MANIFESTI VIRTUALI_ 05.2 – di Monica Mazzolini
Laboratorio di Storia della fotografia
LAB Di Cult 025 FIAF, coordinato da
Monica Mazzolini
I Preraffaelliti, il Pittorialismo ed il Simbolismo
Seconda e ultima parte
Mentre i pittori cercano di emulare l’esattezza delle fotografie (utilizzandole anche come studi preparatori invece del disegno), i fotografi (che spesso avevano studiato per diventare pittori prima di essere ammaliati dalla macchina fotografica) cercano di riprodurre nelle loro immagini l’atmosfera e le storie descritte dai dipinti. Mai come nel 1800 il dialogo tra arte e fotografia fu così intrecciato. Forti influenze le troviamo oltre che nelle fotografie di Julia Margaret Cameron anche nei fotografi Pittorialisti quali Oscar Gustave Rejlander, Henry Peach Robinson, Peter Henry Emerson, l’italiano Domenico Riccardo Peretti Griva come pure nelle fotografie di Lewis Carroll, l’autore di “Alice nel paese delle meraviglie” e molti altri.
La corrente pittorialista ha come poetica la fuga dalla realtà documentaria il che significa adottare una messa a punto sfocata, l’utilizzo di scene allegoriche, letterarie e storiche con lo scopo di conferire alla fotografia la dignità di Arte, riprendendo i Preraffaelliti. Le loro immagini sono spesso affette da un’ispirazione simbolista. Il Simbolismo era un movimento artistico affermato in Francia a partire dal 1886 come reazione al realismo, al naturalismo e all’impressionismo. Ma anche contro l’arte accademica e contro tutte le trascrizioni del reale. Perfino quando si pone di fronte alla natura, il simbolismo, rivendica il diritto di ricrearla. Non rappresenta fedelmente il mondo esteriore ma cerca il mondo della suggestione fantastica dei sogni per mezzo di allusioni simboliche e dell’immaginazione. Originando dal Romanticismo si può considerare come la poetica del più vasto movimento che prende il nome di Decadentismo (che investe in tutta Europa anche la letteratura, la filosofia e la musica). Poetica e scopo che sono descritti nel Manifesto di J. Moréas pubblicato sul supplemento de Le Figaro il 18 settembre:
“Ecco dunque che gli scenari della natura, le azioni dell’uomo e i fenomeni concreti non trovano in tale arte una manifestazione propria; essi sono piuttosto apparenze sensibili, destinate a rappresentare le affinità esoteriche con le idee primordiali”.
Le caratteristiche principali sono la fusione di elementi della percezione sensoriale ed elementi spirituali; è una pittura (ma anche una fotografia) ricca di simbologie mitologiche e religiose che esplora il confine tra sogno e realtà. Secondo la definizione del dizionario simbolo deriva dal latino symbŏlus e symbŏlum che significa accostamento, far coincidere, e rappresenta qualsiasi elemento concreto (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso, il quale viene pertanto assunto ad evocare o significare entità astratte, di difficile espressione. Un valore ulteriore, più ampio e astratto rispetto a quello che normalmente rappresenta (per esempio il focolare simbolo della famiglia oppure la bilancia simbolo della giustizia, il giglio della purezza).
“Manifesto” di J. Moréas pubblicato il 18 settembre 1886 sul supplemento di Le Figaro.
