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Mostrare, o non mostrare?!?

6 commenti
Mostrare, o non mostrare?!?

Mostrare, o non mostrare, i volontari e gli assistiti? Tra le diverse scelte che ci troveremo ad affrontare per il nostro progetto, ci si potrà anche interrogare su cosa sia più efficace da un punto di vista narrativo, se mostrare i soggetti coinvolti, oppure solo il gesto, o ancora l’effetto di quel gesto di solidarietà.
La scelta di non mostrare contempla naturalmente un’alternativa, che si chiama narrazione indiretta.

Attilio Lauria

E della narrazione indiretta ci siamo occupati nel seminario di Bibbiena, un modo per documentare l’attività di volontariato senza dover necessariamente fotografare i volontari, alla quale fare ricorso nei casi in cui questo non è possibile.
Si tratta di una modalità narrativa che ha precedenti illustri nel reportage documentario, come dimostra il solito Walker Evans, il quale le conferisce anche un inquadramento teorico, parlando di “arrangiamenti inconsci”.

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  Walker Evans

Un’espressione con la quale Evans si riferisce alle messe in scena involontarie degli oggetti quotidiani, i quali finiscono così per “parlare di”; un po’ come una sorta di sineddoche, tanto per fare un paragone vicino ad una delle figure retoriche usate dalla fotografia, quella di “una parte per il tutto”. I possibili esempi relativi a questa modalità operativa, che invece di mostrare direttamente, mostrano qualcosa “in vece di…” (mettiamola così), sono innumerevoli; tra questi è emblematico il caso della tragedia dei migranti di Lampedusa, una situazione che evidentemente deve aver offerto la stessa ispirazione ad almeno 3 Autori in cerca di nuove soluzioni narrative, Davide Monteleone, Marco Pavan, e Mashid.

Davide Monteleone

Marco Pavan

Mashid

La narrazione indiretta degli “arrangiamenti inconsci”, che abbiamo visto appartenere al reportage, è stata fatta propria soprattutto dalla fotografia di moda, per ritornare poi al reportage e trasformarlo: come? Si sa che gli oggetti presenti nelle foto di moda non sono mai casuali, benché appaiano tali; ebbene, si tratta di una casualità sempre costruita, voluta, che fa parte di una strategia comunicativa.

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Un esempio di casualità costruita in una foto di Mario Testino, 

Amanda Harlech by Mario Testino, Vogue Italia, March 2002


Questa sorta di
inganno estetico, che rende vero il falso, cioè la costruzione, ha fatto breccia anche nel reportage, dove la preoccupazione estetica è divenuta un modo di scattare – “La verità della fotografia è ormai una verità che ha bisogno di una messa in scena”, scrive Roberto Cotroneo – come vedremo in un prossimo post. 

Nel prossimo post invece vi proporrò il lavoro di uno dei Testimonial Samsung, Daniela Bazzani, esempio di narrazione indiretta che riguarda proprio il nostro progetto…

PS: sempre a proposito di mostrare o meno, c’è anche chi, come Alfredo Jaar, sceglie deliberatamente di non mostrare.

Alfredo Jaar nel 1994 realizza in Ruanda “Real pictures”, 550 clichè che mostrano massacri, rovine e profughi, ma le immagini sono state chiuse in scatole ermetiche sulle quali c’è la descrizione di ogni fotografia. È stata esposta nel 95 a Chicago al museo di fotografia contemporanea sotto forma di un’istallazione che fa pensare a un monumento commemorativo. La retorica dell’irrapresentabile si pone in Jaar in assoluta polemica con l’uso di un’iconografia dell’orrore nei media, e questo tipo di denuncia umanitaria assume una forma concettuale. Dunque, la negazione dell’immagine indica che non c’è nessun bisogno di far vedere per suscitare emozioni, denunciare o informare.

