Mostra Fotografica – Kenofilia
Personale di Franco Sortini

Franco Sortini
K E N O F I L I A
Ritratti dello sguardo
PiMAC Pinacoteca d’Arte Contemporanea
dal 13/9 al 31/10/2025
Direzione organizzativa di Gerardo Fiore
PIMAC – Pinacoteca d’Arte Contemporanea Città di Montoro
In collaborazione con: Circolo Fotografico AvellinoPHOTO e Associazione culturale ‘Contemporaneamente’ APS, MONTOROCONTEMPORANEA.
Con il Patrocinio del Comune di Montoro (AV)
Mostra riconosciuta dalla FIAF, Federazione Italiana Associazioni Fotografiche

Vernissage: venerdì 13 settembre, ore 18.30
Saluti Istituzionali:
Salvatore CARRATÙ, Sindaco Città di Montoro
Giovanni GAETA, Assessore alla Cultura
Antonello CERRATO, Consigliere Provinciale
Eliana PETRIZZI, Direttore artistico PIMAC
Gerardo FIORE, Presidente Associazione culturale ‘Contemporaneamente APS’
Franco SORTINI, fotografo
Inaugura venerdì 13 settembre alle ore 18,30 ‘KENOFILIA – Ritratti dello sguardo’, la personale di fotografia di Franco Sortini, visitabile fino al 31 ottobre presso la PIMAC – Pinacoteca d’Arte Contemporanea (Via Maggiore Vincenzo Citro, San Bartolomeo di Montoro (AV))
In mostra, una ricerca sul paesaggio urbano, che parte da alcune immagini successive a “Un luogo neutro” e che si sviluppa nell’arco di alcuni anni, dal 2020 al 2025. Il percorso è stato pensato per accompagnare lo spettatore verso immagini più complesse e descrittive – molte pensate come dittici o trittici, per la loro “costruzione” visiva e cromatica – fino alle ultime composizioni, più minimaliste e metafisiche, che si “svuotano” anche del colore, fino ad evidenziare semplici tracce del paesaggio e della città.
Scrive Eliana Petrizzi, Artista e Direttrice PiMAC:
“Uno degli aspetti che più mi dispiacciono del vivere contemporaneo è il rumore, dei suoni e delle cose. Ogni spazio deve essere colorato, riempito, assordato. Mi piacerebbero, invece, momenti com’erano un tempo le ore spente in televisione, senza trasmissioni; con un’immagine fissa per ore, o un formicolio indistinto che animava lo schermo.
Per questa ragione, in pittura e in fotografia – malgrado la mia formazione fiamminga e rinascimentale – ho sempre amato, tra gli altri, Piero della Francesca, Giorgio Morandi, Luigi Ghirri, Rothko. E per via di queste mie predilezioni, mi sento particolarmente vicina alla fotografia di Franco Sortini.
KENOFILIA è amore per il vuoto, per un concetto cioè che, a partire dal suo rimando più comune (la paura della morte) viene combattuto dalla cultura occidentale in maniera ossessiva e disperata, ignorando il fatto che, a volte, fare amicizia col nemico è il modo migliore per trovare un alleato.
È infatti proprio il vuoto – per la sua illimitata capacità di accoglienza – a consentire una straordinaria capacità di visione e di scrittura.
I paesaggi di Sortini sono luoghi metropolitani o naturali, che, però, se osservati attentatamene, presto si sottraggono a qualsiasi identificazione di tempo e di luogo. Gli uomini mancano, rievocati da lievi tracce del loro passaggio. Pochi i colori, a favore di una tavolozza che premia la complicatissima gamma dei bianchi e dei grigi, riscaldati dalla potente luce meridiana di un Sud antico ed onnipresente, anche quando Sortini ritrae altre latitudini. Essenziali le geometrie, ridotte a composizioni di metafisica purezza. Eppure, malgrado “l’abitare spaesati su questa terra” (Heidegger), nei suoi scatti ci si sente a casa. In questa magistrale capacità di decrescita estetica, non alienano il silenzio, né l’assenza degli umani. Il senso è piuttosto quello di un eterno presente; la sua traccia fondante, un’attitudine che vede nella forma la vera sostanza delle cose.
