subscribe: Posts | Commenti

“L’ora di pranzo”, di Giulia Morelli

0 commenti
“L’ora di pranzo”, di Giulia Morelli

La più antica mensa della Caritas di Roma, la “Giovanni Paolo II”, offre ogni giorno 500 pasti, per un totale di oltre 122 mila pasti l’anno. Ed è li che Giulia Morelli ha realizzato questo lavoro, tre sale da pranzo, una di seguito all’altra, dove sono molti i ragazzi volontari che ogni giorno si danno il turno per offrire il loro aiuto alla mensa.

Attilio Lauria

  • Cos’è che ti ha spinto ad interessarti del volontariato?

Ad essere sincera non mi era mai capitato, prima di allora, di confrontarmi, in termini fotografici si intende, con le realtà di volontariato in modo così approfondito. Dopo tre anni posso affermare con sicurezza che affrontare proprio quel lavoro mi ha fatto maturare ancora di più e non parlo di una maturazione fotografica o professionale, ma di una crescita personale, di un arricchimento emotivo che secondo me è di gran lunga più importante della tecnica. Ciò che mi ha colpito di più è stato vedere normali cittadini mettere i bisogni di altre persone davanti ai propri: dare una mano non per avere la coscienza pulita, non come mezzo di “redenzione” ma perché è doveroso farlo, è giusto farlo. Fare volontariato sia un gesto di grande civiltà. 

  •  Per evitare il rischio di una rappresentazione retorica o semplicemente celebrativa è necessario approfondire la conoscenza del mondo del volontariato: come ti sei preparata all’approccio con questa realtà?

Ogni volta che entro in una situazione cerco sempre di farlo nel modo più discreto possibile. Certo, ogni tipo di lavoro vuole prima uno studio e una preparazione approfonditi. Ma è anche vero che ogni lavoro è diverso dall’altro, quindi sta al tuo modo di essere fotografo, sta a te e alla tua sensibilità decidere qual è il modo migliore di cominciare. In questo caso sapevo di dover entrare in una situazione difficile, sapevo che i personaggi che avrei ritratto avevano sulle spalle vite più o meno complicate. Sapevo anche che molte volte la macchina fotografica è vista come una vera e propria minaccia, in mano ad una persona di cui diffidare assolutamente: il fotografo che fa della tua immagine uno strumento contro di te e la tua privacy. Io non volevo assolutamente essere vista in questo modo, perché non era vero. Avevo bisogno della loro fiducia e per averla dovevano prima conoscermi: infatti, prima di cominciare a scattare sono andata lì un paio di volte senza macchina fotografica  ad aiutare e ad osservare. Vivere in prima persona quest’esperienza, mi ha aiutato non solo per farmi conoscere dagli ospiti, ma anche per capire in che direzione volgere il mio sguardo.

  •  Si riesce ad essere testimoni neutrali nel realizzare un reportage di questa natura, o si rappresenta comunque il proprio punto di vista?

Personalmente quando scatto cerco sempre di mostrarmi neutrale, ma ovviamente è impossibile che lo sia veramente. Essere neutrale può aiutare, ma credo sia davvero difficile esserlo realmente. Fare una foto significa anche fare delle scelte e alcune di quelle scelte sono date dalla tua opinione. Io credo sia così.

  •  Di questa esperienza umana ancor più che fotografica ti è rimasta impressa qualche storia in particolare?

 Ricordo un uomo, molto simpatico, il quale era sempre di fretta. Sembrava il Bianconiglio: riusciva a mangiare anche in cinque minuti. Incuriosita, gli chiesi perche mangiasse in così poco tempo e lui mi rispose così, ricordo ancora le parole: “Perché mangio così? beh, ho otto nipoti, cinque dei quali mi escono tra mezz’ora da scuola. Non ho tempo per andare in bagno figurati per “banchettare”. Comunque sono tante le storie ed ovviamente tutte molto diverse. Ho conosciuto persone che fino a qualche mese prima non avevano il bisogno di mangiare in mensa, poi ad un tratto tutto è cambiato. Mi sono resa conto di quanto possono essere precarie le situazioni nella vita, e di come sia fondamentale fornire aiuto e gli aiuti possono essere di qualunque tipo. L’importante è non lasciare sole le persone che ne hanno bisogno e che queste non perdano mai  la fiducia.

  •  Dal punto di vista del linguaggio fotografico diversi lavori ricorrono ad una grammatica fatta ad esempio di luci e ombre incise per dare forza alla rappresentazione, o all’esasperazione drammatizzante dei contrasti, cosa ne pensi?

 Uno scrittore per raccontare una storia sceglie le parole più adatte o usa il registro più appropriato. La stessa cosa fa il fotografo che utilizza degli strumenti, in questo caso i contrasti elevati, per narrare le proprie storie. Personalmente non amo le fotografie con i contrasti forti ed il bianco e nero troppo incisi.

  • C’è spazio secondo te per lavori concettuali, oltre il reportage documentario?

 Domanda molto difficile. Ovviamente dipende dal lavoro concettuale e dalla finalità del lavoro, ma in questo caso direi di si, c’è spazio per tutto.

  • Immaginiamo di essere in un tuo workshop, quali consigli ti sentiresti di dare ai nostri lettori?

Vorrei precisare che io ho cominciato da poco, quindi ho ancora molto da imparare. Ora come ora mi sentirei di dare questi consigli:

-Scarpe comode perché si cammina molto (la maggior parte delle volte almeno)

-Dormire. E’ un lavoro che richiede tanta concentrazione ed energie, dormire bene è fondamentale, così come mangiare: mai saltare un pasto, il lavoro ne risentirebbe (esperienza personale).

-Viaggiare leggeri. dopo qualche chilometro a piedi uno zaino leggero fa la differenza

-Essere sempre chiari ed onesti con i propri soggetti, comunicare con loro il più possibile.

-Tanta elasticità, flessibilità e soprattutto disponibilità

-Umiltà. quella non guasta mai.

-Perseveranza: molte volte si ha la sensazione di non arrivare da nessuna parte, o di aver sbagliato tutto, ma il mio consiglio è quello di andare sempre avanti. La cosa bella è che alla fine, molte volte, tutti i tasselli del puzle si rimettono a posto come per magia.

-Confrontarsi con più persone possibili. Le nostre foto devono essere viste il più possibile, il confronto a mio parere è un ottimo modo per crescere

-Curiosità. Bisogna essere sempre curiosi di conoscere, vedere, sentire.

-Non tiratevi mai indietro, fare più esperienze possibili. Ho sempre pensato che questo potesse essere un mezzo per conferire maggiore spessore allo sguardo.

  • È questo il mondo possibile?

Si, voglio essere ottimista.

Di se Giulia dice: “Ho 22 anni e sto studiando fotografia presso l’ISFCI, a Roma. La fotografia è sempre stato il mezzo di cui mi servivo per comprendere e capire. Ad un tratto ho capito che volevo diventasse il mio futuro.”

 

Leave a Reply