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La fabbrica della luce – di Alberto Polonara
La fabbrica della luce
di Alberto Polonara
A volte,
nell’oscurità, la meta
non sembra più alla nostra portata
Il più piccolo spiraglio luminoso
appare come la soluzione
quella luce generata dal problema
non è l’uscita che quasi sempre è nell’ombra
dalla quale scappiamo.
Cerchiamo la fabbrica della luce…..
dentro di noi.
Alberto Polonara
“La fabbrica della luce” di Alberto Polonara è un’opera animata da un’idea narrativa artistica in quanto studia il valore simbolico della figura femminile. Lo compie con una fiction che nasce dalla contaminante libertà creativa dei fotografi storici marchigiani. Gli elementi posti in relazione generano un’atmosfera straniante e surreale dal significato aperto. L’abbandono e l’incuria ambientale sono segno dell’intreccio complesso e doloroso di esistenze ormai spente. Le due figure femminili in bianco e nero rappresentano la diversa indole che l’autore attribuisce alla donna. In questo contesto le trame generate delle pose diventano dispositivi di senso aperti ai quali ognuno può attribuire un significato soggettivo.
Alberto Polonara ci presenta ancora una volta un racconto di profonda riflessione dell’animo umano e del suo vissuto.
Con scelta consapevole ambienta l’azione in uno spazio insolito e grazie all’uso sapiente della luce svela e nasconde creando intimità, mistero e incertezza. Si percepisce una quasi dolorosa tensione emotiva che ci fa intuire i contrasti e le inquietudini che le due protagoniste esprimono attraverso movimenti sinuosi e che fanno del corpo il protagonista della comunicazione.
Loro sono diverse, contrapposte, ma alla ricerca della stessa soluzione positiva.
Un lavoro che ci lascia la voglia di continuare a pensare lasciandoci lo spazio per considerazioni ampie nei significati.
Complimenti.
Orietta Bay
Avrei intitolato il lavoro di Polonara “La fabbrica del buio”,
tanto la location in cui si svolge l’attività dei due soggetti è scarsa di luce, poco rassicurante e con un atteggiamento cupo o quantomeno inespressivo delle figure coinvolte(con qualche ripetizione). Ciò ad avvalorare il contributo di Silvano quando dice che sulle trame generate in questo lavoro di natura narrativa artistica, e così in genere sulla quasi totalità di questi lavori, ognuno può attribuire un significato soggettivo.
Il bel portfolio di Polonara da me già ammirato e votato, porta la mia mente a soffermarsi sulla dualità della donna, la buona e la cattiva, la sincera e la bugiarda, l’onesta e la disonesta, ma quale delle due nel balletto uscirà vincitrice dal buio verso la luce?
Penso ad una un’unica donna, fusione delle due che ci rappresenterà tutte
Certe volte l’animo femminile, quella della Bay, Casomai ce ne fosse bisogno di quel mare notturno schiumante di onde in perenne movimento, sulla battigia avanti e indietro, insinuante anfratti scivolosi e profondi. Penetrante riflessione.
Il buio è la materia in solido, e soldo, delle immagini e riesce difficile immagine la luce, il lucignolo si. Evidente. La location non dissimile da quelle fornaci (personalmente ho trovato presenze di atti compiuti finanche nei pressi di alto forno è dire che li scorre il parco fluviale cittadino usato a footing), da cui pare derivi la parola e l’attività connessa, dimesse o “sgarrupate” cadenti. Di quelle periferie ad ore. Eros/Thanatos tra calcinacci e rottami.
Non so se sia quel morboso aleggiare nelle immagini, di certo nel subconscio femmineo mai appagato, della Lante della Rovere (Ripa di Meana): “Tutte noi (donne) sogniamo una notte da camionista”. Se così, bisognerà ripensare tutta la storia che si cela dietro la “donna”. Immagine effimera, aerea usata ad arte e di cui troppo spesso, alla bisogna, sono proprie le donne a servirsene, allorchè esaurita la superba intelligenza (come se gli uomini fossero acefali) come arma non resta altro che la “seduzione” casomai in sottana bianca (animale sacrificale?). Specchio per allodole. La cifra.
Mi associo al commento di Marco Nicolini; questo lavoro è aperto a qualsiasi interpretazione e l’inespressività dei volti delle modelle, unitamente alla loro gestualità un po’ casuale, non contribuisce a dare una svolta decisa alla chiave di lettura dell’opera, lasciando tutto un po’ nel limbo dell’indeterminatezza.
Nel buio dei nostri sogni, la dama bianca e poi la dama nera entrano in punta di piedi e squarciate dal fascio di luce, guidato dalla nostra mente, mostrano istanti che il nostro occhio vuole percepire: bellezza, sensualità, dubbio.. Si alternano nei primi piani per farsi/farci scegliere..poi entrambe insieme aspettano la nostra decisione verso il male o verso il bene.
Lugo
Mi permetto un secondo breve intervento, perchè se l’opera si apre sull’idea di donna da parte dell’uomo naturalmente emergono i più vari stereotipi vigenti nella nostra società italiana e l’argomento si fa molto complesso. Consiglio a tutti tre libri di Michela Marzano che affrontano il tema in modo profondo e contemporaneo: “Sii bella, e stai zitta”, “La fine del desiderio” e “La filosofia del corpo”. Sono tre libri che mi hanno fatto ragionare in modo nuovo sulla differenza di genere, lo considero un dono preziosissimo che desidero condividere.