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Usare il bagno delle donne.

Trieste – Sono al bancone del caffè del circolo Fincantieri-Wärtsilä di Trieste e sorseggio la mia bevanda nera. E’ una quasi notte di Ottobre e il caffè è un oblungo caffè tipicamente da circolo, un po’ spoglio, d’alluminio, dove al senso di far parte di una famiglia si aggiunge quella specie di penetrante disagio che si prova nell’accettare i limiti della famiglia di cui si fa parte – come ad esempio il fatto che la tua famiglia non voglia mai comprare i biscotti che ti piacciono, di cui ti rimpinzi, per reazione, quando sei ospite della famiglia del tuo amico più fortunato di te, con quella bella famiglia. Come in ogni caffè da circolo, il barista si muove nel caffè con una sorta di rodata devozione coniugale al caffè, e ti porge la tazzina colma di bevanda nera fumante allo stesso modo in cui un nonno potrebbe estrarre  da una dispensa una dura e sonante confezione di biscotti da tè per offrirteli gaiamente, essendo tu il nipotino in visita. Dentro alla Gazzetta Dello Sport, spalancata sul bancone, i paginoni centrali sono un defatigante bignami multidisciplinare per tutti quei pensosi cittadini che desiderino una liberazione momentanea da notizie opprimenti come la stanchezza di Ibrahimovic. Osservo sotto un’inedita e intrigante angolazione, proprio nei paginoni, il faccione esanime di Gheddafi morto sparato. Sia lodata la tecnologia, e il suo  contributo alla democratizzazione dell’arte! Walter Benjamin ti sbagliavi! La foto è scabra, sostanziale, asciutta, senza inutili orpelli o decorativismi quali vignettature, solarizzazioni, hdr. Siamo di fronte a una mano già matura, indipendente, in grado di rinunciare agli stilemi più in voga. Gheddafi appare proprio morto, con un lento cedimento della mandibola, gommoso e carnevalesco, i residui di un breve e doloroso supplizio corporale nel contrastato rigor mortis, il cranio un colabrodo rosso, i capelli spiaccicati e impastati nel sangue secco. Il giovane fotografo è senza dubbio uno sguardo fermo, antiretorico, in grado di mettere sulla stessa linea di mira una quantità di organi a scelta. Accanto al caffè, sulla destra, il parquet della grande sala in cui G, attualmente, circondato dalle sue foto Argentine, sta ricevendo una onorificenza, emette dei gemiti stridenti e un po’ imbarazzanti, catapultandoti nel pieno di un dilemma sull’entrare o il non entrare nella sala, sull’entrarci più o meno dolorosamente, laddove il dolore viene inteso come una grandezza inversamente proporzionale alla velocità di transito fino alla prima sedia libera. Ma no, non entriamo, perché farlo? In fondo al corridoio, dove brillano i calici di innumerevoli trofei, posizionati su mensole mai più raggiungibili, c’è il Grande Portone Rivelatore, dotato com’è di un campanaccio a molla davvero inesorabile. Ogni nuovo visitatore, al suono del campanaccio, cede ad una rapida e infastidita contrazione del groppone incappottato, perché, strano a dirsi, entrando in un posto, si vorrebbe al tempo stesso che nessuno si accorgesse di noi. Ma insomma, appena entrati, sulla destra, la Stanza dei Tavoli Verdi propone ottuagenari dagli sguardi assassini che praticano serissime briscole. Ho visto una elegantissima ottuagenaria alzarsi cattiva e battere un bicchiere di vetro appena vuotato sul tavolo verde del suo vicino di briscola con fare performativo: cosa significava quel gesto? Voleva dire aver vinto una scommessa? L’aver vuotato interamente il bicchiere in un dato tempo a dispetto delle presunte funzionalità fisiologiche? L’altro continuava a fissare impassibilmente le carte. E la sera sono nella Sala Dei Tavoli Verdi semibuia alla ricerca di una presa di corrente quando ascolto una specie di atroce e raggelante lamento suino, e ci metto un po’ a capire che è stato prodotto dallo schiacciamento di un particolare nervo del parquet capitato sotto la mia scarpa e non dalle misteriose oscurità davanti ai miei occhi ciechi e brancolanti. Sollevato e col cuor che si va placando come una bacinella disgraziatamente agitata  in cui l’acqua si riassesta riuscendo per un pelo a non straripare, mi siedo ad un Tavolo Verde e, preso da uno dei miei improcrastinabili entusiasmi, mi metto a leggere una paginetta di