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“Persone diversamente importanti”, di Fabio Moscatelli

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“Persone diversamente importanti”, di Fabio Moscatelli

Iniziamo la nostra rassegna sui lavori dedicati al volontariato con un reportage realizzato a Lamezia Terme (CZ) presso la Comunità Progetto Sud (www.comunitaprogettosud.it), nata come comunità del movimento di Capodarco nel 1976, il cui scopo è di individuare risposte concrete di inclusione sociale per coloro che subiscono emarginazione a causa di problemi legati ad handicap e disagio psichiatrico.

Fabio Moscatelli è nato Roma dove vive. Ha studiato reportage presso la Scuola Romana di Fotografia. Nel 2012 vince il secondo premio della borsa di studio intitolata a Rolando Fava. Nel 2013 è finalista del Leica Award, vincitore del Concorso National Geographic nella categoria Ritratti. Nel 2014 è vincitore del Moscow International Foto Awards’14 nella categoria  Book: Documentry. Suoi lavori sono stati pubblicati su Lens CulturePhom Magazine, Shoot Magazine e Private International Review Of Photography. E’ contributor di Echo Agency.

Attilio Lauria

 

  • Cos’è che ti ha spinto ad interessarti del volontariato?
    Credo che la fotografia sia un potente strumento per ampliare le conoscenze, innanzitutto del fotografo stesso. A tal proposito, quello del volontariato è un mondo cui ho sempre guardato con grandissimo rispetto, e al tempo stesso con una certa ignoranza. Nel 2014 mi si presentò l’opportunità di realizzare un reportage per la campagna dell’8×1000, e ho avuto la fortuna di vivere una delle comunità della Calabria, in cui il volontariato è una splendida realtà.

 

  • Per evitare il rischio di una rappresentazione retorica o semplicemente celebrativa è necessario approfondire la conoscenza del mondo del volontariato: come ti sei preparato all’approccio con questa realtà?
    Il mio approccio al lavoro fotografico non cambia mai, e si basa unicamente sul rispetto della persona o delle persone che mi trovo di fronte: non sapevo bene cosa aspettarmi dal lavoro che ho realizzato, ne tantomeno sapevo nulla dell’ambiente e dei suoi componenti, ma ero felice di fare quell’esperienza, e tutto si è rivelato estremamente interessante e umanamente importante. In poche ore avevo nuovi amici, e ancora oggi mi vanto di considerarli tali.

 

  • Si riesce ad essere testimoni neutrali nel realizzare un reportage di questa natura, o si rappresenta comunque il proprio punto di vista?
    Vivo la mia esperienza fotografica non sacrificando mai la mia emotività, ne scadrebbe il lavoro stesso. In tal senso non mi sento un testimone neutrale, ma una parte attiva del contesto in cui fotografo.

 

  • Di questa esperienza umana ancor più che fotografica ti è rimasta impressa qualche storia in particolare?
    La mia amica Emma, che purtroppo vive con un respiratore artificiale, e nonostante questo è una persona estremamente attiva nella vita della Comunità Progetto Sud, che fornisce grande supporto; ricordo che il giorno dopo la mia partenza ne arrivò uno, la cui autonomia le consentì di tornare all’aperto, di sentire il sole sulla pelle, di vedere i colori del mondo. E mi emozionai non poco quando volle condividere con me questa sua gioia. Una grande persona, di spessore enorme e con un’umanità preziosa. Riflettendo mi rendo conto di quanto abbiamo da imparare da queste persone.

 

  • Dal punto di vista del linguaggio fotografico diversi lavori ricorrono ad una grammatica fatta ad esempio di luci e ombre incise per dare forza alla rappresentazione, o all’esasperazione drammatizzante dei contrasti, cosa ne pensi?
    Non sono un grande esteta; non mi sforzo di cercare la luce particolare quando so che la forza di una fotografia risiede nel suo contenuto. Soprattutto nel reportage un’immagine deve saper arrivare per la sua forza emotiva ed evocativa; se si riduce a farne un mero esercizio di ricerca estetica, perde automaticamente la sua funzione. E’ chiaro che se poi i due aspetti riescono a convivere, la fotografia ne gioverebbe, ma personalmente la mia personale priorità è sempre il contenuto.

 

  • C’è spazio secondo te per lavori concettuali, oltre il reportage documentario?
    Assolutamente sì, è una strada interessante e soprattutto stimolante. Non avrei mai realizzato il lavoro su mio padre se non avessi avuto il coraggio di percorrere il sentiero del concettuale. Il risultato mi ha molto soddisfatto. E in ogni caso è un modo di raccontare, un linguaggio che, soprattutto di fronte a tematiche delicate, può spesso risultare molto più appropriato; il reportage può avere derive concettuali, senza per questo perdere il suo carattere documentario.

 

  • Immaginiamo di essere in un tuo workshop, quali consigli ti sentiresti di dare ai nostri lettori?
    Innanzitutto il mio consiglio è quello di porsi sempre con il massimo rispetto, anche e soprattutto di fronte ad eventuali rifiuti dei soggetti cui siamo interessati. Poi di pensare poco al mezzo fotografico, ma esclusivamente a rendere vivo il proprio racconto, e questo si realizza con pazienza e profonda interazione emotiva rispetto alla situazione che vogliamo rendere con la nostra fotografia. In ultimo il linguaggio, sentirsi liberi di esprimere se stessi senza correre appresso alle mode del momento.

 

  • È questo il mondo possibile?
    Il mondo possibile è quello in cui ci sveglieremo domani; mi rifaccio alla prima risposta, la fotografia è un potente mezzo per conoscere, se riusciamo ad utilizzarlo in questo modo ,domani potrebbe essere ancor più bello di qualsiasi oggi.

 

Tutte le foto © Fabio Moscatelli, cortesia Autore

  1. Bravo Fabio, bel lavoro e sempre molta stima per te. Ciao

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