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Godere senza pagare – parte prima.

Sirolo (AN) –  Forse perché sono ingenuo o distratto; o ingenuamente distratto o distrattamente ingenuo oppure scemo, ma nominando Sirolo & Numana ( destinazione di questa mattina, sotto un bollente cielo disordinato, il cui caldo peso comprime l’asfalto drenante dell’autostrada, sulla quale galleggiano, in lontananza, piccoli effimeri laghetti di piombo ), la mia ingarbugliatissima mente ha da sempre stabilito immediate associazioni con una serie di sostantivi come “natura” e “mare” e i loro relativi, fondamentali attributi “incontaminata” e “limpido”. Forse non sono il solo. Tuttavia la parola chiave, molto più prosaica, è “servizi”. E il blasone dei blasoni dei “servizi” di questi celebri posti di mare è senza alcuna ombra di dubbio la bandiera blu. Ancora prima di entrare a Sirolo, ancora prima del cartello con su scritto Sirolo, dopo una lunga strada che gira attorno alla gobba pelosa del Conero e costeggia numerosi capannoni industriali circondati da prati ultrainnaffiati e di un verde alieno, accecante, la scritta cubitale “BANDIERA BLU” si erge spavalda, arrogante e autocelebrativa, racchiusa in un grande rettangolo non per niente blu, infilzato nel prato verdissimo di uno spartitraffico presso lo svincolo che conduce al centro città. L’enorme, perentoria scritta, nella sua solidità irremovibile di installazione permanente, sembra voler mettere bene in chiaro che la reputazione, il prestigio, l’ottimo giudizio tributato, ormai tradizionalmente, alla città, le appartengono e le apparterranno di diritto fino alla fine dei tempi. E’ un po’ l’atteggiamento di uno stimato cattedratico che agisce al di sopra di ogni possibile giudizio forte del suo peso politico negli equilibri accademici ( insensibile al fatto che il suo stesso valore sia ormai realisticamente scaduto oppure, in qualche misura, ormai ampiamente comune a molti suoi colleghi più giovani ) ( O che lo stesso criterio che giudica il suo valore sia ormai annacquato e svuotato delle sue istanze fondative ) ( Rendendo i vanti altezzosi del cattedratico assai ridicoli ) ( Per dire che la bandiera blu è ormai un riconoscimento assegnato a chiunque sia così gentile da farsi lo scrupolo di non gettare barili di rifiuti radioattivi nel proprio mare, e spesso è sufficiente che non si esageri coi barili )  Però in sé resta misterioso, ai miei occhi, che un luogo che deve gran parte della sua fama alla valutazione che se ne dà – al punto tale da farsi precedere da quella stessa valutazione –  sia così popolare. Come se i meccanismi che regolano la notorietà e la simpatia dei luoghi funzionassero in maniera diametralmente opposta a quelli che ordinano gli stessi fattori nelle relazioni umane. Se un posto come Sirolo fosse un essere umano, quindi, devo per forza immaginarmelo come un secchione rachitico, pallido e col farfallino, gli occhiali spessi, un’egida di voti impeccabili e una sfilza di lodi che sfila per i corridoi della scuola accompagnato da una corte di tettone biondissime strizzate in abiti succinti che lo vezzeggiano e lo lusingano in tutti i modi, celebrandone pubblicamente il fascino irresistibile. E’ chiaro come un’immagine del genere non possa competere alla realtà più di quanto non competa al bagnato mondo onirico del nostro simpatico secchione (che molto probabilmente, nella realtà, sarebbe pestato o acciaccato o perlomeno isolato ), ma, a quanto pare, per i posti è diverso. E quello giudicato impeccabile, per qualche stranissima, bislacca ragione, finisce per essere un campione di popolarità, nel nostro euforico, allegrissimo, anfetaminico mondo tutto matto.

