ArchivioDai tavoli di portfolio
ASSENZA – di Andrea Biondo
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“… noi guardiamo una fotografia, è vero, guardiamo un immagine, però nella nostra mente, consciamente o inconsciamente, proiettiamo un mondo reale che questa immagine rappresenta. Esiste sempre, quindi, una presenza della fotografia e un’assenza dell’uomo, della persona, dell’oggetto, dell’evento in essa rappresentato. C’è un rapporto di singolare analogia con la realtà e, nello stesso tempo, un evidente differenza della realtà.” Luigi Ghirri
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ASSENZA
di Andrea Biondo
Cerco il vuoto che ci circonda, che riempie lo spazio più di ogni palazzo.L’assenza risulta particolarmente evidente nella fisionomia delle periferie, negli elementi che costituiscono il territorio dando forma allo spazio e nel paesaggio come espressione del costruire dell’uomo.
Nonostante non via sia la presenza umana tra i soggetti rappresentati essa si percepisce come fattore determinante dei luoghi e dello spazio della vita sociale e del lavoro. Il vuoto si riempie di un’esistenza che ci mette di fronte ad un’incognita, che lascia la ferita dell’uomo aperta.
“Assenza” si muove liberamente all’interno di un ambiente articolato con una sua struttura artificiosa, dove secondo le parole di Ghirri “ … è possibile rappresentare una unificazione e una ricomposizione del tutto, non per inseguire una pacificazione con il mondo, eventualmente per portare all’interno di questa complessità un elemento di inquietudine …“.
Andrea Biondo
Più che l’es-senza ghirriana noto la sua as-senza anche se sono presenti i richiami al paesaggio italiano di fine anni Ottanta, ma ancora prima di questo mi colpisce l’inquadratura frontale, quasi fosse un duello tra il fotografo e la fotografia del divenire. Mi ritornano alla memoria i momenti epici del western, dove uno di fronte all’altro si fronteggiavano in un duello all’ultimo sangue lo sceriffo (il buono) e il bandito (il cattivo), ma anche l’attimo sublime del calcio di rigore che si ripete nei decenni, dove il numero dieci sfida il numero uno per vincere la partita. Credo che mettersi in posizione frontale nei confronti del soggetto appiattisca molto l’immagine che si ottiene, si tolgono le prospettive, le profondità, le ombre, i chiaroscuri. Si toglie per lasciare l’essenziale, come faceva Ghirri, dove l’assenza contava sempre più della presenza. Ma non è tanto la mancanza fisica delle persone che conta, ma il vuoto spazio-tempo che si percepisce guardando le sue istantanee della sua e mia terra. Al cuore Ramon, al cuore!
…”Esistono miliardi di postille genere che stanno affiorando sulla superficie della terra. IL loro affiorare è sempre marcato da quella strana fissità che assume lo spazio vuoto, lo spazio che non si riesce a capire perché non è usabile in alcun modo. E in questi terreni di caccia gli architetti si lanciano in grandi avventure, sempre con gli occhi puntati a un futuro che nessuno sa cosa possa essere.
Ghirri ha fatto e continua a fare un lavoro opposto, E’ riusciti a raccontare la fissità dello spazio vuoto, lo spazio che non si riesce a capire. Ha compiuto una radicale pulizia negli intenti o scopi dello sguardo che non spia un bottino da catturare, che non va in giro per approvare o condannare ciò che vede, ma scopre che tutto può avere interesse perché fa parte dell’esistente. …
Sono parole di Gianni Celati in “Finzioni a cui credere” tratto dal libro “Animazioni e incantamenti” edito da L’Orma Editore (2017)
Gianni Celati ci ha dato la sua lettura delle fotografi di Luigi Ghirri, portandoci a un livello di comprensione tale che ha fatto maturare in noi questa poetica affascinante di interpretare il non senso del vuoto.
Grazie ad Andrea Biondo per aver stimolato una riflessione su una tematica che o si sente o no, non si spiega; anche se come dimostra Celati è potente fonte di stimoli narrativi. La cosa che più mi intriga nel rapporto Ghirri/Celati è la coalizione tra immagine e parola che sembra non esaurirsi mai nel suo continuo crescendo.
“Le immagini sono enigmi che si risolvono con il cuore”. È in questa frase di Ghirri che ritroviamo l’essenza della sua fotografia della sua visione come alternativa della realtà che ci appare in un rapporto di sintesi tra ciò che l’occhio seleziona attraverso la macchina fotografica e lo spazio rappresentato. Per Ghirri elemento fondante della fotografia è rappresentato dalla “soglia”. La soglia costituisce uno spartiacque tra il dentro ed il fuori (come la porta di una chiesa tra sacro e profano). E questo interiore – esteriore Ghirri lo ritrova nell’inquadratura cioè tra il cuore e l’anima del fotografo e ciò che sta di fronte. L’esteriore che deve essere selezionato da un infinità di possibilità: il mondo, e del quale ne ritagliamo solo una parte lasciando fuori tutto il resto. Non dimentichiamoci, afferma Ghirri che “La fotografia è essenzialmente un dispositivo di selezione e attenzione del vostro campo di attenzione… semplicemente si tratta di attivare un processo mentale, di attivare lo sguardo e cominciare a scoprire nella realtà cose che prima non si vedevano, anche dando agli oggetti, agli elementi della realtà un altro significato. Attivare un campo di attenzione diverso.” Non so se sono riuscito pienamente in questo, però posso dire che dopo questa ricerca porto sempre con me uno sguardo particolare verso le cose che fotografo.
“… noi guardiamo una fotografia, è vero, guardiamo un immagine, però nella nostra mente, consciamente o inconsciamente, proiettiamo un mondo reale che questa immagine rappresenta… a fare da contrappunto o complemento a questa riflessione di Luigi Ghirri sembra appropriato il termine “mindscape”, neologismo coniato dallo psicanalista Vittorio Lingiardi che evoca il rapporto tra psiche e paesaggio ed in particolare il concetto di “paesaggio elettivo”: un luogo che cerchiamo nel mondo per dare forma ed immagine a ciò che è già in noi. Ecco, il lavoro di Andrea Biondo ci invita a riflettere sul posto che l’uomo occupa nel mondo. La sua onnipresenza spazio-temporale evocata da immagini in cui il fuoricampo esprime con maggior intensità quanto delicatamente suggerito dagli elementi interni alla composizione fotografica. Luoghi, o non luoghi, in cui materia e forme geometriche raccontano di spazi altrimenti popolati e che rimandano con immediata ed inequivocabile forza alla dimensione, talvolta pressione, che la comunità esprime sul territorio. Un’assenza metaforica che allude all’incapacità della società di prendersi cura dei propri luoghi; ma anche una sospensione temporale da cui emana un’attenzione per gli aspetti elementari, quotidiani che stanno alla base della vita comunitaria e che risuonano come un’esortazione a perpetuare tutte le forme di relazione sociale necessarie alla nostra esistenza.
Ricerca formale e sensibilità sociale trasformano gli ambienti rappresentati da Andrea Biondo in uno schermo su cui proiettare i nostri timori ma anche prospettive e desideri che coltiviamo nelle nostre intenzioni più profonde.