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Straordinaria natura morta.

Castelnuovo di Garfagnana (LU) – Prima di scopare sono stati a Firenze, a un concerto del loro gruppo preferito, una delle prime cose ad avvicinarli quando ancora si stavano annusando ed erano solo amici e senza apparente motivo se non il timore di avere successo si mentivano a vicenda sulle loro intenzioni di stare insieme ed amarsi ed avere bisogno l’uno dell’altra. C’è una canzone del loro gruppo preferito che è la loro canzone d’amore: è una canzone di dieci anni fa, il gruppo non è più tanto sulla cresta dell’onda ma ha fatto la storia e quello di oggi era un compendio dei loro vecchi successi  – che ha commosso tutti i presenti. Degli ultimi dieci anni, che coincidono con il tempo della loro storia, otto li hanno passati a convivere, e nel tempo molte cose sono profondamente cambiate ( in un modo più complesso di quel che si può malignamente credere ). Sono usciti che era già tardi dai cancelli dello stadio, un po’ a disagio e spremuti nella folla che avanzava a passetti e che molto spesso è riuscita a dividerli, e da quel momento non si sono rivolti la parola. Sono saliti in auto e nessuno dei due ha emesso un sibilo o anche solo un indizio di parola. Forse non  si sono nemmeno guardati. Mentre viaggiavano sull’autostrada, col traffico che, allontanandosi dall’epicentro, pian piano si diradava,  per tutto il tempo lei ha impugnato la maniglia sopra lo sportello con la piccola mano ossuta. Non ha messo su della musica, come farebbe di solito. Lui le ha adocchiato fugacemente l’intrico venoso sotto la pelle del magro e pallido avambraccio: non ha fatto commenti sulla qualità del concerto, né ha rievocato con un fischio una certa melodia. Il silenzio era quello complice delle coppie di lungo corso, ma aveva una  persistenza significativa, come nei postumi irrisolti di una litigata ( ma non era il loro caso ). Lui ha avuto bisogno di un caffè, a un certo punto ( è sceso senza dire niente ). Lei l’ha aspettato nell’auto, sul piazzale dell’autogrill, senza togliere la mano dalla maniglia, osservando un grasso camionista in maglietta limone che calava goffamente il sipario sulla sua cuccetta. E’ stata una giornata perfetta. Quando arrivano a casa parcheggiano il rottame davanti al portone di casa, che sta a tre metri dall’entrata di una CONAD: di giorno parcheggiare è impossibile, ma adesso (sono le tre di notte) c’è un sacco di spazio. Parcheggiano il rottame davanti all’entrata di casa, molto vicino al deposito dei carrelli. Il rottame, per i primi due anni della loro relazione, è stato l’oggetto di un preciso e ripetitivo repertorio di innocue e picaresche prese in giro reciproche che se non si avesse l’indulgenza di interpretare come pretesti per cementare una gracile complicità chiunque troverebbe noiose o persino stupide e infantili ( anche loro ). E’ andata così: adesso lui sta risparmiando per comprare un’altra macchina, e del rottame evitano di parlare se non in una prospettiva rottamatoria, seria e responsabile. Sempre senza guardarsi,davanti casa hanno atteggiamenti strani e incoerenti. Lei siede di traverso sul sedile e butta fuori le gambe e si piega a massaggiare un tallone, lasciando cadere la sua scarpa scalcagnata e pinzando poi, poco a poco, tutto il polpaccio nudo (porta una lunga gonna, variopinta e leggera). La sua attività ha l’andamento incerto di un temporeggiamento. Lei è una di quelle donne che sfiorendo mozzano il fiato, come una straordinaria natura morta. Il suo viso si è adattato alla sua semplicità e ai suoi trascorsi, sembra capace di tutto  – pensa lui, orgoglioso di aver saputo scegliere una donna e esserle fedele mentre sta in piedi davanti all’auto incerto se accendersi una sigaretta e assolutamente senza nessuna voglia di entrare in casa ( ha l’espressione assorta e si guarda le scarpe per non far vedere che la sta guardando ). Lui è uno di quegli uomini dal viso adolescenziale che la maturità assedia con una lentezza benevola. Lei crede di amarlo ancora in quella maniera che non prova giustificazioni argomentate: non ha mai voluto scrivere una poesia su di lui, si emoziona e basta. Adesso lei fa un po’ di confusione con le chiavi, davanti al portone, si sente appannata. E’ una notte completamente muta e mite di fine settembre, le tre e mezza, e dopo i trent’anni l’autunno e i suoi presentimenti non fanno più questa bella impressione. Dentro ( lui è rimasto sul piazzale e ha infine deciso di fumare ) poggia la sua borsa floscia e ampia come una sporta sul piano di formica della cucina e inizia a frugarci dentro in cerca dell’accendino: per farlo non accende la luce. Un motivo per giustificare la sua desistenza ( ma ha trovato le sigarette, e ne sfila una dal pacchetto ) e guardarsi intorno: gli oggetti sono illuminati dalla bassa lama arancio che corre dall’anticamera. Non ha voglia di dormire ( sa benissimo perché ), e guarda dappertutto nella casa. Non vuole dormire ma nessuno degli oggetti sa lusingarla e imporle un’attività, gli oggetti gli sembrano tutti pleonastici, superflui: si sente, nel suo corpo sfiorito, del tutto autosufficiente, con una specie di onnipotenza che la fa sorridere nervosamente con la sigaretta lunga e spenta e intatta tra le dita. E’ quasi commossa, appoggiata lì. Non si contano le cose terribili che potrebbero succedere: lei potrebbe morire, lui potrebbe morire, i loro genitori, i loro fratelli, le loro sorelle, ci potrebbe essere un terremoto, potrebbero piovere lapilli, arrivare gli alieni ( se l’universo si contraesse di colpo? ), potrebbero tutti quanti soffrire tantissimo per mille motivi imprevedibili, rimanere completamente soli. Benedice quella notte, che sempre di più le sembra un ponte fra due fragilissime perfezioni – vorrebbe darle continuità proprio evitando di dormire. Conta tutti i passi che fa. Sul piazzale semibuio ( lei è di nuovo fuori ), lo sorprende nella gestione di un pensiero illuminato, che lui non può riferire. “Non trovo il mio accendino” – sono le prime parole pronunciate da qualche ora a questa parte. Lui le porge l’accendino come si farebbe con una sconosciuta che già ci piace: nel suo lento movimento c’è la cordialità di una buona prima impressione. Lei fa il primo tiro e lo fissa (ricambiata) come se stesse radunando le energie per descriverlo o dirgli qualcosa di fondamentale, ma con in più quell’opacità che la rende misteriosa senza essere stucchevole. Ma non dice niente. E’ meravigliosa, nel lutto felice che le riga appena appena il viso. Il pensiero che lui non può riferire è questo: se nella vita tutte le cose succedono una volta sola, amarla, condividere la vita con lei, potrebbe voler dire cercare ostinatamente, disperatamente una replica della prima piccola cosa che gliel’ha fatta amare. Pensa che potrebbe trattarsi di questo sguardo. E’ quasi spaventato al pensiero che si vada preparando un altro momento che si vorrà replicare. Qualcuno gli ha detto, in sfocate circostanze, che vivendo è importante piangere solo quando è il momento e covare a lungo gli attimi di pura felicità. Adesso lei rientra in casa, inghiottita dall’oscuro del portone, con un movimento che altri troverebbero anonimo ma che lui sa essere il suo invito. Lui chiude a chiave il rottame, blandito dal timore stupefatto che sente. La segue. Questa notte non si risparmieranno, si daranno tutto. Sarà irripetibile. Sarà irripetibile.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

