Gemma Rossi – PMA (Procreazione Medicalmente Assistita)
Opera finalista Portfolio Italia 2018
di Piera Cavalieri
Per una curiosa coincidenza Gemma Rossi ha provato a diventare mamma per nove mesi con la tecnica della Procreazione Medicalmente Assistita. È questo tempo che racconta in ventotto immagini, i giorni che intercorrono tra un ciclo e l’altro. Di particolare potenza evocativa è quella di una sedia, con l’angolo sbrecciato, su cui poggia un contenitore sterile che riporta il suo nome e quello del compagno. Siamo nel centro di fisiopatologia della riproduzione umana. Gemma Rossi rileva spesso la percezione di un atto non naturale e, con quella sedia, la sensazione che accompagna ogni donna che si rivolge alla scienza per procreare, il sentirsi un po’ difettosi.
Tenere un diario per immagini di quel cammino e decidere di mostrarlo è atto coraggioso e occasione per parlare di un tema universale: la maternità. C’è chi la affronta in modo naturale, all’età giusta, nel momento giusto. Per fortuna loro, sono i più. Ma ha ancora senso parlare di procreazione non naturale quando è assistita? Le tecniche di fecondazione assistita hanno infranto questo tabù. La sterilità e l’età avanzata, non sempre, ma spesso si possono aggirare. Su questo punto c’è chi storce il naso, come a dire “fattene una ragione, la natura non ti aiuta”. Ma la condizione umana è cambiata, le nuove tecnologie ci hanno aperto altre vie. Quel che non è cambiato ha a che fare con la prepotenza del desiderio di diventare genitori, quel disperato bisogno di diventare madri, che, se si fa sentire, non sente ragione. È quel portentoso circuito cerebrale che permette alla specie umana di sopravvivere.
La PMA non è cosa per tutti ma è per chi ha questo fuoco acceso dentro e che deve fare i conti con la propria forza di accettare di essere solo un numero nelle sale d’attesa, di macinare chilometri, delusioni, fatiche, sogni e dolori, e in parallelo continuare a tenere la testa presente nella vita di tutti i giorni e nel lavoro. Tutto ciò è molto lontano dall’idea romantica dell’atto d’amore che si svolge in ben altri ambienti. Gemma Rossi, si scatta dei selfies, il suo volto è coperto, la giusta scelta per far percepire quanto ci si senta anonimi in quegli ambienti asettici. Ma è in quelle stanzette dai colori pallidi e freddi che possono nascere i figli dell’amore, un amore forte e sicuro, se riesce ad uscirne indenne.
Biografia
Ha 35 anni e vive a Taranto. La passione per la fotografia le è stata trasmessa dal padre, condividendola successivamente anche col marito. Si definisce autodidatta e da 10 anni è socia del circolo fotografico il Castello di Taranto, dove per 4 anni ha ricoperto il ruolo di segretaria all’interno del direttivo. Ha partecipato a numerose letture Portfolio in giro per l’Italia ottenendo lusinghieri apprezzamenti. Ha esposto in numerose mostre collettive e l’8 marzo 2018, grazie al curatore Domenico Ruggiero, è stata inaugurata a Milano la sua prima mostra personale: “Io sono al buio”, presso la galleria Joe Penas, in collaborazione con L’Istituto Italiano di Fotografia. Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati sulle riviste EyesOpen, Reflex e su Fotoit.