ArchivioDai tavoli di portfolio
E, intorno a me, entra luce – di Silvia Ricci
In un mondo che ci rende prigionieri, che sembra non volerci più, l’immaginazione è ciò che mi rende libera.
La paura di un fuori pericoloso ci ha costretto a chiuderci in casa ponendo di fronte a noi le paure più profonde, le ansie finora sopite e l’incombente solitudine.
Prendo le mie istantanee, rimuovo l’emulsione e attraverso la manipolazione e l’incisione sul retro riesco a scalfire il velo della realtà.
Esco dai confini di casa, vado altrove.
Guardando intensamente, ritrovo nelle piccole cose di ogni giorno, dettagli, visioni e immagini limpide.
E, intorno a me, entra luce.
L’illustrazione luminosa è visibile sulle pellicole istantanee solo in controluce.
Silvia Ricci
E, intorno a me, entra luce
di Silvia Ricci
In editing a mosaico.
In sequenza di dittici.
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E’ compenetrazione di opposti quella che si materializza ai miei occhi che guardano questi dittici.
E’ infatti la medesima istantanea a contenere in sé la possibilità di apparire tanto luminosa quanto umbratile.
La pratica di una volizione esercitata da Silvia con creatività e tecnica, ha quindi come effetto quello di rendere visibile una delle condizioni fondamentali del nostro vivere.
Non è dato sapere se questo è emerso prima o dopo il suo sano giocare. Certo è che l’autrice a chiusura della sua presentazione, in posizione ben staccata dal resto del testo, ci dice che “L’illustrazione luminosa è visibile sulle pellicole istantanee solo in controluce”.
Letta dopo la visione dei dittici, mi è apparsa la condivisione della sostanza ultima di questo lavoro, travestita da nota tecnica, tanto per essere nel gioco.
L’atmosfera che si respira è fantasmatica e fluttua tra chiari simboli e arcani oggetti, tra composizioni metafisiche e inquadrature che danno il senso di una visione altra.
Ma andiamo ai fatti, al tipo di procedimento che è stato messo in essere e in quali territori si è mosso. Silvia ha prima creato delle immagini dai toni onirici -la dimensione più personale, profonda e trasgressiva- quindi ha “sollevato il velo” e plasmato le sue istantanee e le ha incise, per avere potere su una quotidianetà dai desideri impediti; incisioni non casuali ma leggibili nel loro riferimento simbolico o allusivo.
Ma a quel punto questo non poteva bastare, e, finalmente ha fatto inondare di luce ciò che aveva voluto creare. E’ questa l’immagine che, come traslato -in tutti i sensi- ha posto accanto alla immagine più oscura per dare vita a ciò che non poteva che essere un dittico.
Procedimento esemplare che, in libertà conquistata, corre con unico passo dentro e fuori di sé.
Mi chiedo quanto arbitraria sia questa mia lettura/interpretazione del lavoro di Silvia. Forse lo è, ma è nel rischio che si corre ad esporre una riflessione rispetto a cui si trova motivazione a scrivere.
Significativa informazione può essere che mi convinco ad esplicitare quest’ultimo pensiero, solo perché può provocare risposte.
Eletta Massimino
Grazie Eletta per la tua lettura, sei entrata profondamente nella mia opera.
Hai espresso perfettamente tutto il mio processo immaginifico e creativo.
Un enorme piacere leggere il tuo prezioso commento.
“E, intorno a me, entra luce”, apre una riflessione sulla sperimentazione con la fotografia.
Recentemente la serata on line dedicata dalla FIAF a Mario Cresci (trovate la registrazione su YouTube), ha rimesso l’attenzione verso questa pratica espressiva che la fotografia ha stimolato sin dalle origini.
La sperimentazione è la ricerca di “immagini improbabili” che poi spesso sono diventate icone appartenenti alla poetica del tempo in cui sono nate. Quindi se l’intenzione che ha animato gli sperimentatori ha sempre avuto costante questa forza creativa di spingersi oltre i canoni del fotografico, i significati invece sono cambiati asseconda della poetica del tempo. Non a caso gli incidenti creativi sono diventati tali quando hanno trovato un artista che ha saputo comprenderne il valore artistico (che non è mai un valore assoluto ma storico); come la solarizzazione nata casualmente tra le mani del Man Ray surrealista.
Eletta Massimino, ha compiuto una lettura di rara compiutezza dell’opera di Silvia Ricci, comprendendone il processo creativo e i significati che da esso vengono generati e giustificati. Se Man Ray esprimeva il suo surrealismo, Silvia Ricci esprime il suo postmodernismo.
La sperimentazione fotografica mette sempre in discussione il rapporto tra immagine e referente (ciò che è fotografato) questo perché il legame impronta che la fotografia ha nel suo “DNA” lo impone. Nel nostro mondo dell'”immagine liquida” questo legame viene diffusamente armonizzato con l’icona grafica per conseguire nuovi linguaggi espressivi.
Nell’umanità postmoderna l’immagine ( di ogni natura) ha perso il senso dell’apparenza per assumere quello della sostanza (metonimico), tipicamente fotografico.
La finzione ha superato il rapporto ambiguo del vero/falso, per assumere quello che è: l’immagine di un pensiero. E’ il pensiero che dà all’immagine la capacità di rappresentare la riflessione sulla realtà (materiale e interiore). Come avviene in questo portfolio di Silvia Ricci.
Sembra complesso entrare in questa materia della comunicazione ma noi che viviamo la nostra società postmoderna, pratichiamo inconsapevolmente questo linguaggio iconico.
E’ importante nella sperimentazione fotografica essere consapevoli quali legami del fotografico andiamo a toccare, perché la consapevolezza porta a sperimentare con maggiore piacere e orientarne lo sviluppo.
Complimenti a Silvia Ricci per la libertà espressiva raggiunta che rivela la rappresentazione della sua una poetica generazionale postmoderna.