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MANIFESTI VIRTUALI_ 03.2 – di Monica Mazzolini

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Laboratorio di Storia della fotografia
LAB Di Cult 025 FIAF, coordinato da Monica Mazzolini

Manifesto della “Magnum Photos Inc.,
i primi 50 anni” (seconda e ultima parte)

 
La grandezza dell’agenzia Magnum è una diretta conseguenza della grandezza dei suoi membri. Pur essendo personalità differenti, provenienti da diverse nazioni, con studi e (talvolta) punti di vista differenti, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David “Chim” Seymour e George Rodger hanno avuto una straordinaria capacità tecnica e profonda consapevolezza ideologica. La conseguenza è stata il loro primato nell’ambito del reportage. Ognuno è ricordato per una particolare caratteristica od una specifica dichiarazione che lo contraddistingue, ma tutti insieme concorrono a creare il pensiero centrale della Magnum.
In una lettera del 1956 Chim spiega molto bene questo concetto: “[…] Il gruppo Magnum non può essere considerata un’omogenea scuola di fotografia. Esso ospita al suo interno una grande varietà di talenti individuali, approcci personali differenti e scrupoli creativi. Esiste tuttavia una certa unità. C’è una grande affinità tra i fotografi Magnum nella loro integrità fotografica e nel rispetto della realtà, nell’approccio attento all’umanità, nella ricerca dell’impatto emotivo, nella preoccupazione per la composizione e la disposizione delle immagini, nel senso della continuità narrativa”. 
Di certo uno dei dibattiti fondamentali si può riassumere con la seguente frase: “Cartier-Bresson cercava di cogliere il senso della realtà in una serie d’immagini coerenti ed equilibrate, quello che chiamava il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo, mentre il credo di Capa era la foto più bella, la propaganda migliore, è la verità” (1). Analizzandola si comprende come fosse importante il concetto di fotografia come documento e fotografia come arte. Tutti sono riusciti, ognuno in modo personale, a produrre immagini che sanno andare oltre la sola descrizione dell’accaduto.
Robert Capa, considerato il più grande fotoreporter di guerra del secolo, seguiva un motto: “Se le vostre foto non sono sufficientemente buone, vuol dire che non siete andati abbastanza vicino”. Questo modo di fotografare aveva forse un duplice significato riguardando non solo la vicinanza fisica ma anche quella della comprensione del soggetto. In effetti nelle sue immagini oltre che la scena di guerra era in grado di cogliere le emozioni sui volti delle persone “… era in grado di fotografare il movimento, l’allegria e lo sconforto. Era in grado di fotografare il pensiero. L’opera di Capa è in se stessa la fotografia di un grande cuore e di un’empatia irresistibile” afferma J. Steinbeck. Un’empatia che riusciva ad avere con le persone che stavano davanti alla sua camera e che stavano vivendo momenti drammatici, riusciva a cogliere quell’istante perfetto.
“Il momento decisivo”, quello che ha reso famoso Henri Cartier-Bresson il quale sostiene cheLa macchina fotografica è per me un blocco di schizzi […] Per significare il mondo bisogna sentirsi coinvolti in quello che si inquadra attraverso il mirino [….]. Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. […] La tecnica è importante solo se riesci a controllarla al fine di comunicare quello che vedi”. La sua carriera inizia come pittore e disegnatore (tecniche che riprenderà a partire dal 1968) e quando sostituisce il pennello e la matita con una Leica, il suo sguardo riesce a cogliere momenti di equilibrio, di perfetta composizione e grazia.
David Seymour o semplicemente Chim, come lui amava essere chiamato, aveva questa “eleganza” insita nella sua personalità così come sensibilità ed intelligenza. Aggettivi questi che sono in grado di descrivere anche le sue immagini. Aveva un buon occhio, un buon fiuto per le notizie e soprattutto un grande cuore. I suoi sono reportage intensi e ricchi di carica emotiva: “Come fotografo era gentile. Non avrebbe potuto scattare una fotografia irrispettosa intenzionalmente e se per caso accadeva, la eliminava. […] Chim prendeva la sua macchina fotografica nel modo in cui un medico estraeva lo stetoscopio dalla borsa, concentrando la sua diagnosi sul cuore. Il suo era vulnerabile”. Anche l’inglese George Rodger non si limitava a fotografare i soggetti. Afferma: “… inizialmente dovrai acquistare padronanza con la tecnica. Devi farlo se vorrai esprimerti esteticamente […] potrai concentrarti su quello che vedi nel mirino perché è attraverso il mirino che riuscirai a stabilire il legame tra la realtà e la tua personale interpretazione che di questa realtà vorrai darne. […] Devi  sentire una certa affinità con quello che fotografi. Devi esserne parte e nello stesso tempo rimanerne sufficientemente distante e guardarlo in modo obiettivo”. L’esperienza della guerra è stata per lui traumatica e se ne allontana. Si rifugia in Africa dove riesce a scacciare i suoi incubi. In questo luogo spirituale, a contatto con la natura, cattura i volti, i corpi, la fierezza e la vita, con le usanze ed i riti del popolo locale. La sua documentazione diventa di tipo antropologico.
 

