I REVOLUTION, Irene Alison – a cura di Gabriele Bartoli
I REVOLUTION Appunti per una Storia della Mobile Photograpy
conferenza dell’autrice Irene Alison.
La Mobile Photography è diventata nel giro di pochi anni un fenomeno che riguarda milioni di persone.
Un nuovo codice che supera ogni barriera linguistica, usato per raccontare, condividere, testimoniare, manifestare se stessi, alimenta un flusso ininterrotto di immagini che ha numeri impressionanti.
Ogni due minuti, oggi, scattiamo più foto di quante l’ Umanità ne abbia prodotte in tutto il diciannovesimo secolo.
Con queste prime dichiarazioni Irene Alison ha iniziato la riflessione sul suo libro:
I REVOLUTION Appunti per una Storia della Mobile Photography.
Circa 350 milioni di queste foto vengono caricate ogni giorno su Facebook, 95 milioni finiscono invece su Instagram, social network fotografico da 400 milioni di utenti e via via scendendo di numero su varie piattaforme come Tumblr, Flickr ecc.
Ci si rende conto che siamo sommersi da una quantità di immagini di cui è quotidiana la mutazione del linguaggio, anticiparne la metamorfosi è impossibile; la Fotografia diventa materia fluida e a questa liquidità è altrettanto impossibile mantenerne il passo.
Si può affermare, come ha fatto l’autrice scherzosamente: “che libri come questo vengono scritti sull’acqua e che siano già vecchi al momento della loro uscita sul mercato”.
Quello che può senz’altro rendere utile una ricerca come questa è il tentativo di “storicizzare il presente”, di avere una testimonianza della prima fase storica di questo passaggio.
Che cos’è la Mobile Photography? Come cambia il modo in cui comunichiamo? Si può dire che la Mobile Photography cambi l’estetica e le forme della visione? Come ha cambiato l’utilizzo professionale della fotografia?
Queste sono solo alcune delle domande che la questione pone; in un momento nel quale, come detto, la situazione e il linguaggio muta in tempo reale, dare delle risposte è alquanto incerto, ma quello che possiamo fare è dare delle interpretazioni che possano contribuire a creare dei percorsi, a mappare l’evoluzione della Mobile Photography.
La Fotografia oggi riguarda milioni di persone, noi fotografi in primis. E’ un linguaggio universale che abbatte ogni barriera linguistica; come dice Alison: “è un dialogare globale o un monologare collettivo, una dilatazione istintiva della nostra vita quotidiana”,
Fotografiamo compulsivamente ma raramente riguardiamo i nostri scatti, generiamo una quantità enorme di fotografie che non possiamo o vogliamo ricordare; ecco quindi ad esempio il successo di un app come Instagram Stories, in cui le immagini caricate rimangono solamente 24 ore poi si cancellano; oppure Snapchat, app che permette di inviare da uno smartphone all’altro fotografie che si dissolvono dopo pochi secondi, che ha 100 milioni di utenti attivi al giorno. In ventiquattr’ore vengono condivise sul network oltre 700 milioni di immagini; questa brevissima durata delle immagini è strana per noi appassionati, ma nella generazione dei Millenials è molto radicata questa nuova concezione della Fotografia. Questa visione fluida che si compone e decompone continuamente sta cambiando le nostre percezioni e le nostre abitudini, addirittura la nostra identità.
Se vogliamo fare esempi iperbolici sta cambiando anche i nostri gusti alimentari: se in epoca pre-Mobile dicevamo “siamo quello che mangiamo”, oggi possiamo affermare che “siamo quello che fotografiamo che mangiamo” visto il gran numero di immagini che riguardano i cibi e le portate che abbiamo sotto i nostri occhi. Irene Alison pone ad esempio anche l’aumento del consumo di avocado, frutto che non appartiene alla nostra tradizione culinaria, ma data la sua particolare “fotogenia” lo si trova sempre più spesso rappresentato nei nostri piatti, arrivando a diventare addirittura un emoticon digitale.
Sta cambiando le nostre città, dove sempre più spesso architetti attenti a questi cambiamenti, hanno capito che il costruire edifici originali e arditi in determinate zone ha cambiato il rapporto tra le persone e le forme delle città. Un edificio originale può diventare icona di una zona o città e diffondendosi tramite le immagini attraverso i social si crea un indotto di “turismo visuale”, da qui l’aumento della costruzione di edifici “feticcio”; edifici completamente avulsi dal contesto urbano in cui sono stati costruiti ma che stanno entrando nell’immaginario collettivo come icona appunto della città.
Ancora più intimamente Instagram sta cambiando la nostra sessualità, per i più audaci e creativi diventa un territorio libero per rivelare e rinegoziare i propri gusti sessuali; generazioni di giovani donne, sul filo della censura dei Social che non ammettono nudità, stanno riscrivendo il rapporto con i loro corpi mettendoli in primo piano in maniera creativa per demolire lo stereotipo maschile del mito della femminilità, utilizzando i social come amplificatori dei propri messaggi.
Il tanto vituperato selfie, accusato originariamente di essere solo un autoritratto dell’effimero, “roba da ragazzini narcisisti” si diceva, è anche un canale nel quale proiettiamo la nostra dimensione individuale nella sfera pubblica. Una volta, sempre in epoca pre- mobile, la fotografia era testimonianza dell’evento; oggi il selfie è parte dell’evento. In un selfie siamo noi stessi attraverso le immagini che produciamo oppure esistiamo perché produciamo immagini? Quanti like? Quanta popolarità e quindi quanto consenso?
