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Ventimila ignoti.

Cima Grappa – Monte Grappa (VI) –  Quasi con avventatezza, ripartiti da Romano D’Ezzelino, abbiamo passato la notte in cima al Monte Grappa. Da Romano D’Ezzelino è facile, significa proseguire fino a scornarsi con i monti parati lì di fronte. Stanchissimo, Giovanni ha avuto un tracollo mentre affrontavamo l’erta finale, dopo un leggero falsopiano. In cima dormiva già profondo, e si è trascinato per i capelli fino al letto, con le palpebre serrate. Noialtri siamo scesi tutti, anche se a turno, raccogliendoci in un’intimità peripatetica, guantati e incappucciati, al dolce e infido freddo di montagna, e al buio. Prima della cima la strada è tortuosissima, divertente da affrontare, con una prolissità di pali per la neve, praticamente un recinto. Con i fanali abbiamo snidato un paio di nottole appollaiate sui guard-rail causandone il decollo stizzito. Ho potuto così riassaporare edulcoratamente quella forma eloquente di crudeltà verso gli animali che tutti i bambini in possesso di una lente d’ingrandimento hanno bene o male sperimentato. La salita, vivace si, ma interminabile, è in sostanza una lunga strada senza uscita, e sfocia, sotto al sacrario militare, in un parcheggio spazioso, asfaltato, debolmente scosceso; accanto c’è il rifugio Bassano,  col classico tetto spiovente e il consueto legno termoisolante. Perlustriamo il parcheggio alla ricerca della pendenza meno severa possibile e ci fermiamo per la notte. Da qui, in pratica, si può solo ridiscendere. Siamo piuttosto in quota, e nell’oscurità si scorgono i lievi chiarori delle prime nevi che incappucciano i monti tutt’intorno, cime prestigiose e forse più lontane di quanto la vista suggerisca. Né il parcheggio né il rifugio sono illuminati, e il sacrario, scuro anche lui, di notte è appena intuibile, coi sui tondi gradoni, sull’orlo della cresta lanciata nel vuoto alla nostra destra. Ma tutta la pianura laggiù fa quasi piangere: capillarmente illuminata, brillante, sembra la trama di un mastodontico organismo artificiale, tessuto di titubanti bagliori di fibra ottica e percorso da palpiti mozzafiato e ondivaghi sbalzi di tensione, la tragica fotosfera di una tristissima stella epigona. Sono sopraffatto: tutte le luci paiono pietire, l’altitudine agisce come un setaccio, e di certa tracotanza conserva solamente la dolorosa e commovente origine. Tutti i battenti del rifugio sono ermeticamente chiusi. Cado nel sonno piacevolissimo che suggella una sana stanchezza. Ma la mattina arriva presto, stamattina, e il rifugio ha un solo battente aperto. Gli orli erbosi del parcheggio presentano spesse trine di ghiaccio, l’aria è  frizzante e intensamente nevosa e sembra bagnarti i pantaloni. Saliamo su al sacrario. E’ un monumento inaugurato nel 1935, voluto dal dittatore macrocefalo per commemorare le tante migliaia di soldati caduti qui durante la prima guerra mondiale. Tantissimi morti, dodicimilaseicentoquindici italiani, diecimiladuecentonovantacinque austriaci boemi, nel complesso più di ventimila ignoti. Ora riposano nei colombari, loculi a mezzaluna incastonati nei gradoni del monumento. Quelli dove stanno ammassati gli ignoti sono oblunghi,  e compaiono con una precisa cadenza, sicché li si interpreta con scoraggiamento come una cosa a metà fra un lugubre contentino e una cinica esigenza estetica dell’architetto. Dell’architettura di regime il sacrario possiede la pomposità retorica e artificiosa, ed è senza dubbio ripugnante fermarsi a pensare che il tutto sia stato commissionato da quello stesso dittatore pantomimico che ci avrebbe traghettati poco dopo verso gli eccessi di una più efficiente e scientifica disumanità; ma questo luogo, al di là di tutto, riesce a conservare un nocciolo di sincerità incorruttibile, beffardamente religiosa. L’ubicazione pullula di simbolismi bellici forse persino slegati dalle implicazioni storiche, elementi semiotici che inducono ad una compunzione spontanea nei visitatori, ad un naturale e oggigiorno sorprendente parlare a voce bassa; prima di tutto che la strada per arrivare quassù costringa a tutti gli effetti ad arrivare quassù per poter essere affrontata nel verso opposto, insinuando sottilmente quel sentimento di coercizione verso un limite che può essere