Non serve troppo colore, non serve la pletora delle forme, che annega lo sguardo in una penosa incapacità di visione. Il troppo fa di ogni opera d’arte uno strumento imbottito di stracci, che per questo non risuona. Bisogna saper risplendere nel poco. Togliere, assottigliare, scarnire, pulire, silenziare, ricomporre, coagulare: ecco ciò che un poeta, un pittore, un fotografo devono saper fare.
Negli scatti di Sortini, lo spazio respira e si espande. La vita è un’immagine di aria e di pietra: grazia e lutto, gesto e assenza, desiderio e rinuncia, consolazione e perdita. I suoi muri immacolati esprimono il senso del mutamento attraverso la leggerezza, e quello della leggerezza con l’inganno del peso. Eppure, in questa riduzione estrema delle cose, tutto prende una definizione più nitida. Si può ottenere qualsiasi risposta dalla muta apparenza delle forme. L’intervallo diventa così evento, cosa visibile. Tra il cespuglio e il muro sullo sfondo, tra un palazzo e il cielo, il vuoto prende corpo, dimensione, identità e voce. Diventa lo spazio in cui germinano le vite degli assenti, combinazioni di numeri, la portentosa intelligenza dell’inintelligibile. Anche la fotografia, come la pittura, deve accompagnare alla scoperta di quello che non si vede, parlando di un incontro possibile solo se si abbandonano le pretese dell’approdo.
Forse è tutta qui la chiave della bellezza: sono oneste le giostre spente nel parco, la polvere di un quartiere immobile, il vento che ulula tra gli alberi; lo sguardo di chi, fissando l’orizzonte, sa che è sempre su una soglia molto sottile che si incontrano il benvenuto e l’addio.”
La mostra è visitabile fino al 31 ottobre
Giorni e orari apertura:
–lunedì, martedì, mercoledì e venerdì: dalle 9,00 alle 12,00
–giovedì: dalle 9,00 alle 12,00 e dalle 17,00 alle 19,00
–sabato: dalle 17,00 alle 19,00
Per info: 389 1629853
FRANCO SORTINI / BIOGRAFIA
Franco Sortini è nato nel 1958 e fin da giovanissimo si è interessato di grafica e pittura. Dal 1982 si occupa di fotografia e con Franco Fontana, indiscusso maestro della fotografia a colori, approfondisce l’interpretazione del colore e delle forme. Nel 1986 apre uno studio di fotografia commerciale e grazie a collaborazioni con importanti agenzie di comunicazione dagli anni ’90 offre i suoi servizi corporate ad una vasta clientela nazionale. Nel 1990 partecipa ai “Rencontres Internationales de la Photographie” di Arles, in Francia, dove Denis Curti lo invita ad esporre a Berlino. Nel 1995 partecipa ad una serie di mostre in Spagna, dove presenta il suo lavoro “Frammenti di Memoria”, fotografie sulla figura sviluppata con la tecnica del mosso. Nel 1995 Jean Claude Lemagny, Direttore del Dipartimento di Fotografia della Bibliotheque Nationale di Parigi, acquisisce alcune fotografie di questa serie per la collezione della biblioteca. Con Polaroid partecipa ad una serie di mostre a Parigi, alla Maison d’Italie nel 2007 e a New York nel 2008. Dal 2011 inizia una lunga ricerca sul paesaggio urbano, che lo porterà a pubblicare nel 2015 il suo primo importante libro “Un Luogo Neutro”.
