© Giovanni Marrozzini

Parcheggi pieni e senza uomini.

Perugia – Niente, stavamo benissimo, ma il T.d.O. quando siamo arrivati ci era ormai precluso, per la chiusura. La strada stessa era occlusa da un trombo di giovani studiosi che sgorgava dal T.d.O. intabarrata ed esalante miasmi aciduli, a diversi e sotto ogni punto di vista interessanti stadi di coscienza. Little Giacomino dice che la vita è Barocca e Paradossale. Il suo sguardo ha i bagliori di monetina di un lago poco profondo. Eravamo sorpresi di trovare ormai chiuso, e io ero deluso. Ma nonostante la delusione, è stato incredibilmente eccitante vedere ancora una volta all’opera lo sfavillante cervello di Little Giacomino, il mio coinquilino, un uomo inusuale, che persino in quella mortificante circostanza trovava il modo di riflettere e allettare l’uditorio – io sono il suo uditorio prescelto e prediletto – sul rapporto fra causalità e destino, riordinando passo  passo i passi che ci avevano trascinati al T.d.O.  a quell’ora della notte. Fu sorprendente ricapitolare guidati dal suo cervello sfavillante che ricapitolava ad una velocità di calcolo immane mentre schivavamo i getti di vomito provenienti da punti random della folla piacevolmente alcolizzata. Anche se ero annebbiato io capivo tutto o quasi. Non so perché fossi annebbiato. Little Giacomino non avrebbe mai usato la parola trascinati, io che lo conosco, a Little Giacomino. Little Giacomino sostiene senza dubbio senza sbagliarsi che la migliore resa vitale è – e trascrivo verbatim – una media disordinata tra Fatalismo e Determinismo. E’ molto convinto di questo. Ma quando abbiamo finito di cenare e mi spiega queste cose davanti a un muto Carlo Conti al tavolo della cucina fredda e nebbiosamente illuminata io non ho mai il coraggio di chiedergli che cosa intende esattamente con disordinata. Mi piacciono le vallette della trasmissione di Carlo Conti, di cui non ho mai sentito una parola (parlo sia della trasmissione che delle vallette, di cui però apprezzo il labiale ). Dopo, la mattina dopo, quando sto nel corridoio con la monetina in mano in fila alla macchinetta del caffè io dico alle ragazze che la migliore resa vitale è una media disordinata tra Fatalismo e Determinismo, ma siccome questo discorso non è proprio farina del mio sacco, quando le ragazze mi chiedono che cosa intendo curiosissime di sapere come continua il discorso, io non lo so continuare e le guardo con questa risata qua, del tipo manicomiale e sofferto, non c’è dubbio. Sono così, mi accetto, ho imparato ad accettarmi e a volermi bene. Io non mi prendo troppo sul serio, ho capito che è sbagliato. Ma bisogna volersi molto bene. Dopo, comunque, non mi guardano più, le ragazze, e ormai ho giocato questa carta con così tante ragazze che in facoltà è molto difficile trovare una ragazza che mi guarda. In questa situazione, è chiaro che la mia unica speranza di essere guardato da una ragazza è tutta riposta nel ricambio generazionale, nella per così dire rifondazione immatricolata della popolazione universitaria femminile. Questa è la spiegazione più intellettualmente onesta che io possa fornire per spiegare il fatto che a trentadue anni io sia ancora nei corridoi della facoltà, e prima delle vacanze di Natale doni dei libri di giardinaggio e bonsai alla Bidella, una seconda mamma davvero, e che abbia assistito e supervisionato a ben due ristrutturazioni della struttura fatiscente e umida, supervisionato attentamente. Ma le mie doti non vengono apprezzate; sono un ragazzo pieno di risorse e vita, lo dimostra il fatto che nella frase precedente ho usato correttamente quattro congiuntivi. Rileggete. Ho attinto alle mie più riposte risorse linguistiche. Sono convinto però, molto modernamente, e il mio professore di linguistica molto intelligente e colto elegantemente vestito e con la valigetta che struscia sulla cattedra prima di togliersi il cappotto blu ogni volta che entra lo straconferma, che si devono aprire le porte alle novità dell’uso parlato nel linguaggio scritto. Quando dice questo a lezione io faccio di si con la testa, eppoi mi guardo intorno amando la lezione e la possibilità di essere qui ad apprendere. Ma gli altri sono così annoiati! E’ la lingua standard, bisogna usarla, lei si impone, come in quel detto latino sulla vita che non mi ricordo. E infatti adesso ho usato tutti indicativi. E notate la