A Sirolo i parcheggi più vicini al centro sono tutti blu, a pagamento. Ma ce ne sono alcuni gratuiti a qualche centinaio di metri di sofferto cammino tutto in salita; e da qui, intorno alle nove, si snoda una specie di sgargiante carovana tuareg – nella quale mi infilo – appesantita da ogni sorta di arnese da spiaggia che procede inerpicandosi affannosamente, votata al calvario dal tanto nobile quanto meschino desiderio di godere senza pagare: un desiderio di evasione e di riscatto da ogni responsabilità talmente totale e obnubilante da produrre lo spettacolo paradossale di uomini che soffrono ( e ansimano, e rantolano ) allo scopo di estirpare anche solo l’idea di pagare, fisicamente, economicamente e simbolicamente, per quanto andranno a godere. E’ una spettacolare e affascinante processione di amabilissimi illusi alla quale mi aggrego fin sotto le mura del paese, che, in sé e per sé, sarebbe un tipico borgo antico di cui la nostra bella penisola è disseminata, ma la cui seconda natura, quella turistica, domina incontrastata sulla prima. La facciata dell’arco gotico sotto al quale mi inoltro per dare una veloce occhiata al piccolo centro storico è signoreggiata dall’insegna – in caratteri argento e provvista di faretto notturno – ROCCO LOCANDA RISTORANTE. Le indicazioni sono esclusivamente indicazioni turistiche, e nelle vie si incontrano negozietti di tipicità alimentari, negozietti di abbigliamento, negozietti di ceramiche, negozietti di roba per il mare ( che quasi spariscono sotto coltri di ciambelle gonfiabili dal piacevole odore artificiale ); eppoi gelaterie, trattorie, osterie, eppoi enoteche a profusione: una profferta sconsiderata di proposte alimentari. Sto sottolineando aspetti risaputi, però c’è anche da dire che per le vie del centro si avverte una certa gentilezza, una delicatezza discreta, una specie di pace sedativa, quasi geriatrica. La piazzetta, con due tre american bar, cosparsa di luminose seggiole d’alluminio, è allo stesso tempo una terrazza panoramica: la gente passeggia sul belvedere o s’impunta romanticamente – dando le spalle alla piazza – davanti al panorama mozzafiato. La musica si spande dagli altoparlanti ad un volume mormorante e molti siedono sulle panchine e leggono. Mi faccio una granita.

La spiaggia proprio sotto la città si chiama Spiaggia Urbani. Me lo dice una grande mappa che sta appena al principio della discesa che porta, appunto, alla spiaggia. Ci sono altre due spiagge, più a nord: la spiaggia di San Michele e quella dei Sassi Neri. Eppoi c’è lo scoglio delle due sorelle, praticamente una lingua sottile proprio sotto il muso roccioso del Conero, che si raggiunge solamente dal mare, con un battello che si prende a Numana. ( Nota: ormai mi dedico solo a Sirolo, sia detto ). Volevo, in realtà, prendere quel caro vecchio battello, ma poi ho realizzato che sarei rimasto bloccato per un’ora sulla spiaggia delle due sorelle, terribilmente piccola e scomoda, annoiandomi, probabilmente. Adesso, asciugamano in spalla, scendo giù. Si può scegliere, per arrivare alla spiaggia, di percorrere una strada tortuosa e senza marciapiede oppure, ma lo capisco solo dopo, solo dopo aver rischiato di essere spazzolato via dal parabrezza di un autobus navetta, tagliare ogni tornante in un apposito, freschissimo percorso in mezzo al bosco, scendendo ripide scalette ricavate nella terra e puntellate da assi di legno di pino. E’ un percorso che richiede attenzione per la pendenza, ma l’anziana signora che mi precede, avvolta in un kimono blu elettrico, è un vero e proprio satanasso della specialità. Ora, scendendo, piano piano un tarlo di lieve, frustrante disperazione, si avvita sinuoso  attorno alle tue aspettative di godimento sine pari: anche qui il godere senza pagare trova il suo frustrante risvolto, il suo dileggiante scacco, una prolessi malinconica simile a quella che si prova il primo giorno di ferie, il primo giorno di vacanza, subito dopo il primo bacio, o, se qualcuno ne avesse potere, appena, vagendo, si compiono i primi respiri: è la tipica, infida sensazione, il più delle volte inarticolata, che ti annuncia, sussurrandotelo malignamente all’orecchio, che le ferie finiranno, e le vacanze finiranno, così come l’amore e la vita. Scendendo adrenalinicamente verso la spiaggia inizio a non tollerare l’idea di dover rifare tutta questa strada a piedi sotto il sole di mezzogiorno, e per giunta in salita. Si tratta di questo.

Continua…

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

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