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Uomini senza attributi.

Perugia – La prima volta avrebbero potuto incontrarsi alla stazione, ma alla stazione non si sono incontrate. Il tramonto sopra le banchine dalle arcane macchie scure di bagnato era un uragano di luce, le nuvole un’ininterrotta e bassa stagnazione che il sole trivellava così forte da innescare un’ appena percettibile e azzurrina deriva continentale – il tutto sembrava un’esplosione statica, le luci arancioni dei pannelli luminosi colavano giù per lo sfinimento: la sera di fine settembre era indecentemente umida per essere una sera di fine settembre e la voce antisettica e precettrice degli annunci dotava il tempo di quelli che bazzicavano la stazione di una scansione singolare; c’era ancora una certa lascivia estiva fra i viaggiatori più giovani, ma gli altri avevano assunto si presumeva ormai da un mese l’atteggiamento conforme e l’andatura teleguidata dei pendolari, i loro veri sguardi trafugati dalla stanchezza o gelosamente custoditi in reconditi scrigni di intimità, movimenti vaghi ed eterei sui sordidi binari di una noiosa e interminabile serie di repliche dello stesso atto dello stesso spettacolo ogni santo giorno a cui tutti i ragazzi e le ragazze come loro non dubitavano di riuscire a sottrarsi con tutti i mezzi, leciti o meno. Le banchine riservavano poi altri spettacoli.    

Ma di fatto lo scenario includeva Elena appena scesa dal treno che l’aveva  portata a Perugia a vivere e a studiare, si sperava secondo l’anzidetta graduatoria, anche se Elena maneggiava molto cautamente le speranze. Era appena scesa dal suo treno, prima di tutto. E dopotutto sarebbe stata un’inesattezza dire che la stazione fosse piena. In realtà da un certo momento aveva subito una bella sfrondatura, per cui alcuni dettagli, nell’intontito atterraggio eppoi durante il successivo e lento adattamento al cemento, e nel tramonto tempestoso e vivido, balzavano all’occhio con più brutalità del normale, per così dire, ed Elena aveva adocchiato fugacemente una febbrile compagine di ventenni che occupavano, i ventenni, una banchina due banchine oltre la sua, impiastricciati di luce aranciata, ma non sembravano aspettare treni né gente che scendesse dai treni, erano tutti semplicemente ed oziosamente radunati lì e ogni tanto si sfilacciavano per il vettovagliamento alle macchinette e dopo si rapprendevano per chiacchiere sconnesse e trastullamenti incerti – Elena faticava a coglierne i discorsi: erano ragazzi e ragazze, soprattutto ragazzi, questi ultimi assuefatti a un ciondolare bighellone e poseur, ma se il giorno dopo aveste chiesto ad Elena informazioni su una voluminosa chioma castana che sembrava una folta composizione di microconduttori di rame lesionati da un troppo affettuoso stropicciamento, non vi avrebbe potuto dire di aver visto Paola tra di loro, proprio nella compagine sulla banchina due banchine più in là. D’altra parte, la descrizione dei suoi capelli, non si sarebbe mai potuta rivelare esauriente.

I conoscenti che Paola aveva a Perugia – erano loro, la compagine – l’avevano ospitata per qualche notte in attesa che Paola riuscisse a trovare un buon appartamento. La prima notte passata in casa dei suoi conoscenti a Perugia, cioè quella in cui anche Paola era scesa dal suo treno – ma pioveva,  Paola e i conoscenti e gli amici dei conoscenti di Paola erano rimasti al tavolo male illuminato della cucina a parlare seriosamente di struggenti amenità fino alle tre o alle quattro di notte con la tavola che pareva un cimitero costruito sopra una discarica costruita sopra un campo di battaglia, e che nessuno ebbe la forza e la saggezza domestica di sparecchiare quando la stanchezza impose ad ognuno di loro una postura approssimativamente orizzontale. Mentre tutti dormivano, Paola non ci riusciva, e aveva estratto dallo zaino da trekking bicolore sbiadito che giaceva accanto al suo caldo sacco a pelo che giaceva proprio vicino al tavolo della cucina, in un specie di addiaccio al coperto, un’incredibile e noiosissima dispensa risalente al primo anno della triennale, producendo un crepitio cartaceo fastidiosissimo nell’assopimento generale che però non riuscì a disturbare nessuno, e che  Paola lesse, la dispensa, con avida ed altrettanto incredibile concentrazione – non aveva altro da leggere – proprio quando fuori, nel cortile di cemento umido e gramo, al primo tentennante albeggiare, si levavano i sovreccitati cinguettii di uccelli troppo affamati. Non dormì per niente, e alla fine si alzò e si preparò la colazione, euforica per aver trovato, in qualche anfratto della dispensa, un iridescente barattolo di ovomaltina.

