Eleonora Carlesi – Ruza u Sarajevu – Una rosa a Sarajevo
La guerra è una prova di virilità? La guerra serbo-bosniaca per la pulizia etnica usò come arma lo stupro di migliaia di donne. Le vittime delle violenze sessuali ancora oggi non hanno ottenuto giustizia e portano indelebili i segni psicologici e fisici di ciò che hanno subito. Eleonora Carlesi racconta la storia di Amela che nel 1992, a soli 18 anni, fu rapita dalla propria casa dove avevano fatto irruzione alcuni militari serbi. Il padre e il fratello furono uccisi e lei chiusa in una scuola, stuprata e picchiata per due mesi. Alla liberazione subì un’ulteriore umiliazione: l’emarginazione per quel che le era accaduto. Era sopravvissuta ma ferita a morte nell’anima. La serie inizia con un cane che, randagio, si aggira nella desolazione del paesaggio e ci accompagna da Amela, ritratta nell’eleganza dei suoi lineamenti, nell’interno in cui vive con la madre depressa. Un vetro spaccato è metafora della ferita mai rimarginata. Lei ha perso la bellezza della giovinezza in fiore e passa oltre le pubblicità di femminilità ammiccanti. Lo specchio di casa però non lascia scampo, gli psicofarmaci hanno fatto affiorare il disagio di una leggera peluria sul viso. Molti sono i danni post traumatici delle donne usurpate tra cui una visione distorta del proprio corpo e l’incapacità di costruire legami affettivi profondi con uomini. Amela però, donna di grande coraggio, è stata la prima a denunciare i suoi aguzzini dopo la guerra che ha lasciato le “ruže”, le tracce delle granate sull’asfalto e sugli edifici. La fotografia ferma il tempo ma qui qualcosa lo ha fermato in modo perverso. I buchi sui muri sono la metafora di una distruttività senza rimedio, di sadismo, di una mancanza di senso, di intelligenza. Foto come queste correggono pagine di storia ricordandoci che le grandi tragedie sono frutto dell’indifferenza emozionale che vede la donna non umana quindi passibile di crudeltà e che emargina le vittime. Questo è il vero crimine contro l’umanità destinato a non essere punito.
Biografia
Nel 2008 vince il primo premio ad una lettura di portfolio a Castiglioncello, con un lavoro sulla violenza alle donne. Nel 2010 espone al Castello di Rosignano Marittimo, il lavoro fotografico sui bambini Saharawi. Sempre nel 2010, presenta il portfolio “Non prendermi”, una denuncia fotografica contro la violenza sulle donne, che viene presentato in tutte le scuole del comune. Ha partecipato ed esposto le sue opere nell’ambito di “Fotografia Donna 2010/2011/2012/2013/2014”, mostra itinerante nella provincia di Livorno. Nel luglio 2011 intraprende un viaggio con le donne Ucraine che ritornano nel loro paese; da qui il reportage “Diaspora Ucraina” che nel 2013 viene selezionato ed esposto al Centro Italiano della Fotografia d’Autore a Bibbiena e a Lucca nell’ambito del festival Photolux. Nel 2014 viene esposto a Sassoferrato in occasione del FacePhotonews. Nel 2014 vince a Cesenatico la prima tappa di Portfolio Italia con il lavoro “Ruza u Sarajevu” (Una Rosa a Sarajevo). L’esigenza di fotografare nasce da una forte necessità di approfondire tematiche sociali e per cercare di stimolare negli altri una coscienza e una reazione critica e partecipata verso le ingiustizie, la povertà, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e, in genere, verso condizioni umane che coinvolgono precise responsabilità sociali e politiche.