  1. Michela Mazzoli says:

    Interessante tutto ciò! La narrazione indiretta mi piace moltissimo, nonostante ciò, a proposito di #tantipertutti il rischio in molte situazioni e nel “non capisco esattamente cosa stai raccontando”, forse a quel punto il testo scritto che accompagna diventa fondamentale? Oppure potrebbe essere che questa narrazione indiretta non si presta per certi soggetti … Non so, penso a un canile senza ne cani ne volontari … Oppure a un “Nati per leggere” senza bambini. Butto lì riflessioni per ragionare insieme, grazie a tutti

  2. Considerazione interessante,è un rischi molto forte!!
    Che l’autore deve considerare e ponderare,
    misurandosi con la sua capacità di interpretazione, di questo tipo
    di narrazione.

  3. Attilio Lauria says:

    Michela è un aspetto molto importante quello che sottolinei, sia perché la narrazione indiretta è una forma di concettualità, e come tale richiede di essere decifrata, e sia perché comunque, come dicevamo in un altro post, le foto hanno bisogno di parole, che siano didascalie o testi di accompagnamento….
    Guarda questa foto della Lange: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f8/Tenantless_farm_Texas_panhandle_1938.jpg
    se non avessimo la didascalia, che recita “Cacciati dal trattore”, e che ce la fa inquadrare secondo le intenzioni dell’autrice, e che ce la può fare considerare anche questa una narrazione indiretta, potremmo leggere quella foto in tanti altri modi….

  4. Frances says:

    Personalmente credo molto nella potenza della sottrazione e della narrazione indiretta in ogni media: cinema, pittura, fotografia. Rappresentare una situazione, una storia, una tematica seguendo una metodologia esplicita spesso porta ad un uso eccessivamente didascalico dell’immagine. In ciò perde la sua potenza. La forza di sottrarre il protagonista e mostrare gli oggetti di uso quotidiano, nel caso di Pavan è emblematico l’uso del colgate che tutti noi conosciamo, permette di costruire una certa familiarità con i migranti di Lampedusa. Il fruitore si immagina i soggetti, ma in un certo senso si sente anche vicino a loro, perchè gli oggetti rappresentati sono da lui conosciuti e la forza dell’immagine mentale del fruitore è tanto più forte quanto questo si sente maggiormente coinvolto e non limitato ad un atto voyeristico. Mi viene in mente un’istallazione d’effetto di Felix Gonzalez Torres: questo posiziona tante caramelle in una stanza quanto il suo peso corporeo ed invita i visitatori a prenderne una e a mangiarla. Che cosa ci vuole comunicare? Torres si ammala di aids, l’amore è un sentimento così dolce quanto può rivelarsi mortale e distruttivo. Effettivamente se lo spettatore non conoscesse la didascalia dell’opera non comprenderebbe la sua azione, ma dal momento che riesce a capire che cosa sta succedendo, forse i dolcetti sul pavimento possono permettere di immedesimarsi, porsi domande in modo più efficace di un’immagine che mostra straziante l’effetto dell’aids sul protagonista.

  5. Andrea Angelini says:

    Credo che in un progetto come TpT si debba cercare di coniugare all’interno della narrazione del portfolio foto rappresentative dell’evento, figure ambientate, ambiente e particolari dell’associazione o del gesto del volontariato. Con lo sviluppo di un portoflio è possibile una chiave di lettura più completa che completa la sua storia con il testo che accompagna il lavoro. Nella foto singola, pur inserendo un testo come chiave di lettura diventa difficile poter apprezzare la foto del particolare e spesso ci si concentra sul gesto o la figura. Un uso del dittico o del trittico o polittico può aiutare a fare una microstoria con anche l’oggetto o il particolare.

  6. Un tema molto affascinante quello della narrazione indiretta che lascia agli autori un più ampio raggio d’azione nella scelta del progetto da svolgere e portare avanti.
    Un tipo di narrazione che è bene ponderare e pensare, ma che può portare sicuramente a ottimi risultati.
    Valeria

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