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Angoli di grazia logica.

Monte Sant’Antonio – Area archeologica di Tamuli  – L’altipiano di Tamuli è tutto un roveto impregnato di arsura, cinereo, sciupato dal Maestrale instancabile. Le poche querce da sughero penano a trattenere le chiome, spiegate e affusolate come le nuvole, strette fra queste e le loro ombre oleose, che si affastellano nere sui campi, inarrestabili, sul pelo tirato di un acquitrino freddo, nemico, pieno di cielo, alle cui rive si abbeverano umilmente tre bestie al pascolo. Sacchetti di plastica crocifissi ai rovi, azzurri e laceri, tremanti. Intangibili pastori maremmani sovraintendono pascoli lontani. Aridi velli di stoppie divelte ammantano il terreno di un grigio morente, quasi avorio, sparso di massi nuragici avvolti nel muschio verde come nel velluto, testimoni spaiati e inattendibili, riassorbiti dal mondo che consuma il mondo a furia di vento: passandoci come su un letto di pietre, poco a poco, si raccolgono in un  grumo di intelligenza ancora chiaro, dove resta un antichissimo baluardo di progetto, dai lineamenti intatti, tombe, necropoli con fondamenta icastiche,  le esedre aperte in un abbraccio, inni di pietra alle divinità, e un nuraghe appoggiato alla roccia, confuso e modellato su di essa, imbacuccato di brughiera, dalle inesplorate oscure interiora ogivali, piccolo mondo nel mondo, con piccole crune e feritoie dalle quali affacciarsi al mondo, frustato dallo stesso vento anche allora; assistere da lì al tramutarsi del terrore in turbamento, immaginare i primi rozzi tentativi inevitabili di sottrarsi all’animale, la mutazione alchemica dell’orrore in una cosa da descrivere, da gratificare con aggettivi e preghiere – l’unico senso dell’uomo è dare un senso alle cose: sparuti angoli di grazia logica, di illusoria matematica, di patetico, pretenzioso schematismo delle cose, come se dietro alle eclittiche e agli apo e agli ipogei e dietro alla ripetitiva mai elusa meccanica di ogni singola alba, come pure del suo scivoloso stagionale oscillare lungo l’orizzonte, del suo riflettersi acquoso sui profili delle smilze foglie degli ulivi, non esistesse un’infinità ingovernabile di combinazioni, una straziante collezione di ferite. Scoperto il fuoco, trovato un tetto, al momento di morire, la natura è bella: è il commiato che la rende tale, la distanza, la mancanza di contatto. Ma non c’è niente in lei di giusto, di ospitale: l’uomo non canta la natura, non l’ha mai fatto, canta se stesso tramite lei. E’ la sua unica rivolta possibile: ecco perché, la poesia.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

One Response to “Angoli di grazia logica.”

  1. martina scrive:

    bellissime le foto !!!!! eil commento! grazie Massimo

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