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POLAROID STORIES di Wim Wenders, a cura di Silvia Ricci

In un periodo artistico in cui il vintage è di moda, se non addirittura oggetto di culto, POLAROID STORIES di Wim Wenders (edito da Jaca Books) è uno stimolo per comprendere l’importanza di ragionare e comporre in modo meditato ogni immagine, prima di schiacciare il pulsante di scatto per fissare emozioni e momenti di vita. 

 

 

Regista, attore e sceneggiatore tedesco, Wim Wenders conquista il successo internazionale dirigendo pellicole quali Paris, Texas e Il cielo sopra Berlino. Numerosi sono i premi e i riconoscimenti di carattere internazionale, per citarne un paio: Palma d’oro a Cannes nel 1984, Orso d’oro alla carriera al Festival del Cinema di Berlino nel 2015. Piccola curiosità: Wenders è regista e attore nel film Il sale della terra, documentario biografico del 2014 con Sebastiao Salgado. Ma questa è un’altra storia.

 

 

In POLAROID STORIES troviamo un racconto duplice: attraverso le sue istantanee, Wenders ci narra un personale diario di viaggio e insieme il backstage dei propri film, luoghi ed eventi tratti dalla vita di un giovane regista “on the road”.

 

Esperimenti e prove, oggetti, persone, artisti, cieli e paesaggi di USA, Islanda e della Germania. Questi sono alcuni dei soggetti di fotografie che probabilmente, solo riprese in mano dopo decenni, hanno acquisito un senso altro e prezioso; sono state rielaborate con uno sguardo nuovo, come narrazioni continue di un determinato periodo di vita dell’artista.

 

Le istantanee si intrecciano con le sue 36 storie: la ricerca di una voce propria, le considerazioni sul fotografare, i ricordi. Il tono è intimo, tanto che il regista ha valutato più volte se e quali immagini rendere pubbliche, prima di elaborare la selezione finale per il libro, e ancora prima per la mostra di Berlino.

 

 

Wenders ci accompagna nella fruizione della sequenza fotografica con le sue parole, che ci raccontano i primi tormentati anni durante i quali ha forgiato la sua visione.

 

 

Come per molti fotografi, degli anni passati e contemporanei, le polaroid funzionavano come un taccuino visivo, un mezzo per testare cornici, idee, attimi irripetibili che, fissati dall’emulsione, restavano unici; ma soprattutto gli offrivano una sorta di spazio di confine tra il soggetto e la foto, il fotografo e l’atto di scattare una fotografia, l’intenzione e il risultato finale.

Un volume imperdibile per gli appassionati del regista tedesco e non solo. 

 

 

Testo a cura di Silvia Ricci

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2 commenti

  1. L’attenta, puntuale recensione che Silvia Ricci fa di “Polaroid Stories” incuriosisce ed invita davvero alla lettura e visione delle immagini fotografiche presenti nel libro.
    “Wenders ci accompagna nella funzione della sequenza fotografica con le sue parole … ” . Ed è proprio vero. Ritrovo personalmente in questa frase alcuni messaggi contenuti in “Al di là delle nuvole” film del 1995 di Michelangelo Antonioni di cui Wenders è co-regista e sotto la voce narrante di John Malkovich elabora riflessioni sul vedere e sul viaggiare caratteristiche tipiche del suo cinema. Le istantanee con la Polaroid , per loro intrinseca caratteristica, ben interpretano questa continua ricerca , nel viaggio di vita, dei labili territori intermedi tra il soggetto e ciò che egli fotografa.

  2. Grazie per il commento e per gli interessanti collegamenti con altre realizzazioni di Wenders, qui preso in considerazione nella sua qualità di fotografo. La fotografia istantanea ha il pregio di conservare l’aura di unicità dell’opera che Walter Benjamin ha ben messo in luce; Wenders la utilizza per ricomporre un mondo personale e cinematografico insieme, fatto di tasselli indimenticabili che ci proiettano all’interno di un tempo passato eppure ancora attuale, in linea con la moderna riscoperta di questa modalità espressiva.

    (Claudia Ioan, Direttrice DiD)

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