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Tripudi e allegrie giapponesi.

Garda (VR)

I

La sedia ha una spessa, comodissima imbottitura, e il mite cameriere cingalese continua felicemente a ringraziarmi; sto ricopiando sul mio quaderno delle espressioni interessanti tratte da un racconto intitolato “come sturare lavandini senza pescare piovre” quando, col mio occhio di camaleonte, mi accorgo che nel caffè due ragazzotte tedesche che consumano la colazione scavando con il cucchiaino in un piattone comune e gravemente cremoso, sguardi leziosi, pienotte, gote rosee e alpine, parlottio pettegolo, mi osservano ridendo sotto i baffi (metaforici). Ridono di me? Non lo so. Non so se faccio bene, ma di colpo, con un avvitamento indemoniato, dirigo il mio quaderno verso il loro tavolino e inizio a disegnarci furiosamente, fulminandole appena dopo con lo sguardo di uno scampato a un ricovero coatto per un delirio da sifilide. Hanno un breve sobbalzo che fa tremare i cucchiaini eppoi costringono lo sguardo verso un punto oltre il sottoscritto, cioè mi scavalcano, con anche una certa seria contrizione, e sul mio quaderno i germi di ciò che avete appena letto è ora avvolto in una nuvolaglia di sgorbi senza senso.

II

Questi caffè in riva al lago, coi loro elegantissimi, floreali tavolini e le sedie imbottite e le ricche chiome degli alberi in via di poetico sfoltimento, la blandizia degli avventori così tranquilli, esercitano un’attrazione irresistibile: è la comodità, l’agognata pace borghese che qui trova il suo scenario ideale e ineccepibile; dal punto di vista semiotico, la prevedibilità del lago, solcato a ritmi ordinati, con le sue mediocri, abuliche ondine, le siepi rifinite, i viali ben curati, l’aria mite, i cigni e i loro brevi, lentissimi voli contro lo slavato del cielo, i negozietti essenziali e quelli superflui (molti di più, e odorosi di cuoio), fanno apparire ogni cosa rassicurante, consolatoria, manipolabile, inquadrabile, riconciliante. Borghese! Eccetera. Ma bisogna essere scaltri: ricordando che la potenza di una potenza è una potenza che ha per base la stessa base e per esponente il prodotto degli esponenti, a partire dalla base di un toast, di una spremuta o di un caffè macchiato, è importante avvedersi che, in questi caffè, ogni ordinazione susseguente all’ordinazione di base tenderà ad incrementare geometricamente il vostro conto, finché il sorriso ultragentile con il quale il mite cameriere cingalese vi porgerà lo scontrino ringraziandovi felicemente non assumerà le fattezze di un ghigno malefico illuminato dal basso da Fritz Lang.

III

Però una cosa poco borghese sono i germani che, del tutto fuori di testa, intenti a pascolare all’asciutto delle siepi piene di fiori variopinti, barcollando à la Baudelaire sulle loro tristi zampe palmate, senza nessun preavviso, spiccano voli radenti nella vostra direzione, istantanei e decisi come proiettili e fragorosissimi, facendovi cacare sotto.

IV

In quattro giorni che sono qui, eccetto che per la commessa di un certo negozio di abbigliamento che la mattina presto spazza le scalette del negozio di abbigliamento e ogni tanto picchia goffamente con la scopa contro la grondaia del negozio di abbigliamento per staccare i batuffoli di polvere dalla scopa con la quale spazza le scalette del negozio di abbigliamento, e che ha un’amica incredibile, ho incontrato pochissime persone anagraficamente giovani. Forse qualche comitiva di tedesche, bionde, celesti e coi crani piccolissimi, anatroccoleschi, oppure qualche giovane coppia in vacanza. Ma anche le coppie giovani hanno un non so che di malfermo, convalescente, come se fossero venute qui a riappacificarsi, sperando nell’infinita dolcezza poetica del lago invece che nel sesso sfrenato in un motel squallido, e gli elementi femminili di queste giovani coppie, mentre affondano coi loro piccoli menti rotondi nelle virili giacche dei compagni che le stringono virilmente, mostrano quel tipico sguardo di riconoscenza a credito la cui ambiguità suggerisce la presenza di un lungo coltellaccio per disossare il prosciutto snudato e pronto all’eventuale uso e impugnato strettamente dietro la schiena sinuosa e sensuale e fragilissima.