Robert Capa – Stalingrado USSR (1947)
 
Henry Cartier-Bresson – Cina, Beijing (1948)
 

David Seymour – Ioannina, rifugiata (1948)

 

George Rodger – Sud Africa, Giovane ragazzo Young Basuto (1947)

Diventare parte della Famiglia Magnum è sempre stato un processo lungo. Reclutare nuovi membri era un problema fin dal principio quando la decisione era quella di non accettare nessuno che non fosse adatto da un punto di vista personale, politico e professionale (1). Inizialmente i membri fondatori avevano identificato solo un fotografo in grado di soddisfare i loro criteri: lo svizzero Werner Bishof (1916-1954). Appassionato di pittura, inizia a lavorare come fotografo in studio e per questo sarà sempre attento alla composizione ed alla forma sostenendo: “Io non sono un fotogiornalista. […] Nel profondo del mio cuore io sono sempre – e sempre sarò – un artista”. Ma attraverso le sue immagini è in grado di unire il reportage e quindi la notizia al momento decisivo (seguendo la lezione di Cartier-Bresson).
 

Da sinistra a destra: Werner Bischof (1916 – 1954); Foto di gruppo in occasione del meeting a Parigi nel 1957; foto di gruppo in occasione del meeting del 1988 scattata da Elliott Erwitt.

Dopo Bischof altri si sono uniti all’Agenzia che necessitava di crescere come ben descrivono le parole di John G. Morris (1953): “Magnum sta tentando di tenere testa all’ingegno dei suoi fotografi sul campo sviluppando progetti editoriali, preferibilmente in collaborazione con direttori di riviste, disposti a pagare. […] Per gestire questi ed altri progetti futuri l’agenzia sta promuovendo una nuova generazione di fotografi qui e all’estero”. La selezione ha sempre avuto delle specifiche regole (che valgono tutt’oggi): “Magnum Photos è un’agenzia di proprietà cooperativa, gestita dai suoi fotografi membri. L’agenzia è self-selecting e l’appartenenza è considerata uno dei migliori riconoscimenti della carriera di un fotografo. Il processo di diventare membro pieno di Magnum Photos richiede un minimo di quattro anni. I fotografi sono considerati solo una volta all’anno, durante l’Assemblea generale annuale nel mese di giugno, dove un giorno è riservato per considerare e votare i portfolio dei potenziali nuovi membri. Magnum Photos accetta portfolio da tutti i fotografi professionisti internazionali, ma le applicazioni più riuscite sono realizzate con il supporto di fotografi già presenti. I candidati selezionati diventano “membro nomine”, una categoria di appartenenza che presenta un’opportunità per Magnum ed il fotografo di conoscersi reciprocamente ma dove non ci sono impegni vincolanti da entrambi i lati. Trascorsi due anni i fotografi presenteranno un nuovo portfolio per poter richiedere la “Membership Associate”. Se l’esito è positivo, il fotografo diviene vincolato da tutte le regole dell’agenzia, e gode di tutte le strutture dei suoi uffici e di rappresentanza in tutto il mondo. Dopo altri due anni, un membro associato che intende candidarsi per l’adesione completa presenta un’ulteriore portfolio che viene esaminato dai membri. Una volta scelto come “Full member”, questo effettivamente conferisce l’adesione a Magnum per la vita o per tutto il tempo che sceglie il fotografo. A nessun fotografo membro di Magnum è stato mai chiesto di lasciare. […] Magnum ha anche un’affiliazione con alcuni fotografi selezionati a livello globale che fungono da membri di “Corrispondenti” solo per lavori occasionali” (2-3).
 

