Eva Polak, fotografa impressionista – di Isabella Tholozan (I° Parte)

EVA POLAK, FOTOGRAFA IMPRESSIONISTA – di Isabella Tholozan (I° Parte)

Eva Polak, giovane artista fotografa neozelandese, originaria di Auckland, ha al suo attivo numerose esposizioni personali, riconoscimenti e diverse pubblicazioni (http://evapolak.com).

Attualmente è nota come una delle maggiori interpreti di una nuova corrente creativa che, in fotografia, s’ispira ai grandi maestri dell’impressionismo e che da essi prende il nome.

Vi parlerò quindi di “fotografia impressionista”, definibile tale perché utilizza prevalentemente la luce e il colore allo scopo di definire sensazioni che, attraverso l’uso della macchina fotografica, si materializzano, descrivendo impressioni, sensazioni, superando la rigidità della forma.

Analoga alla “fotografia emozionale”, giacché anche quest’ultima muove l’osservatore a cercare nella sua fantasia, nella sua mente e nel cuore, entrambe spingono affinché si attiri l’interesse della parte più profonda dell’animo umano.

Se per ambedue i generi, l’uso del medium fotografico si libera della tecnica, sfruttando appieno la conoscenza della luce, nella “fotografia impressionista” è decisivo il colore, così come per i pittori di fine 800’, la consapevolezza e la padronanza nell’uso delle tinte, fa sì che la comunicazione cresca e provochi un forte senso di appartenenza e immedesimazione.

Ma la fotografia può diventare impressionista a livello pittorico?

E’ noto che la corrente impressionista rivoluzionò completamente il panorama artistico di fine 800’, aprendo all’arte moderna e contemporanea del 900’; complici di questo stravolgimento culturale furono le nuove teorie scientifiche, filosofiche e, non meno importante, la nascita del tubetto di colore a olio, che, come mai prima, consentì il trasporto dell’attrezzatura necessaria alla pittura “en plein air”.

Con gli impressionisti l’opera d’arte esce dagli studi di posa, diventa rappresentazione della realtà, dove i soggetti sono parte integrante e interagente del contesto, dove l’uso sapiente e studiato della luce e del colore consentono di abbandonare la pedissequa rappresentazione, inserendo nell’opera la rivoluzionaria “impressione” personale dell’artista.

Si ebbe così la possibilità di oltrepassare la finzione, che era la creazione di una certa scenografia, e di descrivere la stessa figura umana con pennellate decise e marcate, tali da farle assumere la stessa connotazione degli oggetti e degli elementi inseriti nel panorama in cui si trovava.

La fotografia iniziò ad avvicinarsi alla pittura alla fine del XIX secolo, grazie al movimento del “pittorialismo” che cercò di elevare il mezzo fotografico al pari della pittura, apportando alla fotografia la manualità e il senso estetico necessari per rendere l’opera fotografica comparabile alle arti dette “maggiori”.

Nato in Francia, il pittorialismo si sviluppò in seguito in Gran Bretagna, Russia, Italia fino ad approdare negli Stati Uniti, dove, grazie all’intuizione geniale di Alfred Stieglitz, la fotografia diviene elemento di spicco delle gallerie e delle pubblicazioni d’arte, diventando così un momento formativo importante.

Eva Polak, s’inserisce appieno in tale identità culturale, pur restando avulsa da un’omologante e banale tendenza puramente estetica, riesce con le sue opere a dare valore a quella parte del processo creativo che coinvolge la sfera emozionale e gli stati d’animo.

Lei stessa racconta che:

“Una volta imparate le regole convenzionali, sono stata in grado di superarle; così facendo ho potuto produrre immagini inusuali, veramente uniche. Mi hanno sempre interessato diverse espressioni artistiche, così mi sono rifatta alle opere di poeti, scrittori, artisti e di altri fotografi.

Tuttavia prendo ispirazione, in particolare, dai pittori impressionisti francesi, non solo per la qualità sognante del loro lavoro, ma anche per il loro atteggiamento verso la vita.

Non apprezzati dai loro contemporanei, non hanno avuto paura di rompere le regole, al fine di creare qualcosa di unico e originale.

La creazione delle mie immagini mi ha costretto a guardare con più attenzione il mondo e, metaforicamente, la fotografia è stata anche un cammino d’introspezione e scoperta personale”.

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