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Lei Che Aspetta.

Pescara –  Già prima della notte, la città gocciola infuocata sulla facciata di vetro nero della stazione. Nella peluria  delle orecchie plana e trema il boato sepolto di una voce femminile: un’eco amplificata e appesantita di una lontana quadriglia. La scritta di un taxi si è appena accesa di un candido bagliore e rallenta davanti alla banchina  e si ferma. Il taxi si apre come un fiore. Due scarpe di artigianale e ottima fattura atterrano nere e lucide sull’asfalto, dal lato destro. Si scopre un calzino castano. Dal lato sinistro una mano si aggrappa alla cresta dello sportello e si gonfia di spessi rigagnoli blu. Appare la macchia candida di un polsino. La pesante collana del tassista è trattenuta dalla vu abbottonata della camicia a righe e affonda nella peluria a ciuffi del petto, mentre trascina fuori dal bagagliaio due piccoli trolley metallici. Due schiene rampanti avvolte in fluenti giacche scure vanno verso l’entrata. I lembi delle giacche sventolano come ali di razza. Un indice e un medio tengono impresso con forza un auricolare nell’orecchio. Due labbra coralline si muovono sullo sfondo di una mandibola grigia perfettamente idratata. Una giovane testa femminile ruota attratta da un paio d’occhiali affumicati che si alzano sopra una fronte spaziosa, fregio di due occhi verdi che guardano in su. I treni in arrivo scuotono il primo piano e la colata luccicante della città trema dentro ai vetri bui. Si vedono piccole onde pallide farsi largo nell’aria. Un aereo plana cabrando lievemente sopra i tetti. Si ascolta un rumore di riconciliazione. Una ruota di gomma  nell’aria  attende l’impatto su una pista caldissima. L’aereo si infilza nella stazione. Le mani di un bambino compongono una tettoia sopra agli occhi. La bocca del bambino diventa uno zero.

La cicca del tassista si accende luminosa. Il calore recede e si disperde in un fumo scenico. Due ante di vetro scivolano fischiando verso l’esterno, e i due uomini accedono nella bianca, monocorde luce dell’androne. C’è una musica elettrica, di freschezza incolore. C’è l’aria condizionata. Le nocche avvinghiano il manico del trolley. I trolley corrono paralleli traballando su piccole sovraccariche ruote. Due giovani mani si stringono con rapida, entusiasta e risoluta energia. C’è una vampata di dopobarba. I profili che si sono appena stretti la mano prendono direzioni opposte, ambiziosi: i due trolley strisciano dietro di loro. Dove c’erano i due, mani anziane punzonano, cercando di non tremare, un biglietto che racconta di numerose, prossime coincidenze. Gli occhi glauchi dell’uomo fissano il biglietto con un cruccio disperato. La bocca semimadida si protende timidamente verso i passanti ma trattiene la propria implorazione nella sua lieve, ittica apertura. Una sfilza di piedi in ciabatte di ogni tipo si muove a strappi e sussulti davanti alla cassa. La voce del bigliettaio ristagna acida dietro il vetro acquamarina. Alzandosi, una testa biondo platino emerge da un castello di valigie rosa sgargiante. La luce glaciale dei frigoriferi dietro il bancone del bar aureola i cupi ovali in controluce di viaggiatori affamati, mentre l’occhio del barista segue,  fin verso un orizzonte imperscrutabile, la pupilla dilatata, due piccole natiche scure che si gonfiano e si sgonfiano ad ogni passo. Seduta su una seggiola perfettamente al centro di questo spazio, la mente di un uomo è convinta che tutti ne stiano osservando il corpo malfatto. La mano dell’uomo strazia mento e bocca. Gli iridi si spostano nel bianco come la bolla di una livella. C’è una mano stretta con amore da un’altra mano e un braccio che si intreccia ad un altro braccio. Le gambe della ragazza cieca danno vita a falcate irregolari. Punta gli occhi spenti verso il soffitto in un sorriso di meraviglia, come sotto un cielo di stelle azzurre.

Invece Lei Che Aspetta è seduta a uno dei tavoli di alluminio vicino al caffè. Guarda risplendere graffi che non si possono toccare. Lei Che Aspetta ha capelli di paglia gialla che quando s’increspano sembrano una ramazza. Lei Che Aspetta non si può dire li deterga di frequente. Un bottone della salopette di jeans le si è staccato. La salopette si arriccia continuamente verso il basso. La mano di Lei Che Aspetta la riaggiusta compulsivamente. Le unghie hanno uno smalto blu con stelline d’argento. Le coste di gomma bianca delle sue converse si vanno annerendo. La suola plissettata batte il terreno per l’impazienza. Una cicca color carbone ci sta spalmata da anni. Lei Che Aspetta  ha un libro lasciato a metà sul tavolo. Insieme a due sandwich mangiucchiati. Due cuffie di pelo giallo le tappano le orecchie. Nelle cuffie pelose si ascoltano le prime note trillanti di California Dreaming. Vede uomini e donne muoversi inconsapevoli su quelle note.