4 Responses to “Straordinaria natura morta.”

  1. Enzo scrive:

    Il racconto è scritto molto bene. Una scrittura leggera eppure penetrante e completa.
    Giovanni ha integrato il racconto con le sue immagini. La prima è molto bella e sembra giocare con le parole del racconto.

  2. Maria scrive:

    Mi ha fatto l’effetto investimento filmico della locomotiva.
    Bello.

  3. Alessandra scrive:

    Oggi è uno dei nostri quattro anniversari, parlo di me e di mio marito: per l’esattezza, oggi è il primo, quello in cui ho tradito il predecessore per fare posto al “nuovo”. Da allora sono passati dieci anni, una coincidenza che meritava di essere condivisa sul vostro spazio.
    Ai tempi avevo appena compiuto trent’anni, ma l’autunno mi sembrava ancora lontano (si vede che sei giovane, Matteo…).
    Adesso… adesso è l’ora di fare sul serio. Prima che sia troppo tardi.
    Per fortuna certe cose durano, nonostante i giorni che se ne vanno.
    Bravi come sempre.
    Continuate.
    ciao

  4. Mariapia scrive:

    La storia ha evocato nostalgici ricordi del mio passato… che mi accompagneranno sempre e comunque… Foto di straordinaria intensità e di infinita tenerezza.
    “L’amore è un sentimento assoluto e unico, perderlo presuppone l’averlo avuto prima; per questo è più dolce quella perdita rispetto a guadagni non richiesti. Vivere nella siccità significa patire, ma significa anche aver gustato prima le dolci gocce di rugiada. In fin dei conti nulla ha una sola faccia, anche il mare presuppone, oltre all’acqua, un’arida spiaggia, senza la quale non sarebbe più mare.”
    (Emily Dickinson)
    P.S.
    Auguri alla splendida mamma e al papà.

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