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Tarantolata.

Lecce – Quaderno pugliese.

I

Per almeno duecento chilometri rettilinei il sole tramonta lento alla nostra destra. L’autostrada è sferzata dal vento. Gli alberi che tentano di ornare i cavalcavia sono scossi in maniera uniforme, corposa; le chiome, di un verde dorato, nei loro orientati turgori, sembrano alghe mosse da una corrente. Tornando in Puglia si scopre, senza che lo si fosse ammesso, di amarne i colori e gli orizzonti con il trasporto immaturo dello spettatore recidivo che durante il viaggio indica dappertutto e instrada i propri compagni di viaggio dentro ai suoi già sperimentati stupori, probabilmente scocciandoli. E’ l’apparente monotonia di una pianura continuamente rotta da fugaci variazioni sul tema, saliscendi tesi nello spazio fin quasi all’impercettibilità, illuminati da una luce rossa, obliqua e radente, spremuta, di cruenta elegia, capace di accendere le cose con una violenza pittorica, perorante ed esclamativa. Riscoprendolo, a tutto questo ci si sente legati  da una dimestichezza intima, ansiosa di vincere, al gioco puerile di riconoscimenti e agnizioni, la conferma a un patto già stipulato, riscoprire i posti: riecco il profilo buio del Gargano che dura per chilometri, accompagnandoti come un commilitone, le scavatrici chine ad imbeccare le cave di terra rossa simili a nidi preistorici, le bianche pale eoliche, sincroniche come ginnaste, mentre ti sospingono con la loro rotazione solenne, il fumo bianco dei roghi di sterpaglie che si avventa sui campi neri e dissodati con la continuità inesauribile di un fumogeno. Eppoi, più avanti ancora, lasciata l’autostrada, nella luce azzurro cupo dell’imbrunire salentino, le rumorose e confuse file ai semafori, gli umidi neon delle pescherie in disarmo, i furtivi incontri sugli orli sporchi delle strade, il nero, smerlato profilo di una mastodontica raffineria dalla quale occhieggiano mille glaciali pupille.

II

L’autogrill, che non è tale ( ma una catena locale ), ha una distribuzione di scaffali da labirintite, inutilmente complessa. E’ deserto, e i due baristi stanno con gli avambracci affondati nella pancia di una macchina per il caffè, in un maldestro tentativo di riparazione. Con uno zelo che li solleva da distrazioni tipo il sottoscritto, assetato di caffè, anche se non c’è nessuno, mi rispediscono alla cassa, per lo scontrino. Il cassiere, mellifluo, sta assortamente sfogliando una rivista, compito che pare assorbirlo completamente. Sto ad aspettare che si accorga di me con una strana sottomissione, e quando mi preparo ad un mugolio seccato che mi segnali, orienta lo sguardo verso di me, beffardamente. Gli pare troppo faticoso un resto da diciannove euro per un caffè, ma siccome sono risoluto e non arretro, mi rifila una vendicativa montagna di monetine da cinquanta. Ne distribuisco un po’ alla signora che, con la sua ingombrante discrezione, presiede a cessi e orinatoi, in grandissimo numero, come i lavandini, e tutti perfettamente lindi. L’asciugatore, naturalmente, mugghia ma non asciuga. L’offerta musicale è fatta di dischi squallidi, al di sotto dello standard comunque basso e dozzinale degli autogrill, cd avvolti da cellophane anemico, cantanti neomelodici afflitti da ingiustificabile megalomania, Albano, compilation di un festival bar del millenovecentodiciassette.

III

Il sagrato di San Pietro e Paolo a Galatina, dove sono seduto a leggere e a bere, è battuto in fila indiana da una scolaresca. C’è una luce stanca sotto un cielo basso e fresco. Bisogna faticare per immaginarsi il Salento in inverno: il lastricato che si lucida e ribolle d’acqua, i prati che si imbevono di pioggia, gli aranci ornamentali sbattuti dalla burrasca, la multistratificata sfumatura degli intonaci – rosei o sabbiosi, con le crepe nervose che risalgono sino all’orlo dei tetti, piatti e irti di antenne – che appassisce mestamente nella luce affievolita, come un colore che cola via da un quadro, le vaste piazzette sfollate, il silenzio dietro alle persiane rose e tarlate; la fantasiosa proiezione ha il sapore sofferto di un’ingiustizia. Il movimento che c’è oggi è ostinatamente allegro, invece. I ragazzi che escono da scuola danno vita a isolati raduni, di dimensioni diverse: ancora sbracciati, o coi pantaloni corti, insistono a donare, fin quando possono, un tono informale alla loro routine. Quattro cani randagi, senza curarsi di nessuno, infilandosi nei pertugi impossibili del traffico, regolano cocenti controversie.

IV

Cappella di S. Paolo, piccola, inattesa, accanto a un caffè, profanata da quello che oggi è Palazzo Tondi a Galatina. Dentro, un grande ritratto di San Paolo, innestato su un altare di pietra leccese. Quattro seggiole alle pareti un po’ sfatte, due file di panchette, molti lumicini rossi alla base dell’altare. Il pozzo miracoloso, fregiato da uno scolorito affresco del santo, è ormai in un ombreggiato chiostro secolare. Qui guarivano le tarantolate, o tarantate, cioè donne morse dalle tarante, impegnate in una specie di pellegrinaggio autogestito. Per guarire cercavano un contatto con San Paolo, al quale era dedicata una convulsa opera come seduttiva. Nel corso del delirio le donne potevano inerpicarsi sino in cima all’altare, restando selvaggiamente aggrappate agli arabeschi barocchi, dando vita a sconvolgenti tableau vivant. Non si può prescindere dalla metafora sociale e di genere, comunque: guarire una tarantolata impegnava forze anche economiche, perché si allestivano canti e balli, e i costi erano a carico di quella stessa famiglia nella quale la donna aveva un ruolo subalterno, ma che adesso poteva restare per un po’ al centro della scena. Non a caso, scese nei campi nel periodo delle tarante, fra Giugno e Agosto, le donne restavano spesso avvelenate, e il pretesto dell’avvelenamento consentiva un reclama socialmente garantito, forse l’unico, in quello che sembra un femminismo ante litteram dove la rivolta, l’esplosione isterica di energie sopite, deve essere giustificata da un concreto pericolo fisico. Questo ce lo spiega Valentina.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

2 Responses to “Tarantolata.”

  1. Mariapia scrive:

    Il sole, il mare, il vento. È la natura la prima cosa che colpisce arrivando in questo lembo di terra sospeso tra due mari. Il Salento: affascinante e misteriosa terra di mezzo, tanto quanto il tarantismo “che sembra una femminismo ante litteram” connotatosi come fenomeno storico religioso in particolar modo in Puglia. Peculiare e magnifica descrizione di Matteo. Splendide e intriganti foto di Giovanni.

  2. Massimo M scrive:

    Questa volta ho osservato con cura e soddisfazione 7 fotografie.
    M

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