Dal 7 al 13 giugno il Castello Svevo di Termoli farà da venue a due mostre fotografiche: Diventare Oceano e Randstad1969.
Sebbene distinte, riescono a costruire un dialogo intenso proprio se considerate nel loro insieme.
Il progetto Diventare Oceano, a cura di Lello Muzio, dimostra ulteriormente che la fotografia può superare la mera rappresentazione del reale per attingere da quell’immaginario che giace nelle profondità della psiche umana e dunque per mostrare quel paesaggio interiore che abita ogni individuo.
I progetti fotografici sono accompagnati da brevi testi evocativi scritti dagli autori.
Negli scatti di Annarita Setaro emergono dalla memoria dei ricordi sotto forma di frammento e il progetto nel suo insieme costruisce un enigmatico abbecedario.
Rosanna Fanzo invece propone una riflessione sull’emotività del corpo. Subito sotto l’epidermide vive un magma pronto a declinarsi in emozioni che trovano una via di uscita dagli occhi, dai tagli.
Nelle cicatrici e nelle cuciture avviene una catarsi.
In Cristiana Ricciardi la luce esce da una lente per proiettarsi sul corpo che prova a trasformarsi in materia fotosensibile: un gioco effimero e decisamente onirico.
La sparizione è il tema centrale di Stefania Bevilacqua.
Negli spazi vivono vuoti di luce, l’oro prezioso di quel prolungamento della vita che avviene grazie ad un esercizio di memoria. Il ricordo. Giovanni Rosa indaga la notte che da periodo temporale si trasforma in spazio, una dantesca selva oscura. Non è però un luogo transitorio: è necessario tuffarsi nel buio
e sostare, mettere a fuoco il nero, talvolta accendere una luce mentale per dissolvere eventuali timori e attendere con pazienza che la pupilla si dilati.
Alessandro Iannaccone ragiona sullo spazio che si interpone tra l’oggetto di osservazione e il soggetto. Questa atmosfera si materializza in filtri che si interpongono come ad ostacolare una visione chiara delle cose. Ma quasi per magia ci si accorge poco dopo che l’oggetto di osservazione è proprio il filtro su cui si posano segni, ombre, luci.
Ilaria Marinelli fa il bagno nella sua infanzia. Non ha bisogno di imparare a nuotare perché recupera il suo saper stare nel liquido amniotico dell’universo. Non guarda l’ombelico pensando di guardare il mondo: quel nodo è il pulsante per attivare una cosmogenesi quotidiana che dissolve i limiti domestici.
Sebbene distinte, riescono a costruire un dialogo intenso proprio se considerate nel loro insieme.
Il progetto Diventare Oceano, a cura di Lello Muzio, dimostra ulteriormente che la fotografia può superare la mera rappresentazione del reale per attingere da quell’immaginario che giace nelle profondità della psiche umana e dunque per mostrare quel paesaggio interiore che abita ogni individuo.
I progetti fotografici sono accompagnati da brevi testi evocativi scritti dagli autori.
Negli scatti di Annarita Setaro emergono dalla memoria dei ricordi sotto forma di frammento e il progetto nel suo insieme costruisce un enigmatico abbecedario.
Rosanna Fanzo invece propone una riflessione sull’emotività del corpo. Subito sotto l’epidermide vive un magma pronto a declinarsi in emozioni che trovano una via di uscita dagli occhi, dai tagli.
Nelle cicatrici e nelle cuciture avviene una catarsi.
In Cristiana Ricciardi la luce esce da una lente per proiettarsi sul corpo che prova a trasformarsi in materia fotosensibile: un gioco effimero e decisamente onirico.
La sparizione è il tema centrale di Stefania Bevilacqua.
Negli spazi vivono vuoti di luce, l’oro prezioso di quel prolungamento della vita che avviene grazie ad un esercizio di memoria. Il ricordo. Giovanni Rosa indaga la notte che da periodo temporale si trasforma in spazio, una dantesca selva oscura. Non è però un luogo transitorio: è necessario tuffarsi nel buio
e sostare, mettere a fuoco il nero, talvolta accendere una luce mentale per dissolvere eventuali timori e attendere con pazienza che la pupilla si dilati.
