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La pausa silenziosa dopo la catastrofe.

Pompei – Albano Laziale – Dapprima una pioggia saltuaria, mattutina e indecisa, con piccole spaurite gocce che s’incollano scuotendosi al vetro come mosche instupidite su una carta pesticida. Solo dopo essere sfuggiti al sovraeccitato e negligente gomitolo delle strade pompeiane la pioggia acquista un temperamento più solido, e cade obliqua e aguzza, con costanza snervante e senza cedimenti da un cielo piatto e sulfureo. Intanto, accanitamente, ondate di brutalizzato paesaggio suburbano si frangono con insolenza contro la linea di un’autostrada dai lavori perpetuamente in corso, che gli anchilosati cartelli di “stiamo lavorando per voi” connotano come una beffa. Flottiglie di palazzine pigiate l’una contro l’altra, la costante decorazione underground dei frangivento, la lenta stratificazione di impudiche carrozzerie, le avventizie discariche sotto i complessi viluppi delle campate autostradali modulano il debole guaito di una vittima nel rauco e sconvolto grido di minaccia di un carnefice. La stessa autostrada è una lama che incide impietosamente, passa tra campi che grondano di nero, o occupati dal bianco asettico e avvilente delle serre, o visitati da sporadiche pinete, o persino da eleganti ville di campagna i cui viali si srotolano accidentati come lingue mozzate, sventra caseggiati e decapita antichi e inermi acquedotti romani. Silos, cisterne, case del dopolavoro ridotte a squallidi lupanari, e in mezzo a tutto questo, vecchi inestimabili tesori che, nelle forme di un campanile o di una cupola, sbucano con l’affannoso eroismo di uno splendore ormai depresso dal risoluto fango che li attornia, dove già allude una bellezza impegnata a comporre inediti e cinici paradigmi ( la bellezza non salva il mondo, vi si adatta ): certi orrori edilizi le cui linee sgraziate suscitano tuttavia un allettante solletichio interiore, quasi imbarazzante, mentre ci si avvede che un’altra piena inarginabile, quella dell’adattamento, sta già aprendo una breccia dentro di noi, e alla fine ci persuade che nella pausa silenziosa dopo la catastrofe respira e palpita l’unica possibilità di ritentare, di ricominciare e insistere, di evitare le derive, continuamente.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

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