Venerdì 26 gennaio 2024, alle ore 18:30, presso la Galleria FIAF Arvis, sita a Palermo in via Giovanni Di Giovanni n. 14, avrà luogo l’inaugurazione della mostra “UNDERWATER di Patrizia Galia”. La mostra sarò visitabile sino al 10 febbraio 2024 lun/sab 18:00/20:30.
Underwater è un lavoro iniziato molti anni fa, in una stagione della vita in cui era ricerca e sperimentazione, e mi ha accompagnato nel tempo mutando forma e sostanza, diventando espressione di una dimensione più intima. Nel tempo la pioggia si è mostrata come materia isolante, conducendo ad una visione inconsueta del paesaggio siciliano lontano dalle immagini abbacinanti, sature, chiassose dell’iconografia turistica, per poi implodere in una percezione di solitudine e astrazione. Si sviluppa in contesti urbani e rurali senza distinzione, disfacendo le geometrie in percorsi tortuosi, in punta di piedi, come uno spettatore che silenziosamente osserva. Oggi mi
conforta l’intimo sollievo di una giornata di pioggia, come se tutto intorno a me si raccogliesse in posizione fetale, ad assorbire la vita. Una dimensione privata, silenziosa, permeata di ombre profonde e riflessi scintillanti. Temporali e schiarite cristalline, respiri ancestrali, infiniti. Acqua che ripara ferite nascoste, che leviga le croste, acqua che rigenera, che lava le memorie. Inconsueta e provvidenziale, mi restituisce attimi di pace, filtra e confonde. Patrizia Galia.
Biografia
Patrizia Galia nasce e vive a Erice, in quella parte di Sicilia che strizza l’occhio all’Africa. Si appassiona
al disegno e alla pittura già da piccola, alimentando la sua necessità di replicare la realtà intorno, ma
ciò che diverrà la sua passione più grande è la fotografia, di cui sperimenta le potenzialità attraverso
la fotocamera del padre. E’ in quei momenti che comincia a ritagliare frammenti di quello che
diventerà memoria, stratificazione, testimonianza. Dopo gli studi inizia a lavorare per un’azienda di
telecomunicazioni, senza mai smettere di fotografare una realtà che è quella a cui appartiene,
trovando espressione nella quotidianità degli eventi, nei gesti ordinari, nei volti della gente comune,
usando una narrazione cruda, essenziale, priva di orpelli. Da sempre si è dedicata a raccontare la
cultura e le tradizioni della sua terra, a cominciare dalla sacralità delle processioni religiose siciliane,
ponendo l’accento sui rituali e sugli aspetti umani che non sono sfuggiti alla sua attenta sensibilità. A
questo dedica lavori come ‘La mia Gente’ una serie di ritratti e ‘Nel nome del Padre’, dove indaga il
ruolo dei bambini all’interno delle processioni. Non ha trascurato il suo paesaggio, ponendosi non
solo come fotografa ma soprattutto come individuo appartenente ad una comunità e sentendo
intimamente un forte senso di appartenenza che le ha permesso di avere uno sguardo intimo e
partecipativo, come si evince da ‘Monstrum’, un progetto dedicato a Erice, dove vive.
Da quasi venti anni con il progetto Salanitro documenta il lavoro dei salinari all’interno della Riserva
delle saline di Trapani, testimoniando il cambiamento di un’attività secolare, che negli ultimi anni ha
visto scomparire il patrimonio di tradizioni e cultura che esse rappresentano.
Ha curato la sua formazione frequentando master con Tony Gentile, Letizia Battaglia, Dario De
Dominicis, Fabio Moscatelli, Stefano Mirabella, Angelo Turetta, Tony Thorimbert, Giovanni
Marozzini.
Di sé dice: “Dare concretezza visiva alla mia immaginazione e alle mie percezioni non è stato un
desiderio, piuttosto una necessità. Ho cominciato a guardarmi dentro attraverso una lente, e ho
trovato i frammenti con cui il mio essere, la mia vita, la mia cultura erano stati costruiti: ho trovato la
mia terra e la mia gente, ogni luogo che ho visitato, tutti i libri che ho letto. Tessere fragili, le une
intrecciate alle altre in un sottile ricamo, che si sono rivelate parte di me e la cui fisicità, a volte cruda
e amara, si è svelata in bellezza ed emozione. Guardarsi attraverso i propri scatti è un percorso
difficile, a volte gioioso, più spesso pieno di meste riflessioni: un sentiero impervio di cui non scorgo
mai l’epilogo. E’ vedere dove altri non possono vedere.”