Quel che rimane

Quel che rimane

La ricorrenza di oggi ci riporta ai nostri cari che non sono più fisicamente con noi, ma che continuano a vivere nel ricordo, come scrisse Isabel Allende nel libro di lettere alla figlia, Paula, “Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo.”

Spesso la fotografia diventa un filtro per elaborare qualcosa di molto doloroso, come nel caso di Sophie Calle, che da sempre lavora su temi quali il distacco da una persona cara o la rottura amorosa.

“Rachel, Monique” è un’opera che parte dalla ripresa in video della morte della madre dell’artista, esposta alla Biennale di Venezia del 2007, e che da li in poi si è stratificata nel tempo, accumulando elementi e ricordi in forma di diario a ritroso.

“E’ stata chiamata Rachel, Monique, Szyndler, Calle, Pagliero, Gonthier, Sindler. Mia madre amava essere oggetto di discussione – racconta la Calle -, la sua vita non compariva nel mio lavoro e questo la contrariava. Quando collocai la mia macchina fotografica ai piedi del suo letto di morte  – perchè volevo essere presente per udire le sue ultime parole, ed ero intimorita che potesse morire in mia assenza – esclamò: ‘Finalmente’”.

Nel lavoro c’è un’epigrafe dell’Autrice che accompagna la fotografia di un monumento mortuario che recita: “Il 27 dicembre 1986 mia madre aveva scritto nel suo diario: “Oggi mia madre è morta”. Il 15 marzo 2006 scrivo a mia volta: “Oggi mia madre è morta”. Di me non lo dirà nessuno. Fine.”; e l’ultima immagine del libro – autentico oggetto d’arte il cui testo della copertina è ricamato, con tutti i testi  dell’installazione impressi in modo da evocare la consistenza di alcune opere della Calle -, è una figlia che legge “figlia”. Dunque, oltre l’elaborazione di una perdita, il lavoro si pone come riflessione anche su altri aspetti: come commemoriamo una vita, e come saremo ricordati?

E, fra i modi di ricordare per immagini, c’è quello scelto ad esempio da Sierra Sharry, giovane vedova di Lane Smith, morto in un incidente mentre lei era all’ottavo mese di gravidanza; la Sharry ha chiesto alla fotografa Kayli Rene di inserire digitalmente il marito in una foto di lei e della loro figlia.

Questi due esempi mostrano non solo la diversa portata delle possibili concettualità, quanto soprattutto che ogni lavoro può essere pensato per ambiti di fruizione specifici: la foto della Sharry, che ricorda da vicino un film ormai cult come “Ghost”, è diventata immediatamente virale sui social…

Altro genere di rappresentazione e di concettualità è quella di “What Remains”, di Sarker Protick, membro della VII Photo Agency, e vincitore con questo lavoro del secondo premio nella categoria “Storie – Daily Life” del WPP 2015.

Protick racconta la storia di John e Prova, i suoi nonni, che dopo molti anni di lavoro per la chiesa battista, si ritirarono a vivere in un vecchio appartamento della città, diventato nel tempo tutto il loro mondo, soprattutto dopo che John si ammalò di cancro. “Fare fotografie – racconta l’Autore -, mi ha permesso di trascorrere più tempo con loro. Questo li ha resi felici, perché non si sentivano più soli. Dopo quasi 50 anni di matrimonio Prova è scomparsa. Sono andato da John più spesso in modo da poter parlare. Mi racconta le storie della loro vita , come si sono incontrati e così via. Qui la vita è silenziosa, sospesa. Tutto è in attesa.” Ed è appunto il tempo protagonista di queste foto, sospeso, rallentato, un effetto reso attraverso un uso particolare della luce.

Sono naturalmente molti gli Autori che si sono confrontati con questo tema, e proprio una rassegna, “Printemps Photographique #11”, ha affrontato quest’anno il temaLa famiglia la fotografia e la morte”.

Attilio Lauria

Tutte le foto © Sophie Calle, © Sarker Protick, © Kayli Rene