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“Sorrisi in corsia”, di Simone Zarotti

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“Sorrisi in corsia”, di Simone Zarotti

“Sorrisi in corsia” è un lavoro sui volontari del gruppo di clownterapia dell’AVULSS Mantova. Nata  nel 2005, l’Associazione mantovana tende all’umanizzazione dei servizi socio-sanitari, e svolge la propria attività in forma gratuita, continuativa e organizzata, a servizio dei cittadini, in collaborazione con enti e istituzioni (www.avulss.org). L’origine della clownterapia moderna, generalmente attribuita al medico Hunter Adams (noto come Patch Adams), è un supporto psico-pedagogico alla medicina tradizionale che opera attraverso la terapia del sorriso, sfruttandone l’effetto terapeutico.

Simone Zarotti fotografia dal 2010, anno in cui frequenta un primo corso; l’incontro con Giulio Di Meo segna l’inizio del suo percorso nella fotografia di reportage.

Attilio Lauria

  • Cos’è che ti ha spinto ad interessarti del volontariato?

Ritengo che la fotografia sia un mezzo molto potente ma,al di la di questo,ciò che mi spinge maggiormente a concentrare la mia attenzione su particolari tematiche,come è stato ad esempio per il mio progetto “Sorrisi in corsia”, è l’interesse verso le persone e a ciò che possono lasciarti esperienze simili,sia a livello personale che lavorativo.

  •  Per evitare il rischio di una rappresentazione retorica o semplicemente celebrativa è necessario approfondire la conoscenza del mondo del volontariato: come ti sei preparato all’approccio con questa realtà?

Quando si affrontano certe tematiche ,in modo particolare i casi dai quali è realmente possibile trarre lezioni di vita ,si rischia inevitabilmente di risultare banali o semplicisti. Io personalmente non mi sono concentrato molto sulle modalità di approccio rispetto al mondo del volontariato. Credo di avere una naturale propensione verso determinate tipologie di situazioni. Ma credo che l’atteggiamento migliore sia quello di rimanere sempre se stessi senza mai sentirsi su un gradino più in alto.

  •  Altre qualità necessarie immagino siano empatia e rispetto per i soggetti fotografati

Non è così scontato e semplice porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nelle situazioni di un’altra persona.Per questo motivo ,mi ricollego alla domanda precedente,è fondamentale avere sempre un atteggiamento umile e rispettoso. Bisogna sempre rispettare i soggetti fotografati, in particolar modo quando la situazione ripresa è delicata come nel mio caso all’interno di una struttura ospedaliera.

  •  Si riesce ad essere testimoni neutrali nel realizzare un reportage di questa natura, o si rappresenta comunque il proprio punto di vista?

Mi hanno insegnato che quando si fa un reportage, ovvero un racconto fotografico, prima bisogna sempre instaurare un rapporto con il soggetto,conoscere la sua storia, creare un rapporto quasi di fiducia, solo allora le immagini saranno più vere, più limpide e naturali. Prima di scattare la foto si è travolti dall’emozione, ci si trova davanti a situazioni difficili, ma si possono trovare anche situazioni bellissime, come ad esempio, un ballo improvvisato tra un paziente e un amico clown nel reparto di cardiologia. Quando si ha a che fare con le persone non è  possibile rimanere indifferenti ed assumere un atteggiamento neutrale …queste esperienze lasciano inevitabilmente un segno dal quale è stato possibile trarre grandi insegnamenti.

  •   Di questa esperienza umana ancor più che fotografica ti è rimasta impressa qualche storia in particolare?

 Ovviamente si, mi è rimasta impressa la storia di un bimbo marocchino, purtroppo non ricordo il nome perché la nostra presenza nella sua stanza è durata solamente 10 minuti. Ricordo che come al solito, stavamo facendo il nostro solito giro tra il reparto di pediatria e appena entrato nella sua stanza, capii subito che qualcosa non andava. Il bimbo era dolorante a causa di un piccolo intervento subìto la mattina stessa, anche i clown capirono subito che il momento non era dei migliori e agirono di conseguenza. Il bimbo era molto diffidente, in poche parole non aveva voglia di vedere nessuno a causa del suo malessere, qualcosa però catturò la sua attenzione, la pallina invisibile del clown Pedo. Nella mano sinistra Pedo teneva un sacchetto di carta aperto, un sacchetto bianco, come quelli che trovi dal panettiere e con la destra lanciava questa pallina invisibile, l’illusione era perfetta, la pallina ricadeva nel sacchetto provocando un tonfo ( ovviamente non vi svelerò mai il trucco della pallina invisibile nel sacchetto di carta ) TOOFFF Ad ogni lancio il bimbo alzava la testa, per vedere come Pedo potesse provocare quel rumore sordo “TOOFF” Il clown si avvicinò al lettino e con voce di sfida disse al bimbo: “Lo vorresti fare un lancio?” e mentre Pedo gli rivolse la domanda allungò anche la mano per porgergli la pallina. Non se lo fece ripetere due volte, raccolse subito l’invito e la pallina magica cominciò a volare per la stanza. Dopo qualche istante però il bimbo non si sentì bene, forse per la debolezza dovuta all’intervento, decidemmo di uscire subito, ma mentre uscivo incrociai il suo sguardo e nei suoi occhi vidi gratitudine.

  •  Dal punto di vista del linguaggio fotografico diversi lavori ricorrono ad una grammatica fatta ad esempio di luci e ombre incise per dare forza alla rappresentazione, o all’esasperazione drammatizzante dei contrasti, cosa ne pensi?

 Io credo che, ad oggi si sia arrivati ad una post produzione un po’ troppo pesante, non dico che non bisogna un attimo correggere la foto perché se dicessi questo sarei un ipocrita, dico solamente che bisognerebbe non esagerare troppo e lasciare più naturalezza possibile. Siamo bombardati d’immagini tutto il giorno, a forza di vederle super elaborate il nostro occhio si abitua a questa formula e quello che per noi è normale in realtà risulta esasperato.

  •  C’è spazio secondo te per lavori concettuali, oltre il reportage documentario?

A mio avviso un lavoro concettuale è molto differente rispetto a un lavoro di reportage documentario, credo che con il mezzo fotografico si possa arrivare a risultati concreti. Attraverso le immagini si possono trasmettere concetti che diversamente rimarrebbero semplicemente idee astratte.

  •  Immaginiamo di essere in un tuo workshop, quali consigli ti sentiresti di dare ai nostri lettori?

 Il mio consiglio è quello di essere rispettosi verso gli altri, quando si affronta un reportage bisogna farlo nel modo più delicato possibile, ascoltando con attenzione e umiltà chi ti si pone davanti. Mi collego al punto 4, più il soggetto si sente a suo agio, più le foto risulteranno naturali e vere.

  •  È questo il mondo possibile?

 A mio avviso il mondo possibile è fatto di aiuto reciproco, di comprensione e di rispetto, purtroppo oggi non lo vedo così questo mondo. Sono fiducioso però e credo che se si vuole, tutti noi possiamo cambiare e venirci un po’ incontro.Basta veramente poco per star bene e sono sicuro che tutti possano realizzare questa cosa.

Tutte le foto © Simone Zarotti, cortesia dell’Autore

 

 

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