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“La Grangia di Monluè”, di Alessandro Scattolini

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“La Grangia di Monluè”,  di Alessandro Scattolini

La Grangia di Monluè nasce a Milano nel 1986, e accoglie rifugiati politici in fuga dai loro Paesi.  Principali obiettivi dell’Associazione sono la promozione integrale dello straniero come uomo, nel rispetto dei suoi diritti e delle sue potenzialità, la diffusione di una cultura dell’accoglienza e della condivisione che si fa partecipazione attiva tra chi accoglie e chi è accolto. Dal 1986 ad oggi La Grangia ha accolto più di 1300 stranieri regolari, provenienti da circa 70 paesi diversi. Gli ospiti sono segnalati dal Servizio Accoglienza Immigrati (SAI) della Diocesi di Milano e dall’Ufficio Stranieri del Comune di Milano.

Alessandro Scattolini  è nato a Loreto nel 1991. Ha conseguito tre master presso la Scuola Romana di Fotografia; menzione d’onore al Prix de la photography Paris.

Attilio Lauria

  •  Cos’è che ti ha spinto ad interessarti del volontariato?

Avevo la forte necessità di rispondere ad una domanda: perché lo fanno? Così a 17 anni sono andato in Burkina Faso, nella missione dei Camilliani a Ouagadougou. Più avanti sono seguiti altri viaggi. Ogni volta che sono partito e che ho dedicato il mio tempo alla documentazione della vita degli altri, ho sempre riscontrato l’esistenza di una forza che mi veniva incontro, molto più potente di quella che potevo restituire io tramite la fotografia nel tentativo di raccontare (e nella speranza di modificare) certe situazioni. Ma il mare è fatto di gocce. Non è semplice, non lo è mai, e volontariato viene dalla parola “volontà”. Dopo il primo viaggio, ritornato a casa, decisi di essere presente sul territorio italiano e dare il mio tempo oltre che i miei occhi per associazioni locali.

 

  • Per evitare il rischio di una rappresentazione retorica o semplicemente celebrativa è necessario approfondire la conoscenza del mondo del volontariato: come ti sei preparato all’approccio con questa realtà?

Toccandola con mano, andando dove devo senza leggere prima nulla, senza fare nessun briefing. A volte con imprudenza ed in maniera troppo avventata, poco preparata e sicuramente anche rischiosa, ma le migliori storie che ora posso raccontare sono state proprio quelle. In questo modo non mi pongo aspettative che, certo, si potrebbero soddisfare ma non superare. Credo che l’emozione umana più grande la si possa raggiungere nel superamento di ogni nostra aspettativa: quando arrivano sensazioni che non pensavi minimamente di poter provare. E’ in quel momento che trovo più facile scattare, quando lo faccio “di pancia”. Il cervello cerco di usarlo meglio in una fase successiva.

  • Altre qualità necessarie immagino siano empatia e rispetto per i soggetti fotografati

Ovviamente. L’empatia è un valore molto importante e mai scontato: credo di poterla usare e che si verifichi questa condizione, nei confronti dei miei compagni di viaggio, quando ci troviamo in sintonia sulla missione che abbiamo. E’ sempre una questione delicata fotografare le persone, a volte se non trovo la giusta distanza preferisco non farlo ed aspettare un altra situazione che esula dall’aspetto tecnico o meramente estetico. Quando ho la sensazione di essere vicino, con la mente, al messaggio che voglio l’immagine trasmetta.. premo il pulsante

  • Si riesce ad essere testimoni neutrali nel realizzare un reportage di questa natura, o si rappresenta comunque il proprio punto di vista?

Si prende sempre una posizione per quanto neutrali vorremmo essere perché la fotografia è una questione strettamente personale che appartiene a noi. Forse più che di posizione si tratta di scelte: scelgo di scattare in ginocchio, di farlo di prima mattina piuttosto che a mezzogiorno; scelgo di utilizzare alcune pellicole piuttosto che altre, un formato particolare e, ancora, faccio tante scelte durante la fase di Editing.

  • Di questa esperienza umana ancor più che fotografica ti è rimasta impressa qualche storia in particolare?

Quando si fà parte di un gruppo e si condivide una missione si fa parte di un’esperienza umana forte. Da situazioni apparentemente banali, di gruppo, nascono legami e situazioni forti che ti rendono partecipe e protagonista attivo della storia che stai raccontando. In realtà credo che il volontariato sia anche questo, scoprire che le piccole parti di ognuno sono importanti e vanno trattati come tali.. Durante la scorsa estate ho avuto il privilegio di raccogliere molte
storie dei tanti migranti che sono arrivati nelle nostre coste. Al loro arrivo, durante gli accertamenti iniziali ho avuto modo di vedere tantissime persone veramente umane prendersi cura di loro. Il portargli un bicchiere d’acqua, ad esempio, è un azione che per noi forse è normale, ma in realtà è speciale se lo si pensa in termini umani. Insomma, tutte le piccole cose, in queste realtà sono amplificate perché esulano dalla quotidianità..

  • Dal punto di vista del linguaggio fotografico diversi lavori ricorrono ad una grammatica fatta ad esempio di luci e ombre incise per dare forza alla rappresentazione, o all’esasperazione drammatizzante dei contrasti, cosa ne pensi?

La fotografia è interpretazione e pertanto attraverso la luce, i contrasti, i colori che scegliamo diamo un nostro, e solo nostro, schema. Il limite di queste scelte, il limite vero, lo dobbiamo trovare nell’etica e nell’onestà con cui cerchiamo di restituire un tema, una situazione, un luogo.

  • C’è spazio secondo te per lavori concettuali, oltre il reportage documentario?

Spero.. Si tratta di andare oltre l’aspetto delle cose e questa tipologia di racconto mi appassiona maggiormente. Quando vedo che l’autore ha messo dentro il lavoro tutto se stesso, compreso il proprio pensiero scopro di più.. Ho l’occasione di vedere (o sentire) lo stesso il racconto ed al tempo stesso di sentire anche l’autore.. Broomberg and Chanarin sono autori forti che stimo tantissimo ad esempio..

 

 

 

  1. Massimo Pascutti says:

    Alessandro Scattolini ci mostra quanto l’essenzialità contribuisca a raccontare in modo molto efficace una magnifica realtà. In questa serie di immagini c’è il lavoro di molte persone, la speranza , l’amicizia, tutto accompagnato da una luce vivida e confortante che riscalda. Grazie ad Alessandro per quest’ottimo lavoro e complimenti vivissimi.

  2. isabella tholozan says:

    Non serve affollare l’immagine, non servono troppe parole per descrivere i fatti e i sentimenti che fanno parte, inevitabilmente, dello svolgersi degli eventi.
    Alessandro Scattolini lo dimostra in maniera egregia, semplicemente, con attenzione ai fatti e ai sentimenti che si alternano alle immagini descrittive, attraverso piccole immagini concettuali.
    Un modo consapevole di utilizzare il linguaggio delle immagini.

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