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“Last Minute Market”, di Martino Lombezzi

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“Last Minute Market”, di Martino Lombezzi

Last Minute Market è un modo per trasformare lo spreco in risorse, nato nel 1998 da un’attività di ricerca dell’Università di Bologna.  Oggi LMM è una società spin-off che opera su tutto il territorio nazionale sviluppando progetti territoriali volti al recupero dei beni invenduti (o non commercializzabili) a favore di enti caritativi.

Nato a Genova nel 1977, Martino Lombezzi è laureato in Storia Contemporanea all’Università di Bologna, città dove vive. Nel 2005 entra nell’agenzia Contrasto. Nei suoi progetti fotografici si occupa di tematiche legate al territorio, alla memoria, all’identità. Oltre che in Italia, ha lavorato in Medio Oriente e nei Balcani. Ha collaborato con i principali periodici nazionali (tra cui Io Donna, D La Repubblica, L’Espresso, Internazionale, L’Europeo, Wired) e con importanti testate estere (New York Times style, Independent magazine, Le Courrier International). Realizza progetti di corporate per realtà aziendali italiane di primo piano in diversi settori (SEA, Metroweb, Fedrigoni, Mulino Bianco, Agnona, Allegrini, Alias, B&B Italia, Alberta Ferretti, Hotel Villa D’Este, Baratti e Milano). Attualmente sta lavorando a “Blue Line”, sul confine tra Libano e Israele. (www.martinolombezzi.it/)

Attilio Lauria

  • Cos’è che ti ha spinto ad interessarti del volontariato?

Last Minute Market  è un servizio realizzato a Bologna per il magazine Io Donna

  •  Per evitare il rischio di una rappresentazione retorica o semplicemente celebrativa è necessario approfondire la conoscenza del mondo del volontariato: come ti sei preparato all’approccio con questa realtà?

Quando ricevo la commissione di un servizio mi informo sempre il più possibile sul tema che sarà trattato, compatibilmente con i tempi di realizzazione che di solito sono piuttosto stretti. In quel caso accompagnavo un giornalista e ho quindi potuto avere un supporto nell’approccio alle varie situazioni.

  •  Altre qualità necessarie immagino siano empatia e rispetto per i soggetti fotografati

Questo è alla base del lavoro di ogni buon fotografo

  • Si riesce ad essere testimoni neutrali nel realizzare un reportage di questa natura, o si rappresenta comunque il proprio punto di vista?

Io cerco di rappresentare quello che più mi colpisce di una situazione, e quindi ovviamente scelgo cosa sta dentro la mia inquadratura: adottare un approccio fotografico che si richiama allo stile documentario: immagini semplici, frontali, distanza dai soggetti. Non mi interessa drammatizzare o enfatizzare gli avvenimenti, ma raccontare persone, luoghi e situazioni nella maniera più diretta.

  • Di questa esperienza umana ancor più che fotografica ti è rimasta impressa qualche storia in particolare?

In questo caso non ho avuto molto tempo di approfondire le singole storie, però ricordo bene le persone che ho incontrato che usufruiscono del servizio Last Minute Market: madri che vivono in una casa protetta, persone senza fissa dimora ospiti nella struttura Padre Marella.

  • Dal punto di vista del linguaggio fotografico diversi lavori ricorrono ad una grammatica fatta ad esempio di luci e ombre incise per dare forza alla rappresentazione, o all’esasperazione drammatizzante dei contrasti, cosa ne pensi?

Ognuno trova la sua strada per usare le infinite possibilità del linguaggio fotografico: io ho un certo modo di fotografare, che va in una direzione diversa, ma conosco e apprezzo anche il lavoro di autori molto lontani da me. Credo che il punto stia anche nel che cosa si sceglie di fotografare e perché, e che utilità e senso possono avere le immagini  che produciamo. Questo dipende in grande misura anche da una serie di fattori che stanno fuori dall’immagine stessa.

  • C’è spazio secondo te per lavori concettuali, oltre il reportage documentario?

Il recente dibattito intorno al World Press Photo ed in particolare sul premio ritirato a Troilo hanno fatto emergere quanto oramai sia labile il confine che separa questi ambiti, e il senso stesso delle parole che usiamo per definirli va ripensato: reportage, fotografia documentaria, fotogiornalismo sono definizioni che faticano a racchiudere le direzioni in cui si muove la fotografia contemporanea. I fotografi che lavorano sulla realtà e cercano di documentarla hanno sempre meno il loro punto di riferimento nei giornali, e cercano nuove strade e nuovi spazi per esporre i propri lavori. E’ importante, credo, che il fotografo che documenta la società rimanga onesto con se stesso, con le persone che compaiono nelle sue immagini e con il suo pubblico.

  • Immaginiamo di essere in un tuo workshop, quali consigli ti sentiresti di dare ai nostri lettori?

In primo luogo che mentre i workshop aumentano di numero in maniera esponenziale, le possibilità di campare facendo fotografie si restringono sempre di più. Chiunque aspiri oggi a fare della fotografia una professione deve sapere che è un mercato difficile, saturo e senza regole. Ben venga invece la diffusione dell’interesse verso questo linguaggio, che ha una storia che va studiata. Spesso ci si preoccupa troppo della tecnica dimenticando completamente di riflettere sul senso che può avere produrre un’immagine.

Tutte le foto © Martino Lombezzi, cortesia Martino Lombezzi/Contrasto

  1. isabella tholozan says:

    “E’ importante, credo, che il fotografo che documenta la società rimanga onesto con se stesso, con le persone che compaiono nelle sue immagini e con il suo pubblico.” è assolutamente vero e condivido con l’autore questo pensiero, di fatto semplice, esaustivo nel definire il concetto di documentazione fotografica.
    “Last Minute Market” ne è la dimostrazione, tanto che la sensazione percepità è quella di partecipare e non solo osservare.
    Isabella Tholozan

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