Oscar Gustave Rejlander (1813-1875) di origine svedese, è stato un fotografo e pittore (inizia questo percorso che poi abbandona). Nella sua “Apologia della fotografia artistica” (1863) scrive: “L’arte si compone di molti momenti, e una composizione fotografica ha molto in comune con l’arte, (…) Io credo che in fotografia, anche dopo tutto quello che è stato fatto, si possano produrre immagini bellissime. E perché non ci sono delle buone fotografie artistiche? Perché, oltre all’incoraggiamento, occorre un talento artistico e un lungo allenamento per realizzarle. Io non credo nell’eccellenza casuale. Secondo me la fotografia è eccellente per i dettagli. Si possono riprendere venti figure ben riuscite separatamente, ma non tutte in una volta. Non si può fare una buona ripresa nemmeno di quattro figure in una volta; ma allora non si può disegnare o dipingere una immagine tutta in una volta”. Un’altra importante frase è la seguente: “La stessa strada che fa un pittore quando intende dipingere la deve fare un fotografo quando vuole fare una composizione fotografica. Le due cose stanno insieme, si separano e poi si riuniscono […]. La fotografia può tornare utile agli artisti in molti modi, ma pochi di loro ne sono coscienti. Eccone uno: dopo aver fatto uno schizzo, si può fotografarlo; poi sulla carta all’albumina si può giocare con i colori come e quanto si vuole, finché si arriva al risultato desiderato per poi procedere al dipinto; con un pennello bagnato si possono rimuovere i colori, come se non ci fossero mai stati, e il disegno sotto rimane lo stesso”. Uno dei primi a sperimentare il fotomontaggio: “The two ways of life” (1857). Si tratta di un’opera di grande formato che da un punto di vista tecnico è costruita in sede di stampa mediante il montaggio di 32 diversi negativi. Un’opera allegorica che appare ispirata dall’affresco di Raffaello “La scuola di Atene” (1509-1511). Mentre nell’opera pittorica sono rappresentate la scienza e la filosofia, nella fotografia viene mostrata la contrapposizione tra due mondi.
Oscar Gustave Rejlander – The two ways of life (1857)
Raffaello Sanzio – La Scuola di Atene (1509-1511 affresco, Città del Vaticano, situato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro “Stanze Vaticane”, poste all’interno dei Palazzi Apostolici.
Henry Peach Robinson (1830-1901) è stato un fotografo britannico, pioniere ed ideologo del fotomontaggio e del movimento pittorialista. Intraprende la professione di libraio e, influenzato dalle opere di William Turner, s’interessa di pittura. Nel 1869 pubblica il saggio “L’effetto pittorico in fotografia” (Pictorial effect in photography) in cui vengono dati consigli relativi al chiaroscuro, alla composizione ed alla stampa combinata: “Negli ultimi sviluppi di questo lavoro ho introdotto gruppi complessi di figure con paesaggi e altri sfondi che, a chi non ha conoscenza delle possibilità che la nostra arte offre, possono sembrare impossibili in fotografia. […] Ma le possibilità della fotografia sono più vaste della semplice realizzazione di un ritratto o di un paesaggio […]. Il mezzo attraverso il quale si possono realizzare composizioni più complesse è la stampa combinata, un metodo che permette al fotografo di rappresentare oggetti su piani diversi correttamente a fuoco, di mantenere il vero rapporto tra le varie distanze sia in senso atmosferico che lineare, e grazie al quale l’immagine può essere divisa in porzioni separate per l’esecuzione, cioè le parti che poi saranno stampate insieme su un’unica carta: questo mette in grado l’operatore di dedicare tutta la sua attenzione a una singola figura alla volta, o a un sottogruppo, in modo che, nel caso una parte per qualche motivo risultasse imperfetta, possa essere rifatta e sostituita senza che si rovini l’intera immagine, come accadrebbe se questa venisse eseguita tutta in una volta. E in tal modo, concentrando l’attenzione sulle singole parti, si può ottenere una perfezione molto maggiore nei dettagli, per esempio la sistemazione dei drappeggi, la definizione della posa, e l’espressione”.
Henry Peach Robinson – Fading Away (1858)
Henry Peach Robinson – Dawn and Sunset (1885)
Peter Henry Emerson (1856-1936) è stato uno scrittore e fotografo inglese, nato a Cuba. Anche lui considerato uno dei principali artefici dell’autonomia artistica del mezzo fotografico. Nel 1889 utilizza la celebre espressione “Photography, a Pictorial Art” (Fotografia, un’arte pittorica) nel suo trattato “Fotografia naturalistica per studenti d’arte”, in cui sostiene che la fotografia può riprodurre la verità artistica come qualunque altra forma d’arte. Nei due saggi seguenti “Morte della fotografia naturalistica” (1899) e nell’ultima edizione dal titolo “Fotografia naturalistica” elimina tutti le sue teorie relative alle qualità artistiche della fotografia: “Photography Not Art” (Fotografia, Non Arte). Queste tre parole scritte la dicono lunga sulla complessità di un dibattito che, nato con la fotografia, ha impiegato molto tempo prima di giungere ad una conclusione.