Alessandro Iannaccone ragiona sullo spazio che si interpone tra l’oggetto di osservazione e il soggetto. Questa atmosfera si materializza in filtri che si interpongono come ad ostacolare una visione chiara delle cose. Ma quasi per magia ci si accorge poco dopo che l’oggetto di osservazione è proprio il filtro su cui si posano segni, ombre, luci.
Ilaria Marinelli fa il bagno nella sua infanzia. Non ha bisogno di imparare a nuotare perché recupera il suo saper stare nel liquido amniotico dell’universo. Non guarda l’ombelico pensando di guardare il mondo: quel nodo è il pulsante per attivare una cosmogenesi quotidiana che dissolve i limiti domestici.
Randstad 1969 è un progetto curato da Pierluigi Ortolano. Da un processo di archeologia fotografica emergono fotogrammi del paesaggio culturale relativo ad un’area dei Paesi Bassi che va da Amsterdam al Mare del Nord. Chi è il fotografo? Chi sono le persone ritratte, i paesaggi, gli eventi? Non importa.
Anche in questo caso il curatore propone l’operazione che fa emergere dall’oblio immagini che chiedono all’immaginazione di costruire le storie che le hanno prodotte.
Il Progetto Randstad 1969 è complesso ed enigmatico, un’operazione che stimola l’elaborazione del racconto, la costruzione della verità.
In entrambi i progetti esposti la fotografia è un trigger sia per l’artista che per l’osservatore: chiede al fruitore uno sforzo immaginifico, la costruzione di un contesto soggettivo.
La fotografia si emancipa così dalla funzione storicizzata di documentazione delle cose e degli eventi per divenire espediente per un’esperienza complessa. Attraverso passaggi dentro e fuori
dal corpo, dentro e fuori dal paesaggio fisico e mentale in cui esistiamo, avviene una cucitura tra l’individuo, la società e l’ambiente: c’è qui il tentativo ambizioso di una reductio ad unicum tra questi tre elementi. La fotografia diventa un metodo.
Anche in questo caso il curatore propone l’operazione che fa emergere dall’oblio immagini che chiedono all’immaginazione di costruire le storie che le hanno prodotte.
Il Progetto Randstad 1969 è complesso ed enigmatico, un’operazione che stimola l’elaborazione del racconto, la costruzione della verità.
In entrambi i progetti esposti la fotografia è un trigger sia per l’artista che per l’osservatore: chiede al fruitore uno sforzo immaginifico, la costruzione di un contesto soggettivo.
La fotografia si emancipa così dalla funzione storicizzata di documentazione delle cose e degli eventi per divenire espediente per un’esperienza complessa. Attraverso passaggi dentro e fuori
dal corpo, dentro e fuori dal paesaggio fisico e mentale in cui esistiamo, avviene una cucitura tra l’individuo, la società e l’ambiente: c’è qui il tentativo ambizioso di una reductio ad unicum tra questi tre elementi. La fotografia diventa un metodo.
Diventare oceano e Randstad 1969 sono di certo una metafora ben funzionante per indicare quell’esercizio di dilatazione dell’io, quell’espansione del soggetto che vuole tendere all’infinito.
Il tentativo di superare i propri limiti è l’abbrivio verso quella visione wordly a cui sembrano tendere le ricerche artistiche contemporanee più interessanti.
Il tentativo di superare i propri limiti è l’abbrivio verso quella visione wordly a cui sembrano tendere le ricerche artistiche contemporanee più interessanti.
Testo di Michele Porsia
-Diventare Oceano-
a cura di Lello Muzio
a cura di Lello Muzio
Fotografie di : Annarita Setaro- Rossana Fanzo- Cristiana Ricciardi- Stefania Bevilacqua- Giovanni Rosa- Ilaria Marinelli- Alessandro Innacone-
-Randstad1969-
141 rullini riportati alla luce- un progetto di Pierluigi Ortolano
-Direzione Artistica- Michele Porsia
In collaborazione con:
– Circolo Fotografico – “Frammenti”
– Settimopiano_ALIA cultural association
Con il Patrocinio del Comune di Termoli
–Riconoscimento FIAF n° K02/2023–
Inaugurazione Mercoledì 7 Giugno ore 17:30
Orari di visita:
Tutti i giorni 17:00-23:00 Venerdì-sabato-domenica: 10:00-12:00–17:00-23:00
Tutti i giorni 17:00-23:00 Venerdì-sabato-domenica: 10:00-12:00–17:00-23:00