Il calotipo – di Enrico Maddalena, seconda parte
Il calotipo – di Enrico Maddalena, seconda parte
Talbot brevetta la sua invenzione l’8 febbraio del 1841 e descrive il procedimento ai membri della Royal Society:
“Si prenda un foglio della migliore carta da scrivere e lo si ricopra con una soluzione debole di nitrato d’argento, la si faccia asciugare e la si immerga in una soluzione di ioduro di potassio. Questa carta iodizzata si può conservare per qualsiasi periodo di tempo senza che si sciupi o subisca alcuna trasformazione, purché sia protetta dalla luce. Questa è la prima parte della preparazione della carta per calotipia, che si può compiere in qualsiasi momento. Conviene invece ritardare la parte rimanente fino a poco prima del momento in cui la carta è richiesta per l’uso. Venuto il momento, prendere un foglio di carta iodizzata e lavarlo con un liquido preparato come segue:
Sciogliere 100 grani di nitrato d’argento cristallizzato in due once di acqua distillata.
A questa soluzione aggiungere un sesto del suo volume di acido acetico forte. Indicare con A questa miscela.
Preparare una soluzione satura di acido gallico cristallizzato in acqua distillata fredda; la quantità che si scioglie è molto piccola. Si indichi questa soluzione con B .
Quando occorre un foglio di carta, mescolare insieme i liquidi A e B in volumi uguali, mescolandoli ogni volta in piccole dosi, perché la miscela non si conserva a lungo senza sciuparsi. Chiamerò questa miscela gallo-nitrato d’argento .
Prendere quindi un foglio di carta iodizzata e spennellarlo con questo gallo-nitrato d’argento usando un pennello morbido e avendo cura di spennellare la faccia precedentemente contrassegnata. Questa operazione va fatta a lume di candela.
Lasciare riposare la carta per mezzo minuto e poi immergerla nell’acqua. Quindi asciugarla leggermente con carta assorbente e infine farla seccare con cautela davanti a un fuoco, tenendola da esso a distanza considerevole. Una volta asciutta, la carta è pronta all’uso”.
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E ancora:
“L’impressione è latente e invisibile e nessuno potrebbe sospettarne l’esistenza senza esserne stato preavvertito da un precedente esperimento. Il metodo per rendere visibili queste impressioni è semplicissimo e consiste nel sottoporre ancora una volta la carta a un bagno in gallo-nitrato d’argento preparato nella maniera precedentemente descritta e quindi nello scaldarla delicatamente davanti al fuoco. In pochi secondi le parti della carta su cui ha agito la luce cominciano ad annerirsi e alla fine diventano completamente nere, mentre le altre parti della carta restano bianche. E’ un fenomeno molto bello e interessante assistere alla formazione spontanea dell’immagine, che prima delinea i tratti più marcati e gradualmente riempie tutti i numerosi e complicati particolari. L’artista deve osservare l’immagine man mano che si sviluppa e, quando a suo giudizio ha raggiunto il massimo grado di intensità e nitidezza, deve arrestare l’ulteriore progresso immergendola nel liquido fissatore”.
Talbot all’inizio usava come fissatore il bromuro di potassio poi, su consiglio di Herschel, l’iposolfito. Al contrario di Herschel che comunicava gratuitamente le sue scoperte, Talbot brevettava tutto, anche l’acido gallico di cui non era lo scopritore, e citava in tribunale tutti coloro che riteneva ne facessero uso senza pagargli la licenza.
Portò in tribunale anche James Henderson che utilizzava il metodo del collodio umido e l’acido pirogallico al posto dell’acido gallico. Ma per Talbot si trattava di una variante del suo metodo. La causa fu persa da Talbot e così la fotografia ed il processo negativo-positivo poterono diffondersi senza più alcun freno legale. La calotipia venne poi superata dal nuovo processo al collodio e definitivamente abbandonata.
Il primo libro fotografico della storia: “The Pencil of Nature”
Nell’autunno del 1843 Talbot organizzò a Reading un laboratorio di stampa: “il Talbotype Establishment” e ne affidò la direzione a Nicholas Henneman, uno dei suoi domestici. Fra il giugno 1844 e l’aprile 1846 Talbot pubblicò una raccolta di 24 calotipi dal titolo: “The Pencil of Nature”, accompagnate da testo. I calotipi venivano preparati mettendo i negativi di carta a contatto con carta sensibilizzata con il cloruro d’argento. Il telaio che conteneva il tutto, veniva chiuso ed esposto alla luce per un tempo da alcuni minuti a più di un’ora. La carta veniva quindi fissata, lavata ed asciugata.