La Scuola di Düsseldorf – Seconda parte: Thomas Struth
a cura di Maurizio Cintioli
Tra gli allievi della Scuola di Düsseldorf, quello che più di altri ha saputo coniugare i principi dell’oggettivismo a una vasta tipologia di soggetti, è probabilmente Thomas Struth. Città, luoghi pubblici, ritratti e luoghi naturali sono alcuni dei temi trattati dall’artista tedesco nel corso degli anni. Sempre indagati in modo rigorosamente oggettivo, questi soggetti ci restituiscono tutta la visione apparentemente ordinaria della realtà tipica dei dettami dei coniugi Becher.
Thomas Struth inizia a studiare alla Kunstakademie di Düsseldorf nell’autunno del 1973, il suo primo insegnante è Gerhard Richter, solo successivamente inizia a frequentare i corsi di Bernd e Hilla Becher. In questo periodo la fotografia è soltanto un mezzo di cui si serve per pianificare quelli che sarebbero dovuti essere i suoi sviluppi pittorici. Per conoscere meglio le diverse possibilità del mezzo fotografico, ritrae i passanti in strada con esposizioni e composizioni diverse, utilizzando una macchina fotografica 35 mm. La città funge, essenzialmente, da sfondo architettonico per le persone ritratte.
Nel 1976, Struth decide di spostare definitivamente la sua attenzione sulla fotografia e di concentrarsi sulla strada stessa, piuttosto che sulla figura umana in contesto urbano. Realizza così una griglia di quarantanove fotografie di strade di Düsseldorf, ognuna delle quali strutturata intorno a una prospettiva centrale. Di fatto il suo primo lavoro fotografico.
I riferimenti agli insegnamenti dei coniugi Becher sono evidenti. L’installazione viene esposta alla mostra annuale degli studenti dell’Accademia d’Arte di Düsseldorf.
Nella primavera del 1977, Struth si reca a Londra con Axel Hütte. Insieme realizzano una serie di scatti di strade ed edifici della zona operaia di Tower Hamlets, nell’East London. Negli anni successivi è a New York grazie ad una borsa di studio e produce una serie di fotografie di strada in bianco e nero, tutte caratterizzate da una rigorosa prospettiva centrale.
Il soggiorno a Roma, nel 1984, rappresenta il vero punto di svolta nella produzione artistica di Thomas Struth. La serie dedicata ai musei e ai loro visitatori porta il fotografo tedesco all’attenzione del mondo dell’arte contemporanea anche grazie alle dimensioni delle opere e all’estrema qualità e dettaglio delle stampe. Lo spettatore viene trasportato all’interno dell’immagine dove altre persone osservano immagini, opere d’arte, in un continuo rimando di sguardi, in una sorta di gioco di specchi dove diversi piani di osservazione si incontrano in una visione collettiva della rappresentazione.
I protagonisti di queste opere sembrano vagare anonimi e soli in spazi di apparente aggregazione.
Gli interni dei grandi musei internazionali appaiono luoghi asettici, caratterizzati da una presenza umana distratta, distaccata ed emozionalmente distante. Un anonimato di massa particolarmente straniante se messo in relazione con l’ambientazione ricca di stimoli sensoriali. Ecco allora che il museo, agli occhi dell’artista tedesco, diviene un “non-luogo” al pari di un centro commerciale o di una stazione. È quindi l’atteggiamento del fruitore, svelato dall’occhio impassibile del fotografo, a determinare la natura del luogo e non la struttura materiale del luogo stesso. Le figure umane appaiono parte di un rito, intente a mescolarsi ad una rappresentazione nella quale il copione e l’atteggiamento da seguire è scritto, dettato dagli stereotipi del turismo di massa e della globalizzazione dell’intrattenimento.
A partire dal 1999 lavora alla sua nuova serie “Paradise” nella quale, abbandonate le grandi città e gli spazi pubblici, concentra il suo sguardo sulla natura incontaminata. In queste foto si avverte un senso di distanza intellettuale e fisica, una impossibilità’ di penetrare e comprendere qualcosa che forse abbiamo perso definitivamente. L’uomo si allontana dalla natura e l’arte assolve alla funzione di salvare queste foreste e restituirle intatte alla nostra memoria.
Recentemente Struth ha rivolto il suo sguardo verso centri spaziali e di ricerca tecnologica svelando un’estetica dell’innovazione fatta di moderni macchinari che con i loro svariati utilizzi determinano la vita e il progresso dell’uomo contemporaneo. Uomo che, tuttavia, non è mai presente in queste opere e sembra di fatto subire indirettamente l’influenza di queste tecnologie.
“Il mio interesse in questo caso non è rivolto tanto alla tecnologia in sé quanto piuttosto ai contesti che consentono all’ambizione umana di manifestarsi e agli intrecci che nascono da questo processo” dichiara l’artista tedesco.
Le opere di Thomas Struth sono state esposte nelle maggiori istituzioni museali internazionali. Tra queste: Kunsthalle di Berna e di Amburgo, ICA di Boston, Museo Nazionale d’Arte di Tokyo, Metropolitan Museum di New York, Museum of Contemporary Art di Los Angeles e Chicago, Prado di Madrid e Kunsthaus di Zurigo.
Maurizio Cintioli