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“Dee” di Paola Fiorini

“Numen vel dissita iungit” (La divinità congiunge anche le cose distanti), la citazione latina nell’apertura di Dee, ci accompagna in un viaggio nel tempo, da un’epoca arcaica all’oggi. L’autrice, Paola Fiorini, riflette sull’uso del suolo, obiettivo che si è proposta insieme agli altri membri del collettivo Synapsee, nel progetto fotografico “Agro”
Concentra la sua ricerca in Lessinia, su una produzione alternativa rispetto a quella dominante dei vigneti: la coltura di fiori ed erbe officinali. Il tentativo non è proporre un lavoro di denuncia sullo sfruttamento irresponsabile del suolo. Forse le indagini sul nostro mondo malato appagano la fame di morale, ma corrono il rischio di attenuare la nostra percezione di quanto la situazione sia allarmante. È dunque comprensibile il desiderio di addentrarsi in una dimensione più spirituale e ossigenante, ideando un’opera originale, lontana dall’immagine annichilente di autodistruzione umana.
L’autrice inizia con un reportage, ma le epifanie della fotografia, riservano sorprese. I riti, legati alle erbe e al loro impiego, illuminano la sua ricerca che, lentamente, diventa un lavoro di recupero che incontra il mito: il potere della Grande Madre che si incarna in figure di dee e di simboli che esprimono l’eterno ciclo di nascita e morte, dove il femminile collega il mondo umano con quello divino. La suggestione di un tempo circolare abbraccia tutta la sequenza, che, dal presente sembra risalire ad una natura di inizio della civiltà umana. La società contemporanea ha sempre più mortificato, la natura primitiva e selvaggia, quel nostro desiderio dolce e malinconico di vivere in relazione con la terra e l’archetipo della Grande Madre diventa l’espediente narrativo, il fuoco nascosto di Dee.
La sequenza, come racconta la stessa autrice, si è manifestata da sé, come se in ogni immagine scelta lei stessa avesse riconosciuto un archetipo narrativo non premeditato e creatore di senso.
Una profonda sensibilità, verso la sofferenza della Terra, e la riflessione, sulla crisi che sta attraversando l’umanità, ha accompagnato l’autrice in questa ricerca molto personale che offre una speranza a chi vuole prendersi cura del mondo, superando un’idea di natura come qualcosa di esterno a noi. Creare e praticare l’arte a partire da qui può dare un nuovo senso.
La definizione che appare nella penombra, grazie al medio formato, conferisce fascino e pienezza di senso, che permette ad ogni scatto di vivere in una piena autonomia. Colpiscono gli occhi chiusi che ci rivelano lo scorrere di un mondo interiore invisibile e che si apre all’immaginazione, sollecitando l’idea che immaginazione e speranza possano convivere in questo mondo guasto. Guardare indietro, alle cose perdute, al tempo dell’inizio, con uno sguardo poetico che non rinuncia alla nostalgia, può consentirci di accogliere forse quella tenerezza necessaria, come sembrano suggerirci alcune immagini di innocenza infantile e dolcezza dell’età più avanzata, per avere gli occhi nel futuro.
Ma Dee ci conduce anche verso altre riflessioni, non evidenti ma evocate, anche a partire dal titolo, sulle energie delle donne che continuamente sono fluite verso l’accudimento degli affetti e sul disequilibrio tra maschile e femminile, che non è una condizione di natura, dunque è modificabile e lo sarà quando uomini e donne si impegneranno in una vera reciprocità. Resta, a chi guarda, il desiderio di scovare simbologie e significati in questa serie affascinante e misteriosa e l’allusione ad un nuovo rinascimento, evocato con Flora della Primavera del Botticelli, il capolavoro del Rinascimento italiano. La speranza è che possano fiorire le migliori attività intellettuali per una nuova rinascita.

Piera Cavalieri

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