V

Come i cani in inverno, si sfrutta tragicamente ogni tiepida vampa o lama o macchiolina di sole ottobrino. Sul lungolago, le panchine all’ombra restano deserte, e, come sempre, delle altre non si riesce mai a capire quando siano state occupate, perchè anche se ci si apposta, non le si vedono mai liberarsi, ma gli occupanti cambiano continuamente, misteriosamente. La gente sulle panchine è stravaccata con la stessa immobilità e grado di inclinazione di un pannello fotovoltaico. Con gli occhiali da sole o senza, le facce rivolte in su, il sorriso estasiato e indifeso di uno che muore al dolcissimo culmine di un orgasmo. Qualcuno legge un libro, dal quale leva continuamente gli occhi, attratto dagli ipnotici e sempre presenti movimenti del lago e dai cigni che si compiacciono di essere cigni scorrendo di profilo lì a pochi metri, incolonnati come in un gioco d’ombre cinesi. Qualcuno è atterrito da un decollo di germani. Ad una certa ora, il lago odora di rape bollite. C’è pure gente a petto nudo, nordici. Gente che pesca con la canna. Gente accoccolata su un dondolo con una bottiglia di amarone vuota in grembo. Ogni tanto una barca a vela appare e passa sul filo dell’orizzonte, lentissima, un fazzolettino di fuoco bianco e friabile ( per un meccanismo simile a quello delle panchine, è impossibile coglierne l’apparizione ). I battelli che partono rombando come centrifughe problematiche si lasciano dietro veli sottili di acqua piallata, perfettamente liscia e irreale, e per un tempo lunghissimo, tenera come la piega di un vestito di cotone appena stirata. I battelli veloci, invece, alzano acqua dietro di sé allo stesso modo di uno spalaneve a motore da giardino. Il passaggio dei motoscafi è segnato da due scie che convergono verso la prua del motoscafo e che dietro, a poppa, si aprono gradualmente, mollemente, come una pinzetta da naso.

VI

I turisti tedeschi possiedono forse una curiosa e a noi sconosciuta distribuzione del calore corporeo, dato che indossano maglioncini di lana o di pile insieme a pantaloncini inguinali per andare in spiaggia. Sono anche tremendamente scrupolosi per ciò che riguarda gli strumenti di deambulazione: più volte ho assistito alla scena di turisti tedeschi impegnati a deambulare sul lungolago muniti di bastoncini da trekking con i quali ancorarsi ad un terreno duro e sordo alle loro suppliche di equilibrio. Fra le caratteristiche dei turisti tedeschi più colti e\o altolocati, c’è che sembrano geneticamente strutturati ad occupare questi tavolini davanti alle chete acque del lago, sorseggiando bevande colorate in calici rotondi, fumacchiando sigari, sfogliando con aria decadente le patrie gazzette ( che qui si vendono ) e ammirando con tragica e inappagata concupiscenza lontani profili efebici, morendone infine di colera e crepacuore con la tintura nera dei capelli che gli cola sulla fronte.

VII

Ad un equipaggio di giapponesi sembra una rarità che una banda possa sbucare a suon di fanfara da un vicoletto, così l’aspettano alla fine del vicoletto, in un tripudio anticipatorio. Nessuno ha mai pensato di riferire ai turisti giapponesi che c’è in giro da tempo questo luogo comune per cui si pensa a loro come a predatori visuali sciocchi e simpaticoni capaci di mettersi a fotografare qualsiasi cosa? Il capo equipaggio, un ometto occhialuto che su due piedi non sembrerebbe in grado di sventrarsi con una spada o di picchiare con un bimotore contro una portaerei, con levità disarmante, riafferma sonoramente il cliché davanti ai miei poveri occhi sfoderando un potente cannone fotografico da un astuccetto microscopico, come in un cartone animato Studio Ghibli. La banda, comunque, appare compiaciuta di queste attenzioni, e, galvanizzata, accelera il passo. Fotografie, tripudi e allegrie giapponesi. Suona la banda.

VIII

Al tramonto donne in corpetto che fanno footing  risalgono dalle sponde dove il lungolago si assottiglia diventando una sorta di ghiaiosa spiaggetta lunga chilometri e tenuta al riparo da un mite microclima. Queste donne hanno camminate minacciose e risentite, e sembra che sia anche un po’ colpa tua che siano costrette a fare footing. Si forma poi una coltre umana vicino all’acqua, tutti ad ammirare l’anticlimax del tramonto. E’ un momento ambitissimo, e sembra che il sole tramonti solo qui. Ogni sera è come se ci fosse un’eclissi. Quando la grossa, irregolare, schiacciata ostia rossa e inoffensiva del sole scompare dietro l’orizzonte, in quell’attimo preciso tutti fanno una  esclamazione, o indicano agli altri che il sole è sparito. Eppure, il loro richiamo arriva asintoticamente, prima o dopo, di frazioni di frazioni di secondo, come per le panchine o per le barche a vela, e il vero momento in cui scompare il sole, penso io non so perché, pare sfuggire a tutti.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

 

© Giovanni Marrozzini

One Response to “Tripudi e allegrie giapponesi.”

  1. Alessandra scrive:

    All’inizio dei Novanta le tedesche non si depilavano. O forse erano russe in vacanza. Ora che ci penso, non so se le biondastre nerborute dai polpacci lanuginosi era su un autobus viennese o monacense (di Monaco di Baviera). Ricordo solo lo shock estetico. Oggi non è più così, ma mi colpisce assai la descrizione dei loro sguardi tristi. Credo che sia colpa (o merito) del lago. Non c’è niente di più malinconico di una vacanza lacustre fuori stagione.
    E sicuramente nessuno rideva di te (troppa cupezza inconsapevole nei loro cuori).

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