Warner Bischof – Ungheria, Uomini che bevono in una fattoria (1947)

 

Warner Bischof – Sulla strada per Cuzco, vicino Pisac. Peru (Maggio 1954)

 

Elliott Erwitt – Provenza, Francia (1955)

 

Ferdinando Scianna – Feste religiose in Sicilia (1962)

 

Martine Franck – Hong Kong, Campo di rifugiati (La foto è stata scatta nel 1980, anno in cui si unisce alla Magnum. E’ la moglie di H.C.B)

 

Josef Koudelka – Romania (1968)

 

Lu Nan – Vita dei contadini del Tibet (1999)

Lo scopo di questo selezionato gruppo di fotoreporter è sempre stato la vocazione alla notizia: “[…] Le riviste vogliono materiali che abbiano il valore della notizie, ed il valore della notizia dipende dal tempismo. Non possiamo battere sul tempo le agenzie di stampa, ma possiamo prevedere quali siano i luoghi in cui avverrà la notizia. […] Dobbiamo assumerci qualche rischio fisico e commerciale, ogni tanto se vogliamo avere successo” […] Magnum può servire al meglio i suoi membri creando un legame tra le prospettive editoriali e le tendenze dell’opinione pubblica ed i fotografi stessi, modellando gli uni perché si adattino agli altri. (1952 – Robert Capa e Werner Bishof).
E saranno proprio questi rischi che porteranno tre dei protagonisti iniziali a morire sul campo. I primi due sono proprio Bischof e Capa. L’uno il 16 maggio 1954 a causa di un incidente d’auto sulle Ande, l’altro nove giorni dopo in Indocina saltando su una mina. Anche Chim (diventato presidente dopo la morte di Capa) è stato vittima della guerra ucciso da colpi di mitragliatore il 10 novembre 1956 mentre si trovava in Egitto per documentare la crisi del canale di Suez.
Gli ideali ed una precisa filosofia hanno caratterizzato il modo di agire: “Magnum-pensiero significava avere un’idea precisa del mondo, incarnare qualcosa, esprimerlo in qualche modo, dare il proprio contributo per quanto minimo” (1960 – Cornell Capa) e ancora “Magnum è un’idea, un concentrato di tradizioni, uno stato emotivo” (1962 – Elliott Erwitt). 
Ma con il trascorrere del tempo e l’allargamento della famiglia inevitabilmente si assiste a cambiamenti come, ancora una volta, ne abbiamo testimonianza dagli scritti: “Il pericolo che incombe su di noi è il crescente individualismo: ho notato che in molti membri di Magnum, vecchi e nuovi, è diventato sempre più forte cosa che rende impraticabile il concetto stesso di cooperativa. Continuo ad essere convinto che il bene professionale e morale di tutti arricchisca ognuno di noi più di quanto faremmo da soli. E’ stato questo a fare di me il fotografo che sono, e tento di contraccambiare, perché ci si arricchisce anche solo tentando” (1975 – Erich Hartmann).
L’equilibrio viene minato dal progresso tecnologico che agisce su due fronti che viaggiano sovrapposti e che hanno iniziato a cambiare il mondo del reportage e della notizia. Da un lato la velocità dell’informazione: “Molti fotografi Magnum si ostinano a ignorare beatamente cosa il mercato potrebbe volere da noi. Facciamo le cose nostre come se il mondo intorno a noi non stesse cambiando alla velocità della luce” (1996 – Thomas Hoepker e David Hurn). D’altro canto la digitalizzazione delle immagini: “Visto che ne va degli interessi dell’intero gruppo, sono convinto che le conseguenze della manipolazione digitale debbano essere la nostra prima preoccupazione” (1991 – Stuart Franklin). 
Ma nonostante le difficoltà fin dalla sua nascita, e sono passati settant’anni, i reportage dei fotografi della Magnum hanno narrato i fatti di cronaca della storia del mondo. E ancora oggi, con le sedi di New York, Parigi, Londra e Tokyo rimane una fonte importante ed autorevole d’informazione.
Per ulteriori approfondimenti:
1- “Magnum – I primi cinquant’anni della leggendaria agenzia fotografica”
di Russell Miller (Ed. Contrasto 2016).
2- “Magnum manifesto”
a cura di Clément Chéroux in collaborazione con Clara Bouveresse (Ed. Contrasto 2017).
3- https://www.magnumphotos.com

