Convegno "Lo specifico stenopeico.." di Marco Palmioli
CONVEGNO: LO SPECIFICO STENOPEICO
FILOSOFIA E PRATICA DELLA FOTOGRAFIA STENOSCOPICA
Sabato 19 maggio a Senigallia si è svolto il Convegno “Lo specifico stenopeico: filosofia e pratica della fotografia stenoscopica” a cura dell’Osservatorio per la Fotografia Stenopeica Italiana con sede presso il MUSINF di Senigallia.
L’occasione era la mostra internazionale di fotografia stenopeica che l’Osservatorio organizza da qualche anno in concomitanza con la Notte dei Musei, quest’anno poi tristemente annullata a causa della tragedia di Brindisi.
Il Prof. Carlo Emanuele Bugatti (direttore del Museo) ha proposto una riflessione sulla funzione sociale e culturale dell’artista che deve dare, attraverso un linguaggio comunicativo condivisibile, la propria lettura della realtà senza però tralasciare una ricerca artistico/estetica.
Dopo un dovuto excursus storico, numerosi sono stati gli spunti emersi dai vari interventi su come la fotografia stenopeica sia vista come punto di rottura contro l’asservimento al potere dominante, come risposta alternativa al far fare tutto agli uomini in maniera meccanica, ponendo però un particolare accento al fatto di non “ghettizzarsi”, di non alimentare una diatriba stenopeica/digitale perché l’importante non è il come, ma il perché di un’opera, quindi è il mezzo che deve essere in funzione del progetto, ma bisogna conoscerne bene gli aspetti specifici che il foro enfatizza.
Si è poi presentata la fotografia stenopeica come una fotografia ecologica ma seppur priva di componenti elettriche e elettroniche, si ha sempre la necessità di usare materiale chimico, quindi ne è convenuto più che altro che sia una fotografia “naturale” come la visione che propone, in quanto la luce viaggia in linea retta e permette alla natura di essere matita di sé stessa.
Sono state presentate e ci si è interrogati su tutte le peculiarità della Camera Obscura potendo fare anche l’esperienza diretta della Scatola Magica, cercando anche di capire quale in realtà fosse il modo più appropriato per definirla, se fosse opportuno o meno chiamarla macchina,
sottolineandone la grande libertà (non intesa come annullamento di ogni tecnicismo), l’artigianalità, l’economicità, l’indicalità tra cosa e immagine, e la parziale assenza di codici precostituiti, sottolineando il componente intrinseco e affascinante di questa tecnica: l’imprevisto.
E’ stato inoltre più volte evidenziato l’importanza di inserire nei programmi scolastici anche l’educazione all’immagine, per creare nei ragazzi una maggiore consapevolezza e interpretazione delle immagini di cui sono quotidianamente martellati, e quindi largo spazio è stato dedicato alla didattica con le numerose esperienze presentate, dall’aspetto tecnico/laboratoriale a quello sociologico educativo.
Relatori: Vincenzo Marzocchini, Michele Smargiassi, Maurizio Rebuzzini, Simona Guerra, Katiuscia Biondi, Beppe Bolchi, Luigi Cipparrone, Dino Zanier, Marco Palmioli – Moderatore: Prof. Carlo Emanuele BugattiMarco Palmioli
E’ con piacere che lascio a Marco Palmioli la pubblicazione settimanale del Dipartimento Cultura come contributo all’importante Convegno “Lo specifico stenopeico” organizzato dell’Osservatorio per la Fotografia Stenopeica Italiana con sede presso il MUSINF di Senigallia, che ha visto l’intervento di amici attivi nella FIAF come Michele Smargiassi, Beppe Bolchi. Sono importanti questi Post perchè permettono l’informazione diretta sul convegno a tantissimi altri appassionati. Progettate contattandomi e inviate i Post delle manifestazioni che vengono realizzate nelle vostre città.
Cercare l’arte nell’indeterminazione di un’immagine ottenuta con foro stenopeico, rinunciando all’uso di una pur modesta lente, mi sa tanto di fotografia masochistica che non mi sento di praticare.
E’ pur vero che ciascuno è libero di divertirsi come crede ed io di rimanere in attesa dei risultati, che tutti ci attendiamo interessanti e sopratutto comprensibili. Buon lavoro! Michele
La fotografia stenopeica è, semplicemente, un’antica tecnica di ripresa fotografica che ha i suoi limiti ma anche le sue specificità, quali ad esempio: caduta di luce ai bordi, tempi lunghi di posa, effetto mosso/fantasma di soggetti in movimento, grande profondità di campo, un certo grado di evanescenza onirica, un certo grado di imprevedibiltà o casualità che entra in gioco nella ripresa, neri profondi e bianchi luminosi, … solo per citare i principali. Se queste specificità della fotografia stenopeica vengono usate, da parte dell’autore, a fini espressivi cosa ci sarebbe di masochistico in tutto questo? Ciò che conta, a mio avviso, è il “perchè” di un progetto fotografico e se l’immagine riesce o meno a trasferire un’emozione. Non si tratta, quindi, di affermare o meno un primato tra la fotografia realizzata con le lenti e quella realizzata senza lenti, ma semplicemente se la fotografia, al di là del mezzo usato, ha saputo raggiungere il suo “obiettivo”…(anche senza usarlo). Si può “vedere” benissimo anche senza “guardare” attraverso un mirino o attraverso una lente, ferma restando la libertà di scegliere il mezzo che si sente più consono al proprio sentire interiore.
