Generale

Progetto “Statale18”

La statale 18 è una strada che attraversa tre regioni in quasi 600 chilometri: la prima Salerno-Reggio Calabria della storia.

Un percorso tra terra e mare, disseminato di ostacoli, che scorre in mezzo al traffico e insidie mortali, tra scorci ancora incantevoli e brutture spaventose. Ovunque le follie dell’abusivismo, la gestione scriteriata delle coste cementificate, ma anche i mali e le contraddizioni vecchie e nuove di centri popolosi e comunità che davanti al mare della storia, ai panorami mozzafiato e alle bellezze deturpate covano i germi di un’inquietudine distruttiva e livellatrice.

Ma la statale 18 non è solo una strada:

Mauro Francesco Minervino sostiene che la Statale 18 è in realtà una vera e propria città, una “città nuova” che si affianca prepotentemente alle città storiche calabresi; è un “nastro urbano” (d’altra parte anche nelle Esplorazioni sulla Via Emilia si considera l’Emilia Romagna come sistema urbano policentrico collegato dalla via Emilia).

E questo nastro si presenta come una sorta di periferia tentacolare con i suoi tanti annessi e connessi cementizi, stradali e commerciali (quelli che Marc Augé definì qualche anno fa “nonluoghi”)* che allontanano sempre di più ampi territori del Sud dagli “standard” europei segnati da razionalità, ordine, civiltà, forma.

Il Sud della SS18 è invece informe, segue logiche spontaneiste che si rendono evidenti nell’abusivismo edilizio, sfruttamento dell’immigrazione e della prostituzione, inquinamento del suolo, del mare e dei fiumi, delinquenza comune e organizzata, spaccio, costruzione di centri commerciali, villaggi turistici, solarium, sexy-shop, ristoranti pacchiani, alberghi a ore, locali notturni, ecc.

La SS18 diventa così una fungaia dove tutto è gettato alla rinfusa, tant’è che Minervino parla di “mostrificazione del Sud e della Calabria”, con la SS 18 che diventa la “madre di tutte le catastrofi calabresi”, “area simbolo del paradosso sociale e del non luogo”.

La SS 18 è dunque il (non)luogo dove viene meno il senso della civiltà e della bellezza, con altre possibili declinazioni:
la strada delle vacanze per tutti, passaggio obbligato del Gran Tour del tamarro, la strada del pendolarismo coatto, della morte possibile dietro ogni curva, paesi svuotati d’inverno e che superano ogni possibile capacità di carico durante una o due settimane all’anno, case che vivono di vita propria per undici mesi, in solitudine e umidità, tristi allo sguardo di chi questa strada la vive tutto l’anno, quelli che ci vivono accanto, sopra dentro, ovunque, in questo affastellamento senza fine.

Le vite si conducono stanche su questa via; chi vi si affaccia ogni mattina, respirandone l’essenza di smog e noia, è ormai indifferente allo scempio. È la vita di chi ha scelto di restare qui, di farci crescere figli e nipoti “a fronte strada”. Proprio qui, dove “i desideri fanno in fretta a passare e diventano ricordi”.

*I nonluoghi della surmodernità di Augé si caratterizzano per essere privi di storia e identità, ovvero, si somigliano tutti. Riconosciamo ad esempio nella Statale 18 la strada delle vacanze della nostra infanzia?
Secondo la teoria di Augè gli individui possono sentirsi accolti da un luogo e sviluppare il desiderio di fermarvisi, se tale luogo possiede gli attributi dell’identità (cioè di obbedire alla «legge del “proprio”»), della storicità (cioè dell’essere cresciuto nel tempo e nella storia) e della relazionalità (cioè dell’essere collegato con altri luoghi vicini o anche lontani). Al contrario, i nonluoghi sono definiti dall’anonimità, dall’astoricità e dalla transitorietà.
Per altri versi la sensazione di ‘vuoto’ e di smarrimento percepito sulla SS18 corrisponde ad una sorta di chiusura dello spazio esterno realizzata attraverso i vari ostacoli alla vista (gli edifici, i cartelli e segnali, ecc.) che impediscono allo sguardo di vagare fino all’orizzonte, e di scorgere la vastità dello spazio intorno. Tenerci lontano da questi orizzonti e attirare il nostro sguardo esclusivamente su quanto è ravvicinato (cartelli pubblicitari ad es.) costituisce una delle aspirazioni principali dell’universo consumistico e mediatico.

Infine, una riflessione di Uliano Lucas,
secondo il quale i fotografi si volgono “al paesaggio, percepito come soggetto ideale per mostrare le condizioni attuali del vivere, lo straniamento dell’uomo rispetto al suo ambiente, l’inevitabilità di un destino fatto di disordine”,
e un estratto da una email di Bizzarri a proposito delle Esplorazioni:
“L’idea che io avevo in mente (erano d’accordo anche Ghirri e Celati) era quella che le fotografie dovevano in qualche modo raccontare delle storie, una specie di piccoli racconti dentro un racconto più largo”

per info sui tempi di realizzazione e modalità di partecipazione, contattare il curatore del progetto all’indirizzo attilio@fotoit.it

 

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