COPERTINAITALIA_ALB7984

Alberi che muoiono bruciando.

Castelluccio di Norcia (Pg) – Sul nero laccio d’asfalto lasco e avviticchiato, la luce giallina sparpagliata e le buie paludi d’ombra di volte tronche e cangianti – lo slancio di un capriolo in un cartello di pericolo – il primo deshabillé dei boschi curvo sulla strada, campitura oro luminoso distesa dappertutto e l’assedio di lingue troppo rosse in fiamme ed emorragie rubizze e rugginose di obsolescenza, acriliche e tese a ramificate nuvolette verso l’alta statura dei monti – alberi che muoiono bruciando – attecchite alle enormi pendici le cui calve sommità, tenere e bistro, sono solcate da isole d’ombra liquida e obliqua, le auto lasciano dietro di sé un velocissimo pulviscolo di foglie – altre foglie lunghe sui rami verso terra e pregne come baccelli, inferte le folate innaturali, crollano dai rami sull’asfalto come neve bagnata e azzurra il terzo giorno di disgelo – altre foglie più leggere si avvitano leggiadre per spalmarsi immobili contro l’opposto moto del parabrezza e concludere la loro scivolata sul tettuccio laccato di cielo, e così involarsi sdrucciolamente verso l’epilogo del loro epilogo: Montemonaco, Montegallo, le povere presenze, le piazzette solitarie, le piccolissime insegne dei bar, gli anziani ai tavoli che non tolgono il cappotto, le deserte pompe di benzina, le botteghe con gli scaffali semivuoti – e dal valico sopra Castelluccio, appena dopo la pietra di un abbeveratoio, oltre la V di valico, più avanti e più in basso, nella piana, sta annidato segretamente un bianco pullover di nebbia,  la piana è invisibile, celata, ma quella nebbia qui si sfilaccia agli orli, in bianchi vapori termali che si disperdono freddi fregando coi gelidi, rasposi peduncoli le coste di terra indurita sparse di grossi grani di pietrisco, teste di umile, timida avena, ciuffi ecrù di erba brulla e stoica, crini di terra satura e nera appena rivoltata,  un asfalto che scende ancora tortuoso minato da bombe di letame – la doppia sinuosità di due dune in un cartello di pericolo – mentre dal basso tetto immusonito di una terra senza orizzonti, ora, nel cuore nero del pullover, incombono albumi violetto e smalti di bianco accecante dove il sole si rifrange e si riflette diffuso e incrementato, mentre dalla costante sutura dei pali per la neve i corvi si gettano gravemente, con grandi, sporchi battiti d’ali, picchiando, cabrando e sorvolando le strade smangiucchiate, spelacchiate dalle soste, pesantissimi, opprimenti: c’è un lontano borbottio di cinghia, nudo e prosaico, c’è il fischio di un’auto in avvicinamento, un gargarismo avicolo, un sibilo che culmina in una macabra occlusione, per il resto un silenzio filettante, e man mano che la nebbia si screma, e ora le chine appaiono pezzate, a partire da punti intermedi, in precise, autonome topologie continentali, solcate da morene, o inghirlandate di tetri boschetti di aghifoglie, le scistose teste di ponte lanciate oltre il contorno di un celeste netto da carta regalo, ora le infiltrazioni di luce ungono gli orizzonti più lontani di veli azzurrini o piombo, indistinti e quasi marini, col tramezzo di statici armenti, mucche, tori, tendenti al bianco, con le loro palesi anatomie, fermi di profilo e le lunghe occhiate rivolte e riflessive e lo spasmodico scodinzolio auricolare, oppure genuflessi come ciottoli sbaffati, l’odore caldo e ricco del letame che sana l’aria pungente e noncurante delle piana, le pecore, che a mutate distanze sembrano tuberi sradicati o zolle, e i loro movimenti complessi come quelli dei formicai oppure ordinati e scolastici, e tutt’intorno il grande loggione dei monti, sbiadito in fondo come dietro una cascata, impreciso, e il poggio concentrico del paese a presiedere, la dolce attaccatura dei monti, il brusco stacco dal giallo paglia al Russet man mano che si sale, un affollato svolazzo d’uccelli un uccello spiumato, i dischi isolanti dell’elettrodotto gocce traballanti di rugiada. 
               
Matteo Fulimeni  

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

Lascia un commento