Riconoscibilità uguale normalità

Riconoscibilità uguale normalità

Ricordate la foto di Kordale e Kaleb,  la coppia di colore gay con le loro bimbe che diventò virale nel 2014? Sebbene si trattasse di un qualsiasi momento di quotidianità, non venne percepito dai più come un normale momento di quotidianità, scatenando un dibattito dai toni a tratti omofobici.

I protagonisti furono scelti poi per la campagna  “I Am Generation Image” di Nikon, che intendeva “celebrare e supportare un mondo che comunica visualmente”.

Ma ciò che c’interessa, è che probabilmente c’è un modo di “parlare” fotograficamente di coppie gay e unioni civili diverso e più articolato che non quello emozionale di una foto “secca”, il cui rischio è quello di essere trasformata in una sorta di sondaggio favorevoli/contrari, o di manifesto, a seconda dei punti di vista, come vedremo con l’aiuto di alcuni Autori.

John Paul Evans, ad esempio, in questo “Till death do us part”, “Finché morte non ci separi”, usa in maniera concettualmente autoironica l’iconografia classica della foto di famiglia, con l’obiettivo di mostrare la “normalità” attraverso la banalità di un quotidiano riconoscibile da tutti.

Attilio Lauria

Le foto © John Paul Evans

 

3 Replies to “Riconoscibilità uguale normalità”

  1. Le foto di Evans sono molto significative. Ritengo la sequenza veramente bella. Io non condivido che i minorenni siano “figli” sui documenti poiché la società è crudele con il “diverso”. Io ho una nipotina non “bianca” , amata e curata nello studio e nella vita, eppure le compagne dodicenni le hanno procurato anche le medicazioni al pronto soccorso. Immagino quanto possa essere difficile la vita sociale di minorenni di due papà o di due mamme. La società generalmente non è pronta ad accettare. Giovanna La Bua

  2. Come sempre una riflessione interessante che ci aiuterà a trovare spunti per realizzare i nostri lavori. Da focalizzare bene anche il come è stato realizzato.
    Credo che sarà proprio il come a fare la differenza.

  3. Splendide le immagini in bianconero, formalmente ineccepibili nella loro cura fotografica. Descrittive forse, ma… dove è scritto che è un difetto? Personalemente lo ritengo un pregio se le rende fruibili alla maggior parte delle persone in un “periodo fotografico” che tende sempre più al concettuale, all’interpretativo, al soggettivo, al personale. Tutti “vodus vedendi” che molto spesso rendono difficile la comunicazione tra autori e fruitori. Una “buona” fotografia deve essere in grado di “parlare” da sola senza nessn intervento di parole scritte o dette da qualcuno.