ROBERT CAPA E LA MALETA MEXICANA, di Claudia Ioan
La toccante storia dei negativi perduti e ritrovati
Robert Capa (vero nome Endre Ernő Friedmann, Budapest 1913 – Tay Ninh 1954) è probabilmente il fotoreporter di guerra più famoso del mondo: nella sua breve e folgorante vita, ha fatto in tempo a raccontare con le sue straordinarie fotografie ben cinque conflitti in diversi continenti. Sue le fotografie più iconiche del secolo trascorso: Il miliziano colpito a morte, scattata nel 1936 durante la Guerra Civile spagnola, e le wonderful eleven, le poche immagini pervenuteci dello sbarco in Normandia il D-Day. È stato anche tra i co-fondatori della Magnum Photos, rivoluzionaria agenzia-cooperativa fotografica internazionale.
A partire dagli Anni ’30, Robert Capa si lega, umanamente e professionalmente, a Gerda Taro e a David “Chim” Seymour, anch’egli futura figura chiave della Magnum. Tutti e tre avranno il triste destino di cadere in guerra.
La loro vita fu impegnata ed estrema, sempre al centro della Storia che tende a travolgere tutto. Quando nel 1939 l’esercito tedesco mosse verso Parigi, Robert Capa fu costretto a fuggire, abbandonando tutti i negativi (suoi, di Gerda Taro e di David “Chim” Seymour, oltre a un paio di rullini di Fred Stein con le notissime foto di Capa e Taro sorridenti) nel suo studio di Rue Froidevaux, nelle fedeli mani dell’amico e collaboratore Csiki Weiss.
Ed è proprio nel 1939 che inizia il viaggio di questi celebri negativi, ben 4.500, attraverso il tempo e lo spazio: un viaggio lungo 70 anni attraverso due secoli, due continenti e molta Storia, il cui esito era onestamente imprevedibile. La vicenda della maleta mexicana, la valigia messicana piena di tesori fotografici che si credevano perduti per sempre e invece ritrovati con commozione e sorpresa, ha colpito profondamente il pubblico ed è diventata un docufilm del 2011 firmato da Trisha Ziff.
I fatti: nel 1939, all’arrivo dei tedeschi nelle vicinanze di Parigi, Imre “Csiki” Weiss (1911–2006) prese tutti i negativi di Robert Capa, Gerda Taro, David “Chim” Seymour e Fred Stein (tutti in grave pericolo per motivi religiosi e politici) e fuggì in bicicletta fino a Bordeaux, per provare a inviarli in Messico. Il Messico era infatti uno degli unici due Paesi al mondo, insieme all’Unione Sovietica, ad aver tagliato i rapporti con la Spagna franchista. Sulla strada, come Weiss stesso racconta, “incontrò un cileno” (la cui identità rimane ignota), e gli affidò le scatole con i rullini, chiedendogli di portarle al suo Consolato. Da questo momento si perdono le tracce dei negativi.
Csiki Weiss non riuscì a lasciare la Francia, come non ci riuscì Robert Capa: furono entrambi catturati e imprigionati. Una volta libero (grazie all’intervento di Cornell Capa), Csiki Weiss riuscì ad andare a Città del Messico, dove si stabilì con la moglie Leonora Carrington.
La vita supera ogni immaginazione: a Città del Messico Csiki Weiss vivrà, senza saperlo, nelle vicinanze della casa in Calle Amsterdam del Generale Francisco Aguilar González, ambasciatore del Messico in Francia durante il governo di Vichy, a cui erano stati affidati nel 1939 i preziosi negativi nelle scatole originali costruite a mano da Weiss e recanti le attribuzioni precise scritte di suo pugno. Di questo passaggio dei negativi nelle mani del Generale messicano non si seppe nulla fino alla fine del Novecento; d’altronde il Generale non indagò né utilizzò mai in alcun modo il contenuto della valigia.
Fu Benjamin Tarver, regista, a ricevere in eredità per vie traverse (attraverso una zia amica del Generale) la valigia contenete 126 rullini. Del valore di questi rullini, confermato da esperti, Tarver si rese presto lucidamente conto: era il 1995.
Cornell Capa, che non aveva mai perso le speranze di ritrovare i negativi perduti del fratello per i quali aveva lanciato innumerevoli appelli, venuto a sapere del ritrovamento e coadiuvato da Richard Whelan, il grande biografo ufficiale di Robert Capa, e da Brian Wallis, curatore capo dell’ICP di New York (fondato dallo stesso Cornell Capa), tentò con ogni mezzo possibile di convincere Benjamin Tarver a rendere disponibili i negativi, ma senza successo.
Infine, dopo più di un decennio di negoziazioni infruttuose, fu Trisha Ziff, curatrice e regista di Città del Messico, a sbloccare definitivamente la vicenda: il 19 dicembre 2007 la regista giunge a New York con la valigia perduta e ritrovata, consentendo finalmente di riunificare l’intero archivio di Robert Capa e Gerda Taro, oltre che di ampliare l’archivio di Seymour. Il lungo viaggio della valigia, iniziato nel 1939, finalmente si conclude.
Il valore di questi negativi è inestimabile; la Guerra Civile spagnola, durata tre anni, lacerò la Spagna, provocò la morte di 500.000 spagnoli e richiamò legioni di fotografi e intellettuali che si mobilitarono in prima persona e in prima linea. Tra questi, George Orwell, autore di Omaggio alla Catalogna, ed Ernest Hemingway, ispirato da una fotografia del collettivo Capa-Taro a scrivere Per chi suona la campana.
I negativi della valigia messicana hanno consentito finalmente anche la corretta attribuzione di molte delle fotografie di Gerda Taro, in larga parte firmate genericamente “Robert Capa”, il nome suggerito da Gerda utilizzato indifferentemente da entrambi per le loro fotografie all’inizio della loro carriera. Gerda Taro morì tragicamente proprio durante la Guerra Civile spagnola, a Brunete, nel 1937, prima donna fotoreporter di guerra a morire sul campo. La sua produzione si arresta alla Guerra Civile spagnola, e i negativi ritrovati hanno reso possibile la ricostruzione precisa – e la conseguente rivalutazione – della sua opera.
Nel 2011, Trisha Ziff realizza un docufilm per l’appunto dal titolo La maleta mexicana, della durata di circa 90 minuti, girato in Spagna e Messico, in cui racconta in modo accurato e vibrante l’intera vicenda. La maleta mexicana ha sicuramente il merito di ricostruire e narrare eventi eccezionali quale è la storia della valigia, peraltro già illustrata in una serie di mostre importanti; ha inoltre analizzato il diverso ruolo della Guerra Civile spagnola nella cultura spagnola e messicana e ha restituito vita alla memoria e alla Storia, grazie all’identificazione dei superstiti del conflitto e dei loro discendenti grazie alle fotografie ritrovate.
La scoperta di un archivio ridefinisce il passato, di cui completa e modifica il quadro, andando a incidere sulla nostra conoscenza. Non possiamo che continuare a stupirci con emozione dei mondi e delle trame, a volte di natura spontaneamente cinematografica, che la fotografia ci regala, facendo sì che la Storia – non solo della Fotografia – si riscriva continuamente.
Claudia Ioan, Direttrice Dipartimento Didattica FIAF