Dal saggio datato 1889: “(…) l’occhio umano non vede la natura esattamente com’è, ma vede invece un certo numero di segni che rappresentano la natura, segni ai quali l’occhio si abitua, e che per abitudine poi chiamiamo natura. (…) La grande eresia della “nitidezza” ha avuto lunga vita nei circoli fotografici innanzitutto perché l’arte è stata praticata da scienziati, secondariamente da scienziati senza preparazione filosofica: infatti tutto ciò che passa dall’obiettivo è stato considerato puramente dal punto di vista fisico, con la completa esclusione dell’aspetto fisiologico e psicologico, che sono molto più importanti, e così è stato preso in considerazione solo un terzo della verità. (…). Ciò che i più evoluti conoscitori dell’arte di tutti i tempi desiderano è che venga resa la vera impressione della natura. (…). Poiché la tendenza dell’atmosfera è più o meno quella di smorzare i colori della natura, come una nebbia che abbassa i toni delle cose, ne consegue che essa in ogni caso aiuta a dare ampiezza abbassando i contrasti, così come aiuta a determinare la distanza degli oggetti (…). Questa densità dell’aria a cui diamo nome atmosfera toglie nitidezza ai contorni e ai dettagli dell’immagine, e più l’oggetto è lontano più l’atmosfera influisce sulla nitidezza coeteris paribus (a parità di tutte le altre circostanze), e dunque gli oggetti che si trovano a distanze diverse non sono e non devono essere rappresentati ugualmente nitidi e definiti. (…) Il motivo per cui preferiamo le immagini che non sono troppo brillanti sta nel fatto che l’occhio non può guardare a lungo dipinti troppo luminosi senza stancarsi. (…) Un’immagine non dovrebbe essere completamente nitida e a fuoco in ogni sua parte, perché diventa falsa. Dovrebbe essere nitida solo quanto la vede l’occhio, e non di più, perché va ricordato che l’occhio non vede così nitido come l’obiettivo fotografico (…)”.
Peter Henry Emerson – Rowing home the Schoof-Stuff (1886)
Peter Henry Emerson – Gathering water lilies (1886)
Lewis Carroll (1832-1898) pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, è stato uno scrittore, matematico, fotografo, logico e diacono anglicano britannico autore di “Alice nel paese delle meraviglie”. Nel 1856 inizia a interessarsi alla fotografia, alla quale viene introdotto dallo zio e da Oscar Rejlander. La fotografia si rivela uno strumento adatto per esprimere la sua filosofia personale, centrata sull’idea della divinità di ciò che Dodgson chiamava “bellezza”: uno stato di grazia, di perfezione morale, estetica e fisica. Uno degli obiettivi è quello di ritrarre le sue giovani modelle più come fate, libere creature dei boschi, che come beneducate damigelle della buona società inglese.
Alice Liddell ritratta da Lewis Carroll (1858)
In Italia l’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa e Moderna di Torino del 1902 afferma il Pittorialismo nel nostro paese. La rivista più importante che porta avanti le idee del movimento è “Fotografia Artistica” stampata dal 1904 al 1917. Nel primo numero della rivista (Numero I, Dicembre 1904, p. 1) una lettera ai lettori – del direttore Annibale Cominetti – descrive l’intento della pubblicazione e l’importanza corretta da attribuire alla fotografia come Arte: “La nostra pubblicazione si adoprerà in tutti i modi per essere e per durare l’espressione migliore dell’odierna fotografia; darà le riproduzioni e i disegni delle cose più belle che appariranno via via in questo campo; si occuperà della fotografia scientifica e industriale, e avrà il concorso delle migliori penne animate dalla nostra stessa fede. La quale, diciamolo chiaramente, non spera – come alcuni potrebbero supporre – in un futuro trionfo della fotografia sulla pittura. […] I domini della pittura permangono e permarranno sempre alti ed intatti.
[…] Noi crediamo però che la fotografia può essere sempre più perfezionata, e può assurgere a un grado di bellezza veramente superiore.
[…] La pittura non è sempre pronta a cogliere e fissare il disegno di quel minuto; il fotografo artista può invece fissarlo per sempre nella sua pellicola lieve…”.
A questo segue il primo articolo scritto da Ercole Bonardi dove l’autore rivendica subito l’importanza artistica della fotografia e la paragona alla pratica pittorica affermando che l’arte è tale “perché allo sguardo umano non porge soltanto una rappresentazione più o meno convenzionale del vero, ma gliela condisce, e gliela fa più seducente con l’aggiunta di un elemento più misterioso e tutto personale, che è quello che costituisce veramente e solamente, dopo il vero, l’opera d’arte”.