La prima notte a Perugia anche Elena è ospite di amici e mentre dormono tutti sgattaiola nella cucina col frigorifero che frigge sopitamente per trafugare una bottiglia d’acqua minerale da far bollire nel bollitore. C’è una netta luce sinistra e citrica e viene tutta dalla strada irta di chiome. Elena arraffa con un pizzico di colpa la sua bottiglia di acqua minerale dalla tavola e solo quando si gira per tornare in camera scopre un’enorme e incombente ombra antropomorfa spalmata sulla parete che la fa sussultare e quasi urlare di terrore col rischio di svegliare tutti e rivelare il suo furtivo armeggio.      

Ecco il primo incrocio di Elena e Paola, due giovani donne e studentesse, in un corridoio di facoltà una di quelle tesissime mattine prima dell’inizio di tutti i corsi, terse, luminose, il cielo che prende a spallate le finestre, il sole che ficcanasa tiepidamente dappertutto, ma dove si annaspa nel moto ondoso in aumento degli orari impenetrabili, delle bacheche, dei ricevimenti, dei tutor perduti in altre dimensioni, dei bidelli omertosi, dei depistaggi; sono giorni bersagliati dall’ansia di aver perso qualche informazione fondamentale, o che qualche corso t’abbia lasciato irrecuperabilmente a piedi col professore che ti lancia uno sguardo di sardonica indifferenza dallo specchietto retrovisore, quelli che dovevano essere i tuoi compagni di corso che ti fanno un eloquente ciao ciao da odiosi primi della classe, e tu stai per scoppiare a piangere dal nervoso accucciandoti nel gran polverone, desiderando la tua famiglia. E vuoi tornare a casa. Ma dal punto di vista delle amicizie studentesche, quelle più durature, questo è il momento perfetto per un imprinting. E’ il momento solidale. L’incrocio è rapidissimo, ma basta ad Elena per appurare che la bellezza potenzialmente autofagocitante di Paola è sottoposta in Paola ad una specie di allenata estroversione e spigliatezza in grado di ripulire la sua bellezza da ogni sospetto esterno di spocchia, da ogni accusa di vivere di rendita, da ogni insulsa e vacua accusa di frivolezza; sarebbe che Paola non è una che se la tira, è chiaro; Paola non dà in appalto se stessa alla sua bellezza, pensa Elena mentre sta incrociando Paola – che a sua volta fiuta l’odore della pelle e dei capelli di Elena, e Elena se ne accorge, e Paola si accorge che se ne è accorta – un atteggiamento di faticosa ed onorevole umiltà agli occhi di una ragazza salda e già matura come Elena, soprattutto di questi tempi, ma che ha la controindicazione per niente trascurabile di seminare i corridoi di una lunga semente di patetici nerds pazzamente innamorati e tendenzialmente depressi, convinti che il gesto rivelatore della donna con la quale invecchieranno attorniati da nipoti famelici di favole coincida con quella volta in cui la ragazza, per un moto di gentilezza irriflessiva, ciò significa dimenticandosi le implicazioni dell’essere una donna, ha dato una rapida spolveratina con le nocche della mano al bavero del loro cappotto disseminato di bricioline di merenda. Purtroppo è così. L’evoluzione di questi maschi disperati e idealisti improvvisamente a luttuoso contatto con la natura concreta e assai poco romantica dei veri legami, li vedrà percorrere tutto lo spettro racchiuso dai due estremi cantore trobadorico e cinico manipolatore e contenente gli arcinoti ed intermedi non vivo senza di lei e tanto era una troia. Sono uomini senza attributi, quasi del tutto irrecuperabili, che una volta evolutisi risultano eccessivi per altri versi, incapaci di cimentarsi con le sfumature, praticamente inadatti a capirle, a capire le donne. Invece Paola vede come gli occhi di Elena si spalanchino di una stupefazione strana, quasi spaurita, quasi continuamente. E’ segretamente affascinata da questa nuda e continuamente affiorante curiosità di Elena – e per continuamente intende i due secondi in cui si sono incrociate. La bocca di Elena – si dice – sembra portarla sull’orlo del grande, vorace respiro del nuotatore.

Appunto su due modi di toccare gli altri: Paola tocca per saggiare e blandire, tocca prima. Poi tocca diversamente, regolandosi sul primo tocco. Il tocco di Elena segue una valutazione, ma poi non tocca per saggiare o blandire, è un tocco materno. Il suo tocco possiede tutte le proprietà di una carezza.         

Matteo Fulimeni

© Giovanni Marrozzini

3 Responses to “Uomini senza attributi.”

  1. robert scrive:

    elena sei da mangiare beibi!

  2. elena scrive:

    Ragazzi, grazie! è davvero emozionante quello che ci avete e state ancora donando… Nel frattempo qui c’è una specie di apocalisse :-/ A presto, spero

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