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2 commenti

  1. Anche per Magnum, dal dire al fare c’è di mezzo il mare!
    L’esperienza della Magnum è una vicenda umanissima, perché a fianco dell’idealismo che ha dettato il suo percorso, per dare senso alla propria attività innovativa, poi la vita pericolosa ha presentato il suo conto impietoso con la morte sul campo di diversi protagonisti di primo piano.
    La Magnum ha tracciato il modello del fotogiornalismo contemporaneo con talento fotografico e capacità analitica che ha fatto maturare una consapevolezza straordinaria nei suoi protagonisti.
    I fotografi della Magnum hanno fatto tantissimo! Quante idee raffinate, stili complementari, progetti di altissimo livello sotto ogni profilo. Si nota la formazione di un fotografo dalle grandi capacità teoriche in tanti campi da quello artistico, a quello della comunicazione, dello stile di vita proiettato sul mondo intero.
    Quanto ci hanno influenzato nella visione e nella stessa ragione che ci porta a fotografare.
    Quanti fotografi hanno seguito il loro spirito di ricerca coraggiosissimo e purtroppo tanti sono morti.
    La modernità è impietosa ci siamo fermati al 2000 perché la tecnica digitale sta scrivendo una storia nuova del fotogiornalismo e quindi della Magnun.
    Sarà interessante seguirne gli sviluppi in presente e in futuro, perché le sfide in atto sono impressionanti e richiedono capacità nel trasformare di continuo le strutture organizzative e le idee che le animano.
    Intanto apprezziamo i primi 50 anni straordinari di questa Agenzia che possiamo chiamare mitica.
    Complimenti a Monica per la cura con la quale studia e raccoglie e presenta il materiale documentale di questo importante progetto dei “Manifesti Virtuali”.

  2. Credo che con Magnum si possa parlare di “Epica” fotografica.
    Dal suo inizio il gruppo fondatore ha volto il suo sguardo sul globale, dandole visibilità, fama e creandone il mito.
    E’ importante porre solide fondamenta alla partenza di ogni progetto per potersi sostenere coerentemente nel tempo; dai Manifesti Virtuali proposti si evince la “dichiarazione d’intenti” di ogni dimensione artistica.
    Magunm compie oggi 70 anni, la nostra Federazione tra poco ne festeggia altrettanti. Non voglio certo fare paragoni irriguardosi, ma anche la Fiaf penso abbia nel tempo dimostrato lo spessore delle proprie basi; anche con progetti coinvolgenti, ultimo dei quali La Famiglia In Italia.
    Complimenti a Monica per la profondità di questa ricerca, realizzata e presentata in maniera magistrale.

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