COPERTINA_ALB5293

Il morto sorride sempre.

Ferrara – Quale preziosa lezione trarre dai cimiteri? Che cosa ci insegnano? Il cimitero monumentale di Ferrara, sublime e maestoso, come pure uno di quegli avamposti subtropicali  nei quali l’inviperita potenza di fuoco delle zanzare obbliga a una trasfusione, sembra suggerirci che l’uomo è un essere mortale e la sua vita caduca, misera, meschina, impermanente e decisamente insignificante, fatta di emicranie ed ernie iatali, in generale un corpo che può tradire, ma a dispetto di ciò quanto un uomo è stronzo in vita  riecheggia nell’eternità. Merda vincit omnia. Come pensare altrimenti, se qui tutto appare disposto affinché l’ordine e i rapporti di forza fra le persone, iniqui e animali, troppo legati alla casualità e alla fortuna, vengano lugubremente ribaditi da questi freddi marmi che la delega di personaggi illustri e agiati a cupi architetti o scultori trasforma in dubbi e discutibili monumenti alla memoria? La morte notoriamente appiana le differenze, ma molti non si rassegnano a questo fatto. Sono morti rognosi, inaciditi, pieni di sé, e la morte libera tutta la loro sopita vanagloria. Le tombe degli agiati, sepolcri di famiglia, corrono sulle pareti claustrali, dentro absidi leggeri, con una sfarzosa laboriosità che si esprime sotto molteplici forme di insolenza: mosaici bizantini, mezzibusti classicheggianti, appropriazione indebita, da parte di un estinto – di solito un patriarca – del ruolo di protagonista negli episodi biblici. Le lapidi della plebaglia, dei morti di fame, stipate nel basamento delle colonne proprio di fronte ai grandi sepolcri, sovrappopolate e sfacciatamente numerate, osservano la pompa e il fasto delle altre con subalternità, ma certo, restano più simpatiche. Di alcuni estinti si sottolinea il fatto che fossero intellettuali ( giornalisti, scrittori, dottori ), e non è ben chiaro il farlo cosa voglia significare. Certo, usare il  ceto o un talento per darsi un tono in vita è piuttosto seccante, e tutti noi conosciamo gente che vorremmo picchiare per questo, ma non vedo come illustrare a tutti i posteri quanto si fosse intelligenti e acuti da vivi possa tener lontani i vandali dalla tua tomba: non si inibivano così, i bulli, da vivi. I cimiteri sono l’esempio perfetto di come la memoria abbia bisogno di essere falsificata e setacciata. Le iscrizioni, specie le più antiche, sono subdole, circonlocutorie, ipocrite, eufemistiche:  “Madre ottima amorosissima negli uffici domestici solerte” non è la stessa cosa, contenutisticamente, di “ moglie sottomessa e sgobbona”? Così come il “dolore inconsolabile” di chi resta, oltre ad avere il suono di una sinistra minaccia pronta a fecondare la vita dei posteri di complessi di colpa capillari e occulti, forse non è da prendere così in parola. Che bello se le persone venissero ricordate per ciò che erano davvero! “ Padre arcigno, marito infedele, picchiò suo figlio con una pertica, degradò sua moglie ”, ma la verità è interessante solo nella finzione. Come tutte le cose, a modo loro anche i cimiteri sono lo specchio dei tempi. Prima degli anni sessanta – più o meno – le fotografie dei morti sono austere, meste, solenni, stentoree, come se del morto dovessero raccontare le qualità morali, la nobiltà, il vigore ( il lignaggio). Dopo, è un tripudio di joie de vivre, come nei social network, e il morto sorride sempre allegramente, e la morte sembra una cosa che è arrivata a guastargli ingiustamente la festa: certo, questa giocondità è privata dei suoi connotati sessuali, dal momento che sottoterra è molto difficile avere una vita sociale, ma, davvero, un’espressione seria o semplicemente serena, o neutra, o anche diversamente espressiva, non si trova neanche a pagarla, e sembra che anche da morti si debba mercanteggiare un posto nel mondo a furia di brutti sorrisi. Insomma, alla fine di questo pezzo mi accorgo che dei cimiteri non salvo niente, li odio, sono pieni di gente orribilmente chiusa in delle bare. Mi farò cremare, o eviterò di morire, che non mi piace.

Matteo Fulimeni

© Giovanni Marrozzini

3 Responses to “Il morto sorride sempre.”

  1. Rosalia scrive:

    “la verità è interessante solo nella finzione” me la sono segnata nel quaderno e la porto con me…

    Quello sguardo compassionevole sembra comunicare a qualcuno che sta morendo…intrigante!

  2. Claudio scrive:

    Non sono così avverso nei confronti dei cimiteri. Luoghi comuni a parte, come la Livella di Totò o la percezione che l’ostentazione di uno status non scompare con la morte, sono utili per conoscere qualcosa in più di un posto, come un’anagrafe archiviata. Non sono solo cadaveroteche, ma possono essere interessanti come le biblioteche, fototeche lo sono già. In alcuni riesco persino a rilassarmi, come in un parco. Uno ve lo consiglio, quello acattolico di Roma, dietro la Piramide Cestia a Porta San Paolo. Ci vado spesso, e per abitudine ho quasi dimenticato che lì abitano Shelley, Keats, Gramsci, Gadda, lo spirito di Axel Munthe e pure quello di Joyce Lussu, che ha traslocato insieme ad Emilio, ma hanno lasciato una traccia. E poi i gatti…

  3. maria scrive:

    sembrerà lugubre, ma io invece adoro i cimiteri: adoro il silenzio che sembra scenderti addosso come un manto di velluto pesante appena varcata la soglia, adoro sentire solo il rumore dei miei passi sulle stradine brecciate, il tentar di impedire alle erbacce di impossessarsi della tomba a me cara, della terra di sprofondare a causa della pioggia e il sentirmi ogni volta più vicina a lei solo per i ricordi che quel luogo riesce a riportarmi alla mente. è stato uno dei pochi luoghi in cui mi sentivo protetta e non sola negli anni della mia adolescenza…anche se questo riguarda esclusivamente il cimitero della città in cui sono cresciuta! per gli altri mi piace curiosare e cercar di carpire le storie dei defunti sepolti magari solo dalla foto, dall’epigrafe…è un laboratorio d’immaginazione secondo me.

Lascia un commento a Claudio