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“60 milioni” di Leonello Bertolucci

Gli ulivi del Salento, alti, nodosi, belli, che solo a evocarli generano una commozione, stanno soffrendo. Pare siano sessanta milioni come sessanta milioni sono gli italiani. Un’affinità  che non è solo numerica. Condividono, seppur diversa, una minaccia, la Xilella Fastidiosa gli uni e il Covid 19 gli altri. “Anche la terminologia è condivisa tra le due patologie: focolai, cluster, zone rosse, distanziamento. Una situazione di per sé tragica prende in questo caso i caratteri del fato avverso, di un sortilegio, di una fattura malefica. Tra distopia e soprannaturale, emerge il lato oscuro di una presenza molto avvertibile in Terra d’Otranto – come anticamente si chiamava il Salento – quella della magia. Tra macare, riti del fuoco, altari ancestrali al dio sole, credenze, culti pagani della fertilità e della madre terra, tarantate, sciamani, e altro ancora e ancora, arriva forte l’impressione di essere molto piccoli e molto impotenti, in balia di forze volubili quanto ingovernabili, a volte oscure, come ora, ma in altri momenti dionisiache e di accecante seduzione.” scrive l’autore Leonello Bertolucci. Una riflessione che ne richiama un’altra che, a dire il vero, si va ripetendo negli ultimi tempi: la necessità di superare l’idea di natura come qualcosa di esterno e considerare tutte le forme di vita unite in un’unica grande rete di relazioni. Lo sguardo poetico di Bertolucci passa attraverso la tristezza e ci conduce a prendere familiarità con uno dei molteplici problemi ambientali  irrisolti e, forse, a una auspicabile e fattiva responsabilità. Sappiamo che da qualche parte esiste una natura selvaggia che ha poco a che fare con i nostri paesaggi costruiti dall’agricoltura e dalle bonifiche, dove il controllo umano ha provocato danni all’ecosistema. In balia dei nostri disastri e della natura sfuggita al nostro dominio e dalla quale siamo attratti come se in essa permanesse un mistero inaccessibile, rischiamo di ricorrere alla magia o a ipotetiche distopie. Nel nostro stesso presente possiamo già vivere il futuro e, così come è, ci appare  inquietante. La globalizzazione che ha fatto viaggiare uomini e merci, nell’illusione di un mondo senza confini, ha importato la Xilella e il Covid 19. È nelle crepe di questo nostro tempo,  incalzato dalla crisi climatica con le sue catastrofiche conseguenze, che l’arte deve raccogliere l’intravisto e quindi il futuro. Ma torniamo agli ulivi. Riconoscervi forme umane, con il meccanismo della pareidolia, ci consegna una chiave di lettura. L’autore, nel lavoro completo, raccoglie espressioni e posture umane dolenti,  simulate da rami disseccati dalla Xilella, simili a braccia che si alzano al cielo in un urlo di dolore. Citando ancora una volta il filosofo inglese Timothy Morton, la consapevolezza ecologica, insieme alla consapevolezza che siamo una cosa fra le altre, ci mostra il lato perturbante: la nostra civiltà, fin dall’inizio, agendo sulla natura, è responsabile di ciò che sta accadendo. È dunque diventato necessario spostare l’orizzonte umano, accettare la fine dell’illusione antropocentrica e guardare al pianeta Terra da una scala diversa da quella umana. “Fondamentali testimoni del tempo che se ne vanno in questa epoca buia sono le persone più anziane e gli ulivi secolari, con i quali perdiamo pezzi della memoria collettiva. E cos’è una fotografia se non, anzitutto, memoria?” scrive Bertolucci. Così è. Il vecchio mondo di prima sta sparendo, ne siamo sempre più consapevoli e la fotografia ne è memoria.

Piera Cavalieri

 

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