Grazie alla sua particolare tecnica di ripresa le sue fotografie vengono presentate sempre con uno spirito impassibile, considerando il sottile equilibrio tra le persone e l’ambiente circostante e l’uso del colore è particolarmente apprezzato per la capacità di esprimere la realtà e la luce mediterranea. Lavora fotografando scene urbane focalizzandosi sulla città vuota, inseguendo il concetto rinascimentale della “città ideale”, un luogo
dove poter trovare ordine nel caos. Il suo lavoro nasce negli spazi e il grande formato gli permette di risolvere la struttura prospettica e l’impianto visivo classico, in cui prevale una prospettiva centrale, che delinea il profilo di una fabbrica, degli edifici, ma in senso più esteso quello di un’architettura. Un genere fortemente urbano dove il rigore e l’ordine costruttivo viene risolto con un colore desaturato, colore che poi ricompare con delle connotazioni, quasi delle citazioni, che giustificano una poetica tipica dell’autore stesso. Ispirato dal lavoro e dalla ricerca di Luigi Ghirri, il suo stile affonda le radici nella “Scuola di Dusseldorf”, con riferimenti a Bernd e Hilla Becher, Candida Hofer, Thomas Struth e Elger Hesser, quest’ultimo per la interpretazione del colore e per i suoi paesaggi “rarefatti”. Non mancano, in alcune sue fotografie, richiami alla composizione tipica di Edward Hopper, o alla ricerca sul territorio di Stephen Shore.
Ha esposto ampiamente le sue opere in numerose gallerie e le sue fotografie sono presenti nelle collezioni della Bibliotheque Nationale de France di Parigi, dell’Archivio AFOCO di Cordoba, della Galleria Civica di Modena, del Dipartimento di Arte Moderna dell’Università di Siena, del Museo dello Sbarco di Salerno, del FRAC Fondo Regionale per l’Arte Contemporanea di Baronissi, della Collezione d’Arte Contemporanea Città di Montoro ed in molte collezioni private. Ha pubblicato diversi libri di fotografia e alcuni libri d’artista in edizioni limitate. Le sue fotografie, inoltre, sono state pubblicate su molte riviste e web magazine. Nel 2018 gli è stato assegnato il “Premio UVA – Università di Verona per l’Arte” per la Fotografia Contemporanea.
Fotografo professionista dal 1986, dal 1990 è membro effettivo dell’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti. Attualmente vive e lavora a Salerno.
PRINCIPALI CONTRIBUTI CRITICI
“La ricerca fotografica di Franco Sortini si svolge all’interno di aree urbane e suburbane d’Italia e di altri paesi europei, e si concentra con prassi metodica nell’elaborazione di vedute oggettive degli agglomerati e delle infrastrutture che ne qualificano gli aspetti e i meccanismi.
Edifici, strade, impianti, cantieri; luoghi da abitare, percorrere, utilizzare, restaurare: nelle zone tipiche e non imitabili di singoli centri storici, ma anche in quelle tendenzialmente asettiche e standardizzate delle periferie, dove a determinare il paesaggio sono perlopiù elementi effimeri e globalmente adottati sulla base di moduli uniformi.
Eppure l’obiettività non è mai assoluta: la decisione su cosa e come vedere e far vedere è per ogni scatto il risultato di un accurato ragionamento personale; alcuni tratti procedurali, così come i relativi effetti nella resa delle fotografie, sono ricorrenti ma non assurgono a paradigmi inviolabili, sicché entro limiti ponderati Sortini si riserva la libertà di introdurre delle variazioni.
E’ istintivo, davanti alla ricerca condotta dallo sguardo sagace e infaticabile di Franco Sortini, il richiamo ai criteri ispiratori e agli esiti tangibili propri della Scuola di Düsseldorf: per l’ambizione costante a osservare i luoghi mantenendosi in ammirevole bilico tra distanza imparziale e partecipazione emotiva, ma anche per la condivisione di quell’intimo stato d’animo che con olimpica consapevolezza faceva dichiarare a Bernd e Hilla Becher “Non siamo in grado di terminare il nostro lavoro, dal momento che è infinito”.
