di un velivolo, nel 1953, un quadrimotore che faceva scalo a Londra e Reykjavik. Londra era una grande pianura illuminata. L’aereo atterrava a Montreal, dopo un’eternità di tempo, e c’erano parecchie ore di treno prima di Toronto, dove arrivò a notte fonda, fra le luci, accolto dalla truffa di un tassista. Nel 1953 Luca aveva ventiquattro anni. La diaria di un manovale, a Toronto, era di un dollaro e dieci, e per salire al rango di muratore – diaria di due dollari e venticinque – passò i suoi mesi di apprendista con le mani perennemente nella calce. Senza poter scuotere la sigaretta, una lunga proboscide cinerea gli pendeva continuamente dalle labbra, finché non si staccava e piombava giù di colpo, frantumandoglisi sulle scarpe.

Nei mesi invernali, la disoccupazione costringeva alla ricerca di lavori saltuari o stagionali. Come nei grandi boschi alla raccolta di legname, con la temperatura inchiodata ai quaranta sotto zero, giorno e notte, passando per fiumi e laghi ghiacciati, in un continuo, luminoso nitore, agli ordini di un pittoresco nativo americano che un giorno rischiò l’assideramento. Le brande stavano in baracche scaldate da stufe a legna il cui rinfocolamento era affidato a uomini di turno che però, ad un certo punto della notte, cedevano di schianto, addormentandosi e lasciando nelle stufe solo palpiti di brace. L’abissale, scuro silenzio del dormitorio doveva far paura. La mattina le spesse coperte erano intirizzite, e subito si pensava a rompere il ghiaccio degli abbeveratoi, fra sbuffate e gargarismi fumosi di robusti cavalli francesi. Qui la diaria era di un dollaro e venticinque, ma il mangiare e il dormire non si pagavano.

Un’altra occupazione tipicamente oltreoceanica prevedeva il trasporto e la sistemazione di rotoli d’erba per i giardini dei villini dei quartieri residenziali. Una fatica da niente al confronto con il lavoro sulle ferrovie, una diaria di un dollaro e venticinque – anche qui – che invece consisteva nell’attenta perlustrazione delle rotaie alla ricerca di indizi di gonfiori, o asimmetriche anomalie dovute al gelo. L’intervento di correzione non poteva essere radicale, bensì una sorta di appianamento strategico delle disparità: se una rotaia si scopriva gonfia, si gonfiava anche l’altra, dando forma ad una precisa cunetta che, a differenza di un’improvvisa inclinazione, non avrebbe causato danni al moto del treno. Tutto questo senza che le corse venissero sospese, costretti da orari marziali e categorici. Luca ha inaugurato i suoi puntuali viaggi di ritorno nel lontano 1960. Da allora torna in Italia ogni due anni. Soggiorna a lungo in Santo Stefano di Sessanio. Si può dire che tutto ciò che ha fatto nella vita l’ha fatto in funzione di questi ritorni. Gli piace sfoltire i sentieri, ripulirli dalle erbacce. Occuparsi della sua terra. Gli piace stare qui, su una panchina, a guardare la campagna e la valle.

Matteo Fulimeni

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

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