Alcuni tra gli importanti pittorialisti italiani sono Domenico Riccardo Peretti Griva (1882-1962), Guido Rey (1861-1935) e Cesare Schiapparelli (1859-1940).
Domenico Riccardo Peretti Griva (1882-1962), fotografo piemontese, è stato uno dei principali esponenti del movimento pittorialista italiano. Ha fatto parte della Scuola Piemontese di Fotografia Artistica. Tema principale la natura ma anche i ritratti della piccola borghesia del periodo.
Domenico Riccardo Peretti Griva – Primavera a Gimillian (Cogne 1930)
Guido Rey (1861-1935) è un camaleontico autore torinese che ha dedicato la sua vita all’alpinismo, alla scrittura ed alla fotografia artistica. Inizia proprio dedicandosi alla fotografia di montagna per poi seguire il movimento Pittorialista. Le sue fotografie hanno evidenti rimandi alla pittura olandese del ‘600, osservandole non possiamo non fare riferimento a Jan Vermeer (Delft, 1632-1675). Riceverà due importanti riconoscimenti, il primo nel 1898 durante l’esposizione Nazionale di Torino ed il secondo nel 1908 con la pubblicazione sulla rivista “Camera Work” (unico fra gli italiani) di due fotografie.
A sinistra Guido Rey (La lettera, fotografia pubblicata su Camera Work 24, 1908). A destra Jan Vermeer (La Lettre, dipinto datato 1670 circa)
Guido Rey – Un interno fiammingo (Camera Work 24, 1908)
Il pittorialismo vedrà la sua continuazione negli Stati Uniti dove nel 1902 ad opera di Alfred Stieglitz ed Edward Steichen venne fondato il gruppo “Photo Secession” mentre il Simbolismo avrà ripercussioni sul Surrealismo (in Europa e negli Stati Uniti). Di entrambi questi movimenti in fotografia ne parleremo in altri post.
Grazie per queste splendide “pillole” di storia della fotografia, indispensabili per chi vuole entrare nel profondo di questo splendido mondo.
“Io credo che in fotografia, anche dopo tutto quello che è stato fatto, si possano produrre immagini bellissime.” O.G.Rejlander (1863)
Se il sapiente Rejlander nel 1863 affermava che “… dopo quello che è stato fatto, si possano…” e noi oggi spesso diciamo che in fotografia è già stato fatto tutto per poi accorgerci che in realtà non è vero perché prima o poi arriva l’autore che innova il linguaggio. Ciò dimostra che la creatività umana ha un percorso senza fine. Il suo sviluppo dipende dal talento dei fotografi, oltre che dagli sviluppi della tecnologia che possono facilitare la realizzazione concreta dell’immaginario di un autore.
“La grande eresia della “nitidezza” ha avuto lunga vita nei circoli fotografici innanzitutto perché l’arte è stata praticata da scienziati, secondariamente da scienziati senza preparazione filosofica: infatti tutto ciò che passa dall’obiettivo è stato considerato puramente dal punto di vista fisico, con la completa esclusione dell’aspetto fisiologico e psicologico, che sono molto più importanti, e così è stato preso in considerazione solo un terzo della verità.” H.P. Robinson (1889)
Queste parole di Robinson sono disarmanti per la loro fresca attualità, incredibilmente dopo oltre 100 anni. Penso alla fatica che noi appassionati lettori abbiamo speso nel dare valore culturale e spirituale alle immagini fotografiche che ancor oggi a volte si scontra con una mentalità “muscolare” (prevalentemente tecnica e poco mentale) nella pratica fotografica.
Come si spiega questo faticoso incedere del pensiero umano? Evidentemente la trasmissione delle conoscenze tra le generazioni è un’operazione fallimentare. Se dopo oltre 100 anni non abbiamo ancora assimilato concetti che erano chiari già allora, tutto il nostro sviluppo non è servito a gran ché.
Non sarebbe nulla se il fenomeno fosse circoscritto alla fotografia ma mi pare evidente che questo mancato sviluppo della conoscenza umana invada tutti gli altri ambiti della vita e questo spiega come siamo arrivati inadeguati ai problemi del contemporaneo.
Grazie a Monica Mazzolini che con le sue ricerche ci permette di provare ancora a superare il faticoso incedere dell’Umanità verso un vero sviluppo globale.