Gli occhi di Lei Che Aspetta sono screziati di  giallo leonino, e fissano il quadrante di un vecchio Swatch senza più la rotellina con strabica fissità. Sotto gli occhi, un sistema stellato di lentiggini. Il vecchio Swatch è sul tavolo, sostenuto dal cinturino. La lancetta fosforescente dei secondi del vecchio Swatch di Lei Che Aspetta batte secondo per secondo ciò che Lei Che Aspetta aveva stabilito dovessero essere gli ultimi trenta secondi di attesa. La lancetta si ferma sul mezzogiorno, con piccoli, inutili singhiozzi. Nella stazione si fermano tutti. Ora si vedono i denti un po’ gialli della ragazza cieca, rivolti sorridenti al cielo; si vede la baraonda di pagine di un bestseller congelarsi in un punto a caso; una natica scura più gonfia dell’altra; la caduta gocciolante di quattro monete da venti centesimi immobile fra una mano ad artiglio e una mano a coppa; si vede la forma oblunga di uno sputo che sta per stamparsi sul vetro acquamarina della biglietteria; si vede la faccia buffamente rigonfia di una ragazza che sta tamponando una dolce colata di marmellata da una brioche; si vedono le corde tese del collo di quella ragazza; si vedono gli occhi dell’uomo che pensa che tutti lo guardino divergere mostruosamente in due angoli opposti.

Lei Che Aspetta afferra il vecchio Swatch e si toglie le cuffie gialle e pelose e si alza di scatto e si muove. Non c’è un rumore né un suono. Non c’è un rumore né un suono in tutta la città e in tutto il mondo. Solo dalle cuffie pelose buttate sul tavolo echeggia piano l’intermezzo di California Dreaming.  Lei Che Aspetta fende di corsa l’androne e sale le scale mobili immobili. Fa lo slalom tre scale alla volta fra manichini col trolley. Il silenzio è assoluto e pesante. La pelle intorno ai gomiti dei vecchi sembra quella di una gallina bollita. Certe facce di pietra sembrano contratte da un rantolo.

Lei Che Aspetta sale fino alle banchine, emerge all’ultimo scalino. S’è fermato il tramonto. Né notte né giorno. La luce di un mattino trapiantato. Il cielo è vuoto. Statue di uomini e donne sono in inerte posizione d’attesa, congelate. Mani che stanno cadendo lungo i fianchi. Pollici che si vanno infilando sotto staffe imbottite di zainetti colorati. Qualcuno che urla o sbadiglia, con la bocca deforme e muta. Un dito che punta il vuoto e un cenno di aver compreso un’indicazione. Occhi puntati alle bacheche. Merendine appena in bilico nel loro scompartimento. Il palmo di una mano e un indice che sta percorrendo la linea della vita. Sopracciglia ad arco. Nasi contratti. Baffetti inclinati.

Le converse annerite di Lei Che Aspetta si sporgono sul ciglio della banchina. Dal punto nero in fondo alla prospettiva del binario senza traversine spuntano come bolle che si gonfiano esplodendo due lontani globuli di luce. Non c’è vento né rumore. La faccia di Lei Che Aspetta comincia a ripassare il compendio delle sue espressioni collaudate. Fa roteare un braccialetto intorno al polso come un hula-hoop. Pensa che il cuore le si fermerà prima che fermi il treno. Il treno che si avvicina di soppiatto come sospeso. Le palpebre di Lei Che Aspetta si serrano leggere come quando si aspetta un bacio. Il petto in avanti contiene il respiro, man mano che i due cerchi gialli in espansione disegnano un vasto simulacro di luce diurna che si allarga senza apparenti confini. Quella stessa luce arriva e sparisce protesa verso il futuro, in un risucchio violento. Lei Che Aspetta attraversa una linea e ripiomba nell’ombra. Il treno rallenta e s’inchioda. Bloccandosi sussulta all’indietro di un sussulto che si acquieta e rilascia un leggero scivolio nell’opposta direzione fino a un arresto completo. Lei Che Aspetta attende il compiersi del rituale meccanico. Il rettangolo di vetro sporco e inclemente della porta del vagone, fermandosi, la incornicia perfettamente. Le sue care vecchie Converse oscillano sul posto e fanno un passo indietro. Lei che aspetta incrocia le braccia in una posa di finto rimprovero. Il treno è fermo. La porta si apre macchinosamente in un frastuono da fonderia. Lei Che Aspetta serra le braccia e inspira. Suoni e rumori ripiombano dal cielo con solo un boato sordo: un tonfo brulicante che si spalma diluendosi come un’onda sismica venuta dal cosmo. Come trovarsi nel centro esatto di un tuono. C’è un piccolo surriscaldato e lento principio di movimento, in ogni braccio, mento, dito e piede. E’ infinitesimale: si muovono di nuovo tutti. Le monete atterrano. Lo sputo si spiaccica. La marmellata straripa. Il libro si spagina e si richiude. Ci sono profili che tagliano ogni sguardo con il loro movimento scuro. E’ come una foschia che sale dalla dinamica calda dei corpi. L’uomo crede ancora che tutti lo guardino. Nella variopinta interferenza di gente che si muove in tutte le direzioni una guancia diventa una pesca. Due dolci parentesi tonde incorniciano un lungo sorriso.                                                 

Matteo Fulimeni

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

 

One Response to “Lei Che Aspetta.”

  1. Gabriella scrive:

    Per due volte ho iniziato a leggere e per due volte ho abbandonato… non reggevo il senso di caldo e stanchezza che trasmetti. Ma oggi è fresco, sono riuscita facilmente ad andare oltre… è stato bellissimo. Immagini reali che diventano fantastiche ma poi… “una guancia diventa una pesca. Due dolci parentesi tonde incorniciano un lungo sorriso”, sei geniale! trovo questa immagine geniale! Incredibile, ho sempre visto la stazione come luogo degli addii! Come ho fatto ad indossare un filtro così potente? Comincio ad amare le stazioni! Altra… “iniezione di veleno bianco”. Matteo, SEI UN RAGAZZO GENIALE! non prendertela, ma bisogna urlarlo a tutti!

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