Saluti.
Marco Mandrici
Condivido l’intervento di Marco, che mi sento di sottoscrivere in toto, e sul quale non aggiungo nulla.
Non vedo nulla di masochistico, e peraltro, quanto ai risultati, mi sembra che in giro se ne vedano abbastanza, con punte superlative.
Le immagini ottenute con foro stenopeico hanno un fascino pionieristico e sono in grado di dare spesso risultati sorprendenti,perchè si lascia spazio alla pura creatività e ad arricchire il tutto si aggiunge l’imprevisto e la casualità e in un’epoca dominata dalla tecnologia massificata e dalla carenza di fantasia non è cosa da poco.
Unitamente al fatto che tanti celebri e celebrati fotografi si sono cimentati con questa tecnica, io francamente non ci vedo nulla di masochistico nell’abbracciare questo tipo di sperimentazione, anzi semmai il lodevole tentativo di dare una risposta ,libera dai vincoli della tecnologia, all’imperante pochezza dell’ideazione fotografica.
Caro Michele sperimentare per credere! A mio avviso non si può mai scartare nessuna possibilità se non dopo averla sperimentata con attenzione e quindi dedotto che non risponde alle proprie esigente…ma a volte lungo questo percorso possiamo essere meravigliati e restare estasiati da sorprese che non ci aspettavamo.
Mi faccio una domanda, forse banale, sperando che arrivi un chiarimento decisivo. La fotografia stenopeica-chimica (che apprezzo anche se non pratico) ha la sua magia e la sua fisicità.
Secondo voi ha un senso la fotografia stenopeica-digitale?
Si ha senso. Così come ha senso tutta l’altra fotografia. Se non diamo un senso ha quello che si fa tutto quanto è senza senso.
Per quanto riguarda la fisicità la si può considerare solo se la foto è di grande formato? su carta ad esempio? ma se faccio una foto con una pellicola APS ho la fisicità di un piccolo francobollo.
La foto stampata o anche vista su un monitor o proiettata su una parete non ha forse una fisicità? la guardiamo e potremmo esserne soddisfatti.
Secondo me il concetto di fotografia stenopeica-digitale non ha molto senso, perchè la sua visione è mediata e filtrata da un percorso elettronico che finisce per inquinare la spontaneità e la semplicità della magia esclusiva della luce.Il rapporto deve essere esclusivamente tra luce e supporto analogico, il mezzo chimico come unico tramite per svelare l’immagine.
Non mi trovi per niente daccordo.
Vedi la risposta che ho dato a Stefano Consolaro.
L’elettronica e la luce sono parenti strette molto più che la chimica e la luce, ergo il percorso elettronico non inquina proprio niente ed ha pieno diritto di svelare l’immagine.
Personalmente ho anch’io un tappo forato (autocostruito) che uso su una Reflex digitale a formato pieno ma sinceramente lo uso solo a scopo didattico, per vari motivi: primo perchè vista la distanza minima tra foro e sensore che la reflex mi permette non ottengo immagini con gli effetti affascinanti propri del foro stenopeico, come riesco ad ottenere con macchine autocalcolate e autocostruite con negativi o carta sensibile; secondo si perde un pò dell’artigianalità di un’antica tecnica che rende l’immagine ancora più propria per aver scelto e dominato quanti più passaggi possibili dalla costruzione della scatola alla stampa finale. Marco
Il sistema analogico (tipo di pellicola, tipo di sviluppo e fissaggio; tipo di carta da stampa, di rivelatore e fissaggio), oltre all’appiattimento dallo spazio temporale multidimensionale a quello bidimensionale, non sono soggetti alle leggi, parametri e deformazioni fisico-chimici.
L’analogico, soprattutto se B/N, “é” sempre ritenuta pari alla visione umana. Ma non abbiamo una visione a colori e tridimensionale?
La distribuzione casuale dei granuli di sali d’argento, sul supporto fotografico, non può essere superiore alla distribuzione micrometrica e geometrica dei micropixel digitali.
La risoluzione digitale supera quella analogica, e di questo fa tesoro soprattutto la resa delle sfumature, prima ancora del dettaglio. La conservazione digitale è infinita, quella analogica è limitata nel tempo.
In una scuola di fotografia dedicherei la prima lezione alla fotografia stenopeica. Ma subito dopo inizierei ad insegnare storia dell’arte, storia della fotografia, studio dei grandi autori del passato fino ai contemporanei, ovviamente insieme alla tecnica fotografica.
Insegnerei agli studenti a ragionare con la loro testa, a sviluppare la propria “creatività, senza curarsi di pregiudizi e nostalgie.
L’arte guarda orizzonti sempre nuovi; solo i mercanti-collezionisti-d’arte vivono nel passato.
Il pensiero creativo-propositivo guarda al futuro, non al passato.
Il futuro è nella creatività, nell’ingegno e soprattutto nella passione. Poi sarà scelta di ogni individuo trovare il mezzo più consono alla propria indole. Non va trascurato che alcune persone sono bloccate proprio nella loro creatività, dal fatto di non saper gestire tanta tecnologia, che non si sentono a proprio agio con bit o pixel. Sarebbe come dire ad uno scultore di non usare martello e scalpello visto che ormai ci sono centri di lavoro robotizzati. Arianna