lasciato alle spalle solo una volta affrontato di cui la guerra è la più eclatante litteralizzazione; poi perché la posizione dominante, la vista che riesce a spaziare dai Colli Euganei all’Adriatico, e che chiarisce senza bisogno di approfondite competenze storiche il perché la guerra qui sia divampata tanto furiosamente, stimola una specie di sopito, desueto prurito patriottico che è sempre più difficile riuscire ad avvertire in altri luoghi storicamente fondamentali, dato che le ragioni del patriottismo si fanno sempre più sfocate, in un mondo dove con un volo low cost ti ritrovi in poche ore a migliaia di chilometri da casa, e continui a sentirti a casa. Un prurito che decido di estinguere immediatamente quando penso alle ragioni che potevano star dietro a un monumento commemorativo come questo settantasei anni fa, e a al modo in cui lo vivo io oggi, e alle enormi differenze che presumo di trovare. Prendiamo la via eroica, che collega l’osservatorio e il sacrario, con  due ali di imponenti steli che recano i nomi dei monti dove si è combattuto. O l’osservatorio stesso, dove gli stessi monti sono indicati su una cartina di piombo. Ho pensato che questo solenne nominare, scolpito nella pietra e nel metallo, rappresentasse il tentativo di umanizzare una geologia indifferente alle tragedie dell’uomo, di tramandare un luogo come teatro tragico ( che è un po’ quello che biecamente tenta di fare il cartello che capita di incontrare sull’autostrada vicino Sant’Anna di Stazzema, che recita in maniera spettacolarmente adeguata ai tempi: “Sant’Anna. La strage”). Ma poi ho capito che sessantasei anni fa, prima del secondo incosciente bagno si sangue, non poteva essere questa, l’intenzione: non importava la tragedia, ma l’epica. Ecco il vero interesse del macrocefalo: l’epica,  l’eroismo dei caduti, non la tragedia umana di ventenni spediti all’inferno. Una riprova di questo è il lato austro boemo del sacrario, completamente minoritario e subalterno a quello italiano, costretto ad accontentasi di una pietà condizionata. Qui non si commemora la follia assoluta della guerra, ma i benefici relativi di un sacrificio folle. C’è la politica, e quindi non può esserci la tragedia. Sono stronzo se, figlio di un tempo ormai follemente dissacratore proprio a causa del disgusto verso una sacralità ipocrita e nociva, penso a tutto questo come a qualcosa di più raccapricciante della guerra stessa? Tuttavia, le tombe dei soldati e il silenzio veramente e non stucchevolmente assordante di questi monti dove cadevano le bombe, come detto, riescono a sconfiggere in qualche occulto e potente modo tutte le fin troppo chiare e limpide meschinità, come una specie di tenace bisbiglio che imbeve l’aria azzurrina, e la nebbia che brucia stancamente nella valle, e persino le scie bianche degli aeroplani, e, sembrerà banale, ma riesco a sentire un bisogno potentissimo di amare, di amare fisicamente, come mi succede tutte quelle volte che immagino e sbircio l’orrore, la decadenza,  la mortalità, in modo tale da accorgermi che la vera sostanza del sacrificio di questi caduti, il loro vero dono, è il sentimento che adesso, davanti ai loro loculi, riesco a provare con tanta intensità. Loro, che prima un inammissibile e assurdo dovere li ha confiscati alle madri, ai padri, ai fratelli, alle mogli, alle amanti, e ora l’encomio e la gratitudine, sacrificandoli ancora e per sempre, li costringono a riposare qui, quando tutti ben sanno che l’unico semplice desiderio di un giovane soldato, è di tornare a casa.

Matteo Fulimeni

 

© Giovanni Marrozzini

One Response to “Ventimila ignoti.”

  1. elisa scrive:

    Ciao sono Elisa, oggi ci siamo incontrati sull’Ossario di Cima Grappa ed io e la mia amica ci siamo chieste cosa stavate facendo …Poi vi abbiamo visto vicino al camper tapezzato di publicità ma non volendo essere invadenti siamo andate per i fatti nostri…Così presa dalla curiosità con l’aiuto di internet vi ho individuato…
    …Luogo suggestivo per passare la notte!!!
    Per Matteo :evidentemente hai trovato L’ispirazione …hai colto aspetti molto sottili del genere umano!Anch’io oggi come te ho fatto un pensiero di luce per quei poveri soldati…

  2. […] Cima Grappa-Ventimila ignoti-Soldato Peter Pan […]

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