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Poteva credere,forse, che dormivo.

Murlo (SI) –  Non stavo dormendo. Tenevo gli occhi chiusi, però, ed allenavo il mio respiro a una lentezza ed a un’intensità esasperate; a volte, quasi impercettibili, costringevo i miei nervi a degli scatti innaturali. Così lui poteva credere, forse, che dormivo. Sapevo il suo sguardo percorrermi tutta, lo percepivo sottile sul mio corpo scomposto dopo l’amore, sul mio corpo sudato. E lui,sicuramente, sdraiato su un fianco, mi guardava. Ecco i suoi occhi posarsi sul mio piede piccolo, morto, così teso fino a pochi minuti prima, così implorante.Poi sulle gambe, le ginocchia ancora piegate.  Lo sentivo cercare nella memoria, quasi fosse accaduto anni prima, il momento in cui le tenevo divaricate e attente, in cui mi compiacevo della loro agilità sgraziata. Confrontava le sue mani con le mie, o meglio immaginava le nostre dita contorcersi ancora, schiacciarsi, ferirsi,con un rumore di ossa rotte. l capezzoli, freddi e rilassati, gli sembravano un grumo di pittura da distendere. Sapevo che avrebbe voluto ferirli e rendere omogeneo il mio seno appiattito e schiacciato dal sonno. Pensava a quant’era acuto, prima, roseo e spaventoso. Avrebbe pensato che la linea dello sterno, larga e ossuta, non era di donna o di uomo, ma l’unico punto del mio corpo senza definizione e senza sesso. E poi  eccolo ( lo sentivo! ) immobile guardarmi ancora, lentamente, senza capire cosa fossi, perché qualcosa gli sfuggisse. Ma si sarebbe ricordato, ne sono certa ( e avrebbe capito tutto! ) dei miei capelli immobili nel suo piacere, legati dietro la nuca, fissi e fermi anche nella sfrenatezza, del mio volto senza espressione, della mia posa remissiva d’altri tempi, proprio come se già stessi dormendo.

Arianna Livietti

Murlo (SI) – Eravamo a Murlo e Arianna s’era messa le scarpe, rinunciando all’eleganza, perché dalla mattina soffriva come di una rabbia. Ho fatto passare tutto il giorno, poi la notte le ho suggerito di rimanere scalza come me. Di notte siamo rimasti in piazza a Murlo come la notte prima, con le piante nude sulle mattonelle di cotto scabre e ancora tiepide. Arianna aveva piedi molto piccoli, cerei, quasi invisibili. Chi è a Murlo va a letto presto, tutti gli altri non trovano motivo di restare a Murlo. Avevo allora capito che tutto il paese era come un’intima camera da letto. Situazione strana e soave. Dato che c’erano due gatti che si annunciavano, con strepito e lunghe minacce, una  aggressione erotica, e che a Settembre, per quanto caldo, la notte inizia ad essere sgarbatamente fresca, per questi due motivi, forse, devo averle chiesto se potevo arrotolare i miei piedi ai suoi, sfregandoli quasi fraternamente. Fummo tutti e due sorpresi di notare come, dall’acchito dei piedi, gradualmente, i nostri corpi si avviluppassero come serpenti neri su un letto di sabbia bianca. Alcune parti anatomiche vennero scoperte, con una furia repentina, e la nudità fu incompleta e disordinata. Malgrado ciò, il nostro vocabolario continuava ad essere forbito. Io volevo che lei si “chinasse”, lei esigeva che mi “capovolgessi”: entrambi, comunque, “capitombolammo”. Quando  mi porse il suo coltellino svizzero, per renderla più vulnerabile recisi il suo peloso cordone ombelicale. Arianna appassì come Sansone, svenevolmente. Lo sviluppo di questi eventi, organizzati in un tempo brevissimo, al pari di una disgrazia improvvisa, ci avevano spinti verso una sorta di completamento o perfetto incastro. Accadde, com’è naturale, quel momento di rantolo dolce che è l’esatto opposto del gelo di uno spavento quasi mortale. Fu un attimo di tempo molto caldo. Eppure, eravamo ugualmente vulnerabili e prede quasi sicure di una vergogna ( se non ci fosse stata una forza, a legarci, come un mutuo accordo anti-vergogna ). Poi, siccome dalla mattina promettevo di ucciderla, poggiai la testa di Arianna su una mezza trabeazione e calai la mia mannaia – l’avevo tenuta in tasca per tutto il tempo – sul suo collo sottilissimo. Omesso il grido di macellazione, la testa mandò invece un frusciante sospiro, e si velò. Lei era bella. Mi alzai, deponendo la testa mozzata e gocciolante in un vaso di gerani. Sedetti, e per la prima volta in vita mia fumai una sigaretta. Guardavo il cielo tranquillamente: dentro alle poche luci i pipistrelli schizzavano come le faville di un falò.  

Matteo Fulimeni    

© Giovanni Marrozzini

4 Responses to “Poteva credere,forse, che dormivo.”

  1. Mariapia scrive:

    M E R A V I G L I O S O….!!!!

    Complimenti ad entrambi.

  2. Rosalia scrive:

    grazie! emozionante…

  3. s. scrive:

    che intensita’… un viaggio dentro i pensieri. una mente appoggiata al corpo, come quel velo al cranio…non riesco a descrivere le sensazioni che mi ha lasciato…

  4. Roberto scrive:

    Lei molto molto oltre lui. Lui molto molto deludente. Lei comunque l’accetta ugualmente, ma non c’e’ confronto.

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