forma “tutti indicativi”, prettamente orale. Ma è molto difficile che la gente che guarda il Grande Fratello ebbasta e ride per le pubblicità di Aldo Giovanni e Giacomo che magari una volta si ma adesso non più e vota Berlusconi si accorga di questa mia duttilità. L’Italia va a fondo, davvero, guardate. Little Giacomino è molto suscettibile al discorso sulla decadenza, che amplia a livello di  politica interplanetaria se non addirittura galattica, e da tempo cerca prove sperimentali della presenza di ben quattordici illuminati rettiliani all’interno degli organismi politici universitari. Si è candidato più volte per il consiglio di facoltà solo per questo, ma non è stato eletto. Dice sicuramente per un pertinente boicottaggio. Comunque, bisognerebbe davvero emigrare, la vita di Noi Giovani è sempre più complicata in questo paese di merda. Comunque, stavamo benissimo. Ero sicuro che Little Giacomino, che si chiama così mica per scherzo, ma per una coscienziosa accumulazione di alterati, di cui uno in inglese, come si può leggere, ero sicuro che lui stesse benissimo. Si poteva capire dal fatto che Little Giacomino, quella sera, giaceva nella poltrona stropicciatissima dentro la cucina umida e fredda e fissava vacuamente la televisione spenta, con i fantasmini bianchi fuori stagione nelle ciabatte della speedo, le mutande e il felpone e il dromedario seduto statutariamente lì accanto che lo guardava. Io ero uscito dalla mia camera per capire cosa si doveva fare, sentivo il richiamo di qualcosa da fare, tipico della gioventù, e l’ho trovato lì, in compagnia fidata del dromedario, e ho capito dall’atteggiamento di Little Giacomino che Little Giacomino stava benissimo in quanto stava riempiendo creativamente di proprie fertili fantasie il vetro assolutamente poco comunicativo e opacissimo del televisore spento, facendosi così un palinsesto veramente personalizzato alla lettera, gratis in tutto e per tutto, mica cazzi. Quando si è scosso per avermi sentito arrivare gli ho chiesto se stava proiettando la sua mente sfavillante sul vetro autistico della tv spenta e lui ci ha messo un attimo per riprendersi o per meglio dire emergere dal profondo stato di coinvolgimento prima di dirmi che chiaro dovresti saperlo. Little Giacomino non mi sorride mai, ma non è un tipo che si prende troppo sul serio, naturalmente, altrimenti non ci prenderemmo. Solo, quando gli faccio queste domande sento che si sente messo in dubbio; ma non dovrebbe, gli voglio bene infatti. E’ quell’amico che io mi ricorderò per tutta la vita finché non creperò, e di cui parlerò ai miei figli quando anche loro andranno all’università, anche se ormai per come vanno le cose mi sa che i miei figli questa bella esperienza non potranno permettersela, e dovranno raccogliere gli ortaggi. Cioè, poi credo che io figli non ne avrò, se la situazione economica va avanti in questo modo spietato a disumanizzarci nel profondo fino a renderci merce di scambio, uno schifo, non ha senso mettere al mondo figli in questo mondo senza scrupoli. Quanto al dromedario, si tratta di un molosso di specie ibrida, parola che oggi noi personalmente preferiamo a bastarda e anche a diversamente di razza, perifrasi avvilente ad uso e consumo di gente politicamente corretta, altra perifrasi avvilente che si usa solo nel merdoso belpaese per evitare la parola corrotta e la parola complice, e che abbiamo entrambi ghermito, il dromedario dico, ad un canile, perché ci sembrava insanamente, ottusamente e testardamente ( questa triade di avverbi è in tutto e per tutto di Little Giacomino ), ci sembrava insomma stupido e ostinato sottrarci in maniera snob alla ormai comune consuetudine degli universitari di trasformare il proprio appartamento in un giardino zoologico. Ho capito, un atteggiamento diverso ci avrebbe catapultati dritti dritti nel conformismo dell’anticonformismo, ho detto a Little Giacomino, usando un’espressione tipicamente P.P.P, e Little Giacomino ha arricciato le labbra di disgustata disapprovazione per quell’espressione, perversamente ricorsiva, dice, dal momento che un soggetto dichiaratamente contro il conformismo dell’anticonformismo potrebbe essere descritto come un anticonformista che si conforma al fatto di non conformarsi al conformismo dell’anticonformismo, questo prima di ingerire i suoi 15 mg postprandiali di benzodiazepine e sprofondare in un