Carlo Gallerati
Gallerista e Critico
Roma
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“Franco Sortini, ovvero il paesaggio come risultato della sottile alchimia che unisce la visione dell’ambiente naturale alla cultura, alle emozioni e alle sensazioni interiori del fotografo creativo. Franco Sortini, nato come grafico e pittore, poi diventato uno dei fotografi creativi che più di altri, meglio di tanti altri, “rende visibile l’invisibile”, fotografando il paesaggio urbano. Come ammette lo
stesso Sortini, nel fotografare le città, gli edifici, i paesaggi urbani, coglie “nella marea delle informazioni quotidiane quegli aspetti che più riescono a delineare” la sua “idea di città, con lo scopo di una fotografia che vada oltre la semplice documentazione”, rendendo visibile l’invisibile, appunto.
Parafrasando Italo Calvino de “Le città invisibili”, “le città sono immobili. Talvolta bellissime, ma immutevoli come la pietra di cui sono fatte”. La città di Franco Sortini, “svuotata dalle persone e dalle cose”, ci si può presentare come “un luogo neutro”, con i suoi edifici “multipopolari” (che richiamano le strutture architettoniche dell’ex Unione Sovietica), gli spazi metafisici, immersi nel silenzio assoluto
e nella più completa solitudine, dove anche le poche automobili presenti associano l’idea dell’immobilità, dell’assoluta staticità e della solitudine.
Se il paesaggio storico è quello dipinto da Ambrogio Lorenzetti nel celeberrimo “Gli effetti del Buon Governo in campagna”, dove abbiamo un sublime accatastarsi disordinato di vitigni a terrazza, ville, case più o meno estese, pascoli, aceri e boschetti, i paesaggi urbani di Franco Sortini, anche grazie alla luce abbagliante, mediterranea e ai colori morbidi e delicati – dal rosa al celeste, al paglierino, all’ocra – “tendono a somigliarsi e la globalizzazione penetra nel tessuto urbano, rendendo i luoghi sempre più simili”.
Ma squisitamente poetici, altamente creativi-artistici.”
Franco Fontana
Fotografo
Modena
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“L’operazione di Franco Sortini, fotografo principalmente delle città, alle quali attribuisce una forte connotazione d’anonimia, è quello di formare un affresco contemporaneo di più nazioni, la cui natura non può che essere mutevole e molteplice nel tempo, ma qui congelata in uno stato di permanenza in stile pittorialista.
Coloro che si misurano col tema del paesaggio, ivi compreso lo stesso Sortini, spesso lo introducono in termini polisemici: di quale paesaggio parliamo? Urbano, periferico, noto o disconosciuto?
Il luogo “imparziale” di questo lavoro comprende quindi un intero orizzonte semantico dove la città “storica” è di per se una risorsa fruibile sia nelle sue componenti oggettive che in quelle volutamente astratte e il valore della fotografia può essere nel primo caso rappresentazione del paesaggio mantenendo un approccio puramente documentario, nel secondo una ricca occasione per una rivisitazione di scenari intimi che l’autore lega strettamente a sé.
Nelle immagini fotografiche, ricordando Barthes, è custodita la vita di qualcuno, che viene offerta al pubblico secondo un alfabeto visivo unico e personale e dove l’atto del fotografare prescinde l’esistente.
La citypedia estetica di queste fotografie è un’ode fotografica sotto forma di dedica alla città, o meglio alle città d’Italia e d’Europa, e una benedizione apostolica e tutta decadentistica nel segno tangibile della diversità.
La promenada, prima meridionalista – tributo alle proprie origini – poi italiana e sempre più mitteleuropea, non cade nella trappola dell’ovvio o dell’artefatto né riproduce continuamente nuove declinazioni delle retoriche che giocano su polarità estetiche quali mainstream-underground, sperimentale-tradizionale, internazionale-locale (*).
