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Asteroidi in rotta di collisione.

Torri del Benaco (VR) – Davanti al lago piove a schizzi e a spasmi una pioggia che lascia molti vuoti. Restiamo incolumi, fra una goccia e l’altra, se ogni goccia ci fa la grazia di schivarci, o ci condanna, nel martellio senza scrupoli del cuore, senza una pausa vera. Un’onta ogni rado ticchettio, ogni battito sulla giacca, e abbiamo pretese senza buonsenso. Il cielo è un opale che cova, nella sua dura, fredda fornace, bagliori di magenta, e tentativi sempre tragici di azzurro; brevi aurore o battiti o fremiti o fumose nervature corrono sulla sua pelle sorda come su una grondaia di rame in una notte dolorosa. Smalti dai miseri, inadempiuti destini, e la pelle del cielo è la pelle di una statua. Le barche hanno smesso di oscillare, nella baia, gli alberi maestri non battono più il tempo, e qui, dove si raccoglie intimamente, l’acqua è un barattolo di tempera troppo pieno di colori, olivastro, da buttare. Questo molo deserto, coi sui tappeti di foglie srotolati, è un boulevard di castagni gialli e piante imbustate per l’inverno, troncato e affogato da acque calme, lente e collose, colme di stanca insensataggine come una trincea fumante, abbandonata solo per scavarne una nuova poco avanti. C’è la solita incerta pace piena di crepe. Alla cieca, nel punto più lontano, acqua e cielo sfondano i loro steccati, nella ferocia muta di una guerra che non dà segni esteriori, se non attimi in cui l’orizzonte perfino soccombe, in una innaturale, orrenda uniformità, rotta da colori affini che guizzano e si straziano come rifinite lame, o lingue arricciate e gonfie di cielo che leccano ingordamente le acque piatte, implorando o schernendo, con effetti inaspettati e evidenti, a sbalordire, mentre, di quando in quando, dal ricamo di dieci liturgiche dita di nebbia sguscia un improvviso, immobile battello, inesorabile e subdolo come un asteroide in rotta di collisione. Il lago non emette un verso, nessuna lallazione contro le storte, deformi clave d’approdo. Cellule d’acqua tremano neonate sui trifogli; appare per sparire, lividamente, il promemoria dei monti. Che cosa resta? Forse una pioggia più forte, con le sue esatte gocce, coi suoi grandi, liquidi astucci per occhiali, a battere sui tendoni, o sui tetri e pelosi palmizi, sui tettucci, contro il ferro battuto, a raschiare i garage per il suo sciabordio compensativo, il suo surrogato di marea. Il crepitio delle grondaie un ruscello artificiale. Un gabbiano che fluttua precariamente un burattino di cartapesta. Ma ancora là, sulle rive più libere, un sottile labbro d’acqua ha una luce interiore, di un azzurrino tenue, vergine, lucente. A quale mia anima credere? Quale mia anima pregare? A quale mia anima dire “anima mia”?    

Matteo Fulimeni

© Giovanni Marrozzini

One Response to “Asteroidi in rotta di collisione.”

  1. s. scrive:

    wow!! quasi come i fenicotteri rosa…pero’ li erano tanti, tantissimi.

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