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Cani neri.

Lecce – Quaderno pugliese

XII

A Casalabate mangiamo un panino sotto il basso torpore di un sole che va lentamente asciugando la piazzetta. I cani mendicano allineati di fronte a noi, una supplica senza dignità nello sguardo. Si riconosce una gerarchia piramidale nella loro disordinata socialità: il capo dei capi è nero e grosso e affusolato, e non fa che manomettere prepotentemente le manovre approvvigionatrici degli altri. Il più sottomesso è anche il più ostinatamente supplice: magnanimi, gli gettiamo sporadici tozzi di pane. Tra di noi, gli schifiltosi si dedicano alla beneficenza più ipocrita liberandosi di pendule bave di grasso carpite al prosciutto del panino. Nemmeno a farlo apposta, nel mare qui vicino, fra le onde ancora scosse e sotto un cielo torvo, galleggia, col suo diretto, urlato simbolismo, un cassonetto della spazzatura. Epilogo di una conversazione origliata mezz’ora prima dall’alimentari: “…è stato il vento forte, non si spingono a tanto”. Mi piace supporre morbosamente sulle entità ritrose che venivano appena evocate nel discorso, e, per di più, avere una prova ennesima di quanto un simbolismo elementare sia emotivamente mille volte più potente di una verità cruenta: lo stesso motivo per cui un documentario o un servizio al telegiornale ci alienano la situazione che denunciano permettendoci di continuare a tracannare il nostro cheeseburger, sbavati di maionese, mentre guardiamo negli occhi un bambino somalo assaltato dalle mosche. Hanno accusato Nolan di una pigra e volgare fantasia nel concepimento del limbo di Inception, ma nessuno sa che il regista dello stopposo e anaffettivo polpettone trova degli illustri predecessori negli illuminati urbanisti di Casalabate. Ecco le case, arcigne, basse, squadrate e tignose, sporgere verso un mare incazzato i loro musi di chiatte asserragliate dentro la segretezza di spesse mura che racchiudono massonicamente cortili resi acquitrini dalla pioggia, caldi e pestilenziali. Ecco il mare schiantarsi contro le alte mura dei cortili dopo aver divorato la spiaggia, la cui difesa, ora, è affidata ad una fortunosa, sconfitta scogliera. Sono seconde case, tutte abusive, e fanno vomitare. Questo è uno di quei contesti che si descrivono ricorrendo alla parola “stupro”, ma usando la parola solo al primo grado della sua completezza. Ciò che distingue una semplice violenza da uno stupro, è che, oltre all’atto di aggressione, c’è il godimento testardo dell’oggetto riluttante che abbiamo trattenuto con l’atto di aggressione; in altri termini, c’è il fatto che si fecondi una cosa che noi stessi abbiamo reso insalubre. E’ quello che avviene qui, dove la gente viene a passare le vacanze, e non ha senso. Più tardi, in uno dei pochi chalet ancora aperti, ci fanno provare un caffè ghiacciato al latte di mandorle, anche questa una specialità. E’ buono. G mi dona un amuleto e s’innamora del cd filodiffuso e fa altre cose romantiche. Sui vetri dello chalet stanno appesi articoli di giornale che raccontano di utopici piani di risanamento, decantati con una frustrata esaltazione  (vorrebbero risanare e ricostruire tutto in un colpo, ma già piangono sui mancati finanziamenti ). Questi piani non funzionano, non possono. L’umiltà è una funzione della gradualità. Il resto è uno che prima di addormentarsi gli piace immaginare di essere un genio.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

 

One Response to “Cani neri.”

  1. fago scrive:

    mamma mia ragazzi queste foto fanno paura… è scandaloso!!! è molto forte la tua pagina di diario Matteo, complimenti!

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