lungo sonno pomeridiano sulla poltrona davanti alla televisione spenta nella cucina con il giallo diluito del dopopranzo sereno di un pomeriggio di Novembre e il dromedario che veglia su di lui. Niente, chiudevano il T.d.O. e la gente usciva a fiotti spasmodici e avvinazzati dall’entrata, e doveva essere ripescata da ogni angolo buio del T.d.O. come succede con i bambini che sanno di averla fatta grossa e aspettano di essere menati dai genitori, e quando sono usciti e tutti ce ne stavamo ammucchiati davanti al T.d.O. spaesati, in cerca di gioia somatica e profumati di Eau de Cannabìs,  tutti i gorilla del T.d.O hanno sprangato il T.d.O. con un tipo di cancello che avevo visto solo un’altra volta in Titanic di James Cameron quando gli stronzi facchini classisti del Titanic chiudono i morti di fame di terza classe giù in terza classe perché non ci sono abbastanza scialuppe e quelli di terza classe vedono addirittura i topi passare fra le sbarre del cancello e capiscono con orrore che faranno una fine persino peggiore di quella dei topi e si incazzano e sfondano il cancello con una cassapanca, con qualcuno che poi tira un upper cut al facchino classista. Lì mi sono commosso profusamente. E in quella  circostanza – ha aggiunto Little Giacomino conversando ocularmente sia con i miei occhi che con quelli persi in un muto abisso interiore di una ragazza che mi abbracciava senza conoscermi mettendomi a disagio, e che erano diabolicamente assediati da un rosso sanguinolento a partire proprio dal contorno – c’è il tipo amico di Di Caprio che è un uomo probo e buono ma non sexy e aiuta Di Caprio a sfondare il cancello ma alla fine, siccome non è sexy, muore sparato, e la sua unica funzione è quella di gelare il melodramma con uno straziante tocco di ingiustizia – dice Little Giacomino, che è un cinefilo tra l’altro, mentre la ragazza sta franando sulla mia spalla, alla quale è ora uncinata con il mento, e perde bava dalla bocca sensualissima, e scivola sul mio petto elettrizzato  – e io non sto ad obiettare che alla fine del film, dopo aver augurato a Kate Winslet di morire vecchia rattrappita in un letto attorniata da nipotini, nonostante sia il sexy divo, muore anche Di Caprio sprofondando nel buio gelido Atlantico, perchè so che Little Giacomino mi umilierebbe con una confutazione che mi farebbe fare brutta figura con questa mia nuova fiamma madida e scivolosa. Little Giacomino sta studiando queste ragazze Erasmus, letteralmente, per farci la tesi. Mappa dei temperamenti sessuali contemporanei attraverso il traslato delle fibre della carne.Studia specialmente queste Americane perfettamente bionde che si ubriacano e diventano isteriche e intrattabili e ti guardano appoggiate precariamente da qualche parte e nonostante il triste ed ebbro assopimento hanno l’aria di poterti ferire a morte da un momento all’altro, e che poi vedremo barcollare e ondeggiare, appartarsi a piangere lacrime etiliche fino alla liberazione emetica e al sonno comatoso in qualche letto. Le chiama bianche molli forestiere, per via di un candore, di una languore muscolare quasi arreso e di una scioltezza sessuale palese che rende agevole il compito di persuaderle a sdraiarsi; è quasi come – dice Little Giacomino – come affettare del latteo petto di pollo con una motosega. Molli e docili come polli d’allevamento, precoci e imbottite di vitamine, dice Little Giacomino, ragazze da cheeseburger, un traslato perfetto del neoliberismo alimentare, puntualizza, mentre io e Scivolona  e Little Giacomino, da un pezzo esorbitati, scendiamo già le scale mobili impervie e abbacinanti che puzzano di grasso bruciato e borbottano tipo tergicristalli e fischiettano di quando in quando, mentre fuori la notte si scioglie, i parcheggi sono pieni e senza uomini, e la città è ancora sprofondata in quell’umore cupo e spaventato di quando succede qualcosa a qualcuno della tua famiglia e si corre all’ospedale e si sta svegli, e noi torniamo a casa, io, Little Giacomino e Scivolona, e tutti e tre stiamo veramente benissimo, e non c’è proprio male per niente.     

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

 

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One Response to “Parcheggi pieni e senza uomini.”

  1. elena scrive:

    Che belle foto, che bei momenti!!!! Grazie ragazzi :-*

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