Lo sviluppo massiccio di Instagram in particolare ha permesso anche ai politici di ridefinire e veicolare la propria immagine e il proprio messaggio; il primo fu Barack Obama nel 2012, costruendosi la propria epica di candidato dal volto umano, diventando il leader politico con più followers. Nel 2016 la campagna presidenziale americana è stata la prima ad essere completamente “coperta” dai vari social, utilizzati per avvicinarsi maggiormente agli elettori e tentare di riceverne il consenso.
Dal punto di vista della fotografia professionale, chi ha accolto questi cambiamenti e ha intrapreso la via della Mobile Photography come cifra espressiva, ha avuto nuove possibilità di relazione ai soggetti, nell’approccio con i luoghi e le storie. Data questa nuova democratizzazione di ripresa, in cui tutti abbiamo la possibilità di produrre immagini, che ruolo resta al fotografo professionista? E in che modo il fotografo può farne una ricchezza per la propria espressione?
Alcuni esempi sono: Ron Haviv, Benjamin Lowi e Michael Cristopher Brown, che utilizzano il telefono cellulare in contesti difficili e in situazioni di conflitto, dimostrando che con un’ apparecchiatura meno ingombrante e invasiva, si ha maggior sicurezza e più intimità nell’approccio e relazione con i soggetti.
Brad Mangin, fotografo di sport, che dopo aver coperto per lunghi anni la Major League di baseball negli U.S.A. con apparecchiature iperperformanti e zoom potentissimi per foto spettacolari, è passato all’utilizzo di un cellulare per raccontare i momenti di stasi e gli attimi di quiete dietro le quinte, producendo immagini più poetiche di quelle tradizionali piene di enfasi e frenesie.
Richard Koci Hernandez che lo utilizza nell’ambito della street photography, in cui anche in questo caso, la rapidità d’azione e la minor invasività del cellulare sono requisiti indispensabili per ottenere risultati eccezionali.
O ancora Anastasia Taylor Lind che, durante le proteste a Kiev, ha installato un minuscolo studio fotografico nelle vicinanze dei manifestanti, invitandoli ad entrare per fotografarli con una Bronica a pozzetto sulla quale ha montato un telefono cellulare. Nel momento in cui premeva il pulsante di scatto della Bronica, registrava anche un piccolo video col cellulare dell’istante in cui l’otturatore si chiudeva e nasceva l’immagine fotografica, per documentare sia dall’interno l’esperienza della visione fotografo sia quella micro trasformazione del soggetto nel momento in cui sente il rumore del click dello scatto.
Per finire Stefano De Luigi, unico fotografo italiano presente nel libro di Alison, nel 2012 con il progetto personale I Dissey ha reinterpretato il poema di Omero percorrendo 1200 km nel Mediterraneo con solo il suo telefono e 5 copie dell’Odissea in 5 lingue diverse, per raccontare il più antico patrimonio letterario dell’Occidente con il più nuovo sistema di visione.
LIBERE CONCLUSIONI
Esiste dunque ancora una differenza tra i fotografi cosiddetti accidentali e fotografi consapevoli? Senza parlare di professionisti o non professionisti, ormai questa differenza comincia a perdere senso sia per ragioni economiche; ormai sono pochissime le persone che si mantengono con la fotografia, sia perché Instagram ha messo completamente in discussione questi confini, ci sono autori interessantissimi che non hanno una formazione fotografica che producono eccellenti lavori e fotografi affermati che su Instagram non riescono ad esprimersi se stessi come vorrebbero.
Sì, la differenza tra fotografi accidentali e consapevoli rimane. E che cosa sanno fare i fotografi consapevoli di diverso rispetto a chi fotografa “ i cappuccini e i cibi che mangia? ”
Per annullare questa differenza si deve puntare sull’esercizio autoriale di un punto di vista sul mondo, sulla qualità dell’approfondimento, articolare una visione coerente frutto di una attenta progettazione o di una poetica rigorosamente personale.
Tutto questo fa ancora la differenza tra una Fotografia che è mera rincorsa del Reale, fatta da una bulimica e autoreferenziale condivisione e una Fotografia della Realtà, anche ,e soprattutto, attraverso lo smartphone che può essere una rappresentazione culturale e una interpretazione potente.
Gabriele Bartoli
Animatore Culturale FIAF
Grazie Gabriele, un contributo perfetto e necessario per osservare senza pregiudizi il nostro tempo così bulimico da annebbiare spesso quel che realmente sta accadendo e quel che di buono si può cogliere. Condivido le tue libere conclusioni.
Quelle di Gabriele sono libere conclusioni ma giuste . e interessanti dal mio punto di vista.
Viviamo in un tempo in cui si fa sempre più fatica a soffermarsi sulle cose, in questo caso immagini. Molte questioni vengono date per scontate o già date per conosciute prima ancora di averle davanti ai nostri occhi.
Ormai il telefonino è il prolungamento stesso dei nostri arti, un mezzo veramente fantastico quanto pericoloso.
Il testo di Irene Allison, dal quale Gabriele ci ha riportato il proprio pensiero, deve essere letto per iniziare un approccio con questo nuovo tipo di fotografia, che forse è già passato, ma che ci circonda e ci tocca in ogni momento della giornata.
Un libro che ci strizza l’occhio e ci fa avvicinare a una nuova modalità di intendere l’arte fotografica, fruibile da tutti e per tutti.
Valeria
“Per annullare questa differenza si deve puntare sull’esercizio autoriale di un punto di vista sul mondo, sulla qualità dell’approfondimento, articolare una visione coerente frutto di una attenta progettazione o di una poetica rigorosamente personale.”
Condivido pienamente. In un mondo invaso da immagini di ogni genere la strada per differenziarsi è proprio quella di esercitarsi alla fotografia autoriale, progettuale e originata dal proprio pensiero.
Grazie, non conoscevo questo libro.