Flaiano, nel buio più completo, alla luce della mia torcia, come uno fuori di testa. E’ in questo frangente che una testa ottuagenaria si sporge  dalla fioca luce del corridoio e penetra fin dentro la Stanza Dei Tavoli Verdi per rimanere  ad osservarmi finché una vibrazione non mi fa sentire sotto osservazione. A mia volta, dopo una lentissima rotazione della testa, piena di presentimenti, fisso il curioso ottuagenario, per un tempo dilatato dal reciproco imbarazzo, mentre crolla dentro di me la forza per spiegare. Per non parlare del Grigio Cortile Dei Suicidi Dissimulati e Degli Irresistibili Autolesionisti, una specie di imbuto  nel ventre del palazzo dove i fumatori, stimolati dallo spazio esiguo, si accovacciano, strisciano, si rannicchiano e si spalmano contro le pareti alla maniera delle salamandre, come per ripararsi da una pioggia che non cade sotto a un cornicione che non esiste. Trovo demotivante il fatto che il bagno degli uomini presenti una Turca, invece della classica e a me più cara, troneggiante, languida seduta. Sopra agli orinatoi, una sarcastica scritta femminile dal tono vagamente infermieristico vieta agli uomini di paragonare il proprio pene ad un idrante e di giocare a fare come se il proprio eroico pene-idrante fosse l’unica  speranza contro un tenace, disastroso incendio boschivo. Vorrei provare ad usare il bagno delle donne, nel quale ipotizzo di trovare il più comune, affabile Wc, al quale si accede dalla Stanza dei Tavoli Verdi ( al bagno, non al Wc), ma se per caso una donna decidesse di usare il bagno delle donne nel momento esatto in cui io stesso mi trovo nel bagno delle donne – penso, dato anche il fatto che la Stanza Dei Tavoli Verdi è una stanza storicamente per me ricca di imbarazzo – il mio disagio poco virile sarebbe così difficile da ammettere e da mostrare alla donna che aspetta fuori che a quel punto dovrei restare barricato in bagno fino a provocare nella donna una desistenza da lungo assedio e una ritirata della donna che attende di usare il bagno delle donne con me dentro e alla fine sgattaiolare fuori lasciando la donna nel dubbio da spartire con altre donne su chi diavolo si fosse barricato nel bagno delle donne e non uscisse. Ma c’è una prospettiva più apocalittica. Se quella stessa donna, insospettita dal mio asserragliamento, chiamasse altre donne a valutare la situazione dell’insturabile bagno delle donne e tutte iniziassero a domandare e a bussare e a battere alla porta e alla fine, dopo aver organizzato dei turni e aver vigilato senza un attimo di tregua, chiamassero un’ambulanza per capire chi è il cadavere che giace bocconi nel bagno delle donne? Che figura di merda sarebbe, uscire di lì, a quel punto? Ecco perché decido che il bagno delle donne è off limits. Intanto, nel buio deserto e inquietante della Stanza Degli Scacchi, un cronometro ticchetta senza soluzione di continuità. Lì davanti, sulla porta della Stanza Occupata, un cartello recita: “NON ENTRARE. STANZA OCCUPATA”. Poi, nel calore insonorizzato e uterino della biblioteca, stordito dalla digestione di un wurstel lesso e di quel recondito condimento locale che per un poco non mi danna in un inferno di lacrimosa, allucinata ebetitudine, io frano, smotto, io crollo, io precipito; in un comatoso, vizioso, succulento sonno postprandiale.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

3 Responses to “Usare il bagno delle donne.”

  1. Gabriele scrive:

    Non un commento, ma un semplice e silenzioso cenno di passaggio; attento nel non muovere o rischiare di rovinare la poesia del testo di Matteo e delle tue fotografie, Giovanni.
    Ma non posso non ringraziarvi: nell’aprire i vostri pensieri a noi comparse in questi frammenti di strada che state percorrendo.
    E pure questa è l’Itaca per chi la saprà cogliere.

  2. Fabio Rinaldi scrive:

    ca..o se sei figo!
    Splendida descrizione. dove trovo altri tuoi racconti?

  3. gab scrive:

    eeeeeeeee Matteo, sei un gran figo!
    Te l’ho sempre detto! Spiccicato mio figlio! Te l’ho sempre detto! Forse pensato, fa lo stesso.
    Consiglio, se devi usare il bagno delle donne, prova a portarti una ragazza e se qualcuno bussa lei fai rispondere <>. Pensa che figurone quando esci!!!

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