La geografia sortiniana quindi esplora a fondo sia la dimensione oggettiva e materiale dei luoghi – l’insieme degli elementi fisici – sia quella soggettiva e immateriale – la sfera dei significati.
Ma la radicalità del progetto si situa nella configurazione di nuovi rapporti tra geometrie e luci, un metodo compositivo peculiare dell’ultima fotografia che esilia per sempre il soggetto umano, come in questo caso, o ne fa un sostrato di legittimazione così profondo da divenirne un contrassegno.
Questo lessico, ormai divenuto familiare, fa di Sortini il famoso botanico da marciapiede ovvero il conoscitore analitico di certo tessuto urbano con l’atteggiamento umorale del flâneur in cui
l’estetizzazione del territorio è un reticolo indipendente e dove la città qui raffigurata sostiene tutta la propria legittimità e vitalità fin quando riesce ad apparire armonica e sincera. Un atto di lealtà rispetto alle finzioni spettacolarizzanti e contemporanee delle arti figurative.”
Valentina Isceri
Critica e curatrice di Fotografia
Lecce
*da “I linguaggi della metropoli” di Valeria Giordano.
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“Fotografie di paesaggi urbani molto vari – centri storici, periferie, aree produttive – unificate da uno stile asciutto dal tono quasi metafisico, costituiscono il lavoro realizzato da Franco Sortini seguendo il filo concettuale che i paesaggi urbani, almeno quelli delle città della vecchia Europa dove ha realizzato le fotografie, siano spesso simili e interscambiabili. Questa impostazione è in sintonia con quell’idea di non luogo che da molti anni fa parte delle analisi critiche sociologico-urbanistiche. Perché i luoghi – soprattutto quelli meno connotati architettonicamente da segni storici di lunga data come le moderne periferie – effettivamente si prestano a un gioco di interscambio visivo dove ogni veduta può appartenere allo stesso modo alla periferia di una qualsiasi città europea. Indipendentemente da questa impostazione concettuale che per certi aspetti può apparire costrittiva – forse nessun luogo è veramente un non-luogo o un luogo neutro, se non a un primo sguardo come può essere quello del fruitore frettoloso del paesaggio urbano, ma contiene sempre margini più o meno estesi di identificazione – il lavoro di Sortini, perseguito a lungo in molte città europee, da Berlino a Lisbona, da Siviglia a Trieste e poi in molte città italiane dal Nord al Sud, è ammirevole per il rigore stilistico che lo contraddistingue e lo carica di omogeneità concettuale oltre che visuale.
Un altro dato che lo contraddistingue è la totale mancanza di persone nelle inquadrature, in linea con le esperienze ormai storicizzate di tanti fotografi contemporanei di paesaggio dalle esperienze americane di molti tra i Nuovi Topografi a quelle italiane di molti tra gli autori appartenenti al cosiddetto Nuovo Paesaggio Italiano. I luoghi appaiono desolati nella loro struttura essenziale, quasi visioni di un inquietante day after che ha cristallizzato il paesaggio europeo contemporaneo. Eppure la nostra esperienza di spettatori e di persone raziocinanti apre spiragli a una lettura più profonda e fa volare l’immaginazione, e pare di intravedere dietro le finestre di quei moderni palazzoni periferici e dietro quelle più tradizionali dei centri storici e nelle piazze e nelle vie quell’umanità dentro cui siamo immersi, con le nostre storie e il nostro modus vivendi
Franco Sortini è un fotografo di lungo corso e di esperienze consolidate, ed è ben consapevole dei limiti e delle infinite possibilità della fotografia nella descrizione del mondo. Con questo lavoro ha realizzato un progetto di alto profilo e il volume che ne è derivato mantiene le aspettative.”
Pio Tarantini
